mercoledì 27 novembre 2013

Hello! I must be going - Come la prima volta




Il sapore Sundance si avverte fin dalle prime inquadrature, e si dipana nel corso del film partendo dal disagio e da tutte quelle intime, ma devastanti, esplosioni che mettono alla prova i protagonisti.
Hello! I must be going di Todd Louiso, è infatti il dramma (soprattutto) interiore di Amy Minsky/Melanie Lynskey, una donna appena lasciata dal marito e in apatia totale da più di tre mesi. Chiusa in casa dei genitori sempre con la stessa maglietta, "quella con il fulmine sulla tetta", come dice la signora Minsky.

Lacrime davanti alla tv, con i film dei fratelli Marx e ogni tanto una parola, seppur spicciola, di conforto da parte del padre, quello che sembrava capirla meglio. Amy amava sentirsi sposata, condividere la vita con un uomo in carriera, con tutte le conseguenze che questo comporta. Certo non fino alla storiella extraconiugale con la collega. Non saranno i vari tentativi dei genitori di Amy a sbloccare la sua indifferenza alla vita, bensì l'incontro con un ragazzo molto più giovane di lei.


I film indipendenti americani mi pare abbiano tutti, o quasi, questa capacità di arrivare allo spettatore attraverso l'intimità dei personaggi. Facendo muovere le loro vite all'interno delle mura domestiche, gli interni di un supermercato o i sedili di un'automobile; puntando tutto su ciò che anima l'essere umano a partire da "dentro". Ora, non so se la cosa sia condivisibile da più parti. Però io vedo questi film e mi ritrovo sempre a riflettere su questo. Visto da poco anche The good girl di Miguel Arteta, e anche lì al centro c'era il disagio di una donna. La difficoltà nel gestire la propria vita, apparentemente inutile e vuota. Finché l'incontro con un ragazzo non le cambia prospettiva. E' questo che ti rapisce, secondo me, di questi film.

I protagonisti non sono i divi che si esibiscono in performance attoriali stupefacenti, no. Sono esseri umani che si prestano ad incarnare quelle stesse sensazioni e quegli stati d'animo che tutti, almeno una volta nella vita, abbiamo provato. L'inadeguatezza, la sensazione di non essere mai al proprio posto e per quanto mi riguarda di Amy sapete cosa ho amato di più? La sua consapevole accettazione del fatto che tutto ciò che lei faceva, era un investimento che non le avrebbe portato frutti (economicamente parlando). Ecco perché non aveva più senso fotografare i fiumi, così come non aveva senso concludere la sua tesi specialistica. Amy incarna anche la sensazione di rompere tutto ciò che si tocca, di perdere quel che di buono la vita ci offre e non capirlo mai in tempo. 


La storia con il giovane Jeremy darà a Amy la voglia di ritornare a vivere. Perché a una donna a volte basta sentirsi amata davvero, senza dover convivere con alcun disagio o senso di inadeguatezza. Stare con un uomo e non sentirsi mai fuori posto, o sbagliata. Guardare tua madre e capire che non è poi tanto più forte di te, anche se il suo ruolo la vuole sempre in ordine e sorridente. Finché il sorriso non torni a illuminare il viso, e un viaggio a zonzo per il mondo insieme a tua madre, conceda ad ogni storia che si rispetti, l'epilogo perfetto. 

Perché il mondo è pieno di bellissimi fiumi...


lunedì 25 novembre 2013

Inizio domani.



No, non è il titolo di un film e non è nemmeno di un libro che voglio parlarvi oggi. 
Questo è forse uno dei post più importanti che appariranno su queste pagine. Un pezzo di me e della mia vita che si mescola all'amore per il cinema e a tutte queste recensioni e news che ci hanno fatto discutere, scontrare. Perché quello di domani è un inizio che mi vede come una donna che lavora e non immaginate (anzi immaginate eccome) quanta gioia e soddisfazione ci sia, in queste due parole.

Non ho firmato nulla che duri in eterno e non ho certezze che vadano a tempo indeterminato. Ma voglio godermi comunque questo attimo che riempie un vuoto che mi corrode da dentro, da troppo tempo. Per placare almeno la rabbia e nascondere la delusione e l'odio per un paese che sembra non dare speranza a nessuno ormai. Ecco, questa sensazione volevo condividerla con voi. Volevo fissare questo momento ripensando alle parole del direttore mentre leggeva il mio curriculum. "No. Vabbè. Ma dai. Tu sei sprecata per fare pagnottelle. Ma non si può trovare di meglio a questa ragazza?". Lo diceva rivolgendosi a una delle manager che gli era accanto. Ma in cuor suo sapeva che quel lavoro per me era tanto importante da farmi vedere quelle pagnottelle come la cosa più bella che mi potesse capitare...

Non ho mai snobbato niente e nessuno, considero ogni lavoro degno di rispetto e so che, al contrario di quanti ancora sostengano, vale lo stesso per tutti i giovani e non, disperati perché quel lavoro tanto atteso non arriva. La mia laurea in Lettere mi ha insegnato soprattutto questo. Che la vita non ti aiuta quasi mai a far conciliare ciò che ti capita con quel che ami davvero. Ma pensare ogni giorno a quante cose io potrei fare, mi aiuta ad amare allo stesso modo anche quelle che non avevo mai preso in considerazione. In quei libri capivo che fuori poi nulla è facile e nessuno ti offre su un piatto d'argento, il futuro che provavi a disegnarti a diciassette anni. E così, col tempo e con gli anni che passano, impari a ponderare il peso dei tuoi diritti e dei tuoi doveri. E sai che non sarai mai un uomo o una donna libera, finché non dovrai più combattere con te stessa tutti i giorni, per un diritto che pensi sia soltanto un lontano racconto, scritto in aramaico e mai letto o addirittura scritto.

Ebbene sì. 
Inizio domani...

E nella mia testa canto questa canzone








giovedì 21 novembre 2013

The singing doctor - La storia del dottore che canta alla vita.



CriticissimaMente si occupa soprattutto di cinema, questo è chiaro alla maggior parte di voi che, da più di un anno, avete la pazienza di passare qui e dare un'occhiata. Ma chi mi conosce davvero sa che la mia curiosità e la mia sensibilità soprattutto di mamma, riesce a farmi fermare più di un attimo su alcune cose che magari si staccano dalla linea del blog, ma riguardano ancor di più la mia me non critica, ma persona. Già nella premessa faccio fatica a spiegare cosa ci sia di così speciale in questo post, ma credo si tratti di una di quelle volte in cui le parole nemmeno servono. Bastano le immagini che partendo da un'idea, da un modo di vedere la vita poi si innalzano davanti ai nostri occhi e ci fanno fermare. 

A me capita spesso di fermarmi davanti a una cosa. Un fatto orribile, oppure meraviglioso. A volte basta poco, altre invece sembra non toccarmi più nulla e vado avanti quasi indifferente. Quello che ho visto questa mattina però, mi ha lasciato quel sorriso da ebete stampato in faccia, avete presente? Sì, perché la storia di questo dottor Jaja (già il nome ti fa innamorare di lui) è una delle immagini più tenere che in questi giorni, terribili per il nostro paese, mi siano passate davanti agli occhi, su questo schermo che mi parla del mondo e di tutto ciò che accade. Lo chiamano The singing doctor, il ginecologo del Magee - Womens Hospital di Pittsburg. Cos'ha di speciale questo dottore? Fa nascere i bambini e poi canta loro una canzone. 


E’ un credito che dò loro, canto per una persona importante. E' una cosa bellissima che mi capita tra le mani, il miracolo della vita. E tutto si dimentica: crisi, soldi, per un momento hai la vita di fronte a te”. 

Così motiva la sua straordinaria maniera di accogliere la vita, il dottor Carey Andrew Jaja. A spiegarvelo come vorrei credo mi rimanga troppo complicato. Però sapete cos'è che mi spalanca le porte dell'entusiasmo guardando questo dottore alle prese con le sue canzoni? E' un'alternativa di guardare il mondo, le cose. Tu pensi che contemporaneamente a quella voce che dà il benvenuto alla vita, ci sia altrove un bambino che non ce la fa, una madre che muore o nella più fortunata delle ipotesi, una madre che sopravvive a un parto in condizioni assurde; ma è comunque condannata perché non ha possibilità di veder crescere come vorrebbe, quel figlio appena nato. Pensi a tutto il marcio di questo mondo e ti sembra tutto un terribile gioco che non prevede vittorie, solo sconfitte. Poi appare questo signore con il camice che canta a tutti i bambini che prende in mano, appena usciti dal grembo materno. Una voce calda che per un attimo dà diritto a quelle creature appena venute al mondo, di non badare a tutto il resto. Perché quello è il loro momento e il mondo intero non deve scalfirli. Il dottor Jaja ha preso a cuore questa missione, vorrei poter fare lo stesso anch'io, con i miei figli. Vorrei poter dare loro tutto l'ingenuo e incontaminato che il mio corpo ha seminato senza mai farlo germogliare davvero. Lo perdi con il tempo, diventando grande. Vorrei cantare anch'io ogni volta che il mondo mi fa paura, con lo stesso sorriso di questo dottore che ringrazia le mamme, per il miracolo appena compiuto. Non cambierebbe quello che accade fuori, ma il mondo che portiamo dentro, quello sì che potrebbe cambiare.





mercoledì 20 novembre 2013

Canti o suoni in una band? "Clip your music" è il contest che fa per te.



Dal Friuli arriva la prima edizione del contest Uponadream "Clip your music". Avete un gruppo nel quale suonate o cantate e il vostro sogno è quello di fare un vero e proprio videoclip? Allora questa potrebbe essere la vostra occasione.

Uponadream Studios è una piccola, ma molto attiva, realtà friulana, che opera nel campo musicale e degli audiovisivi da cinque anni e ora intende rivolgersi ai giovani musicisti italiani. Scopo del contest è infatti proprio quello di ricercare nuovi talenti e dare loro la possibilità di farsi conoscere. Tre saranno i vincitori ai quali verrà realizzato in modalità e tempi differenti, il videoclip del brano musicale prescelto, in base alle norme descritte nel bando di concorso.
La partecipazione al concorso è gratuita, e prevede solo l’invio tramite email o posta ordinaria, del brano in mp3; una giuria selezionata, ne decreterà i vincitori.

Per partecipare c’è tempo fino al 15 dicembre 2013

Bando e form di iscrizione sul sito www.uponadream.it 


domenica 17 novembre 2013

Anche questo Festival, è finito.




FILM IN CONCORSO
La giuria internazionale, presieduta da James Gray e composta da Veronica Chen, Luca Guadagnino, Aleksei Guskov, Noémie Lvovsky, Amir Naderi e Zhang Yuan ha assegnato i seguenti premi: 

- Marc'Aurelio d'Oro per il miglior film: Tir di Alberto Fasulo
- Premio per la migliore regia: Kiyoshi Kurosawa per Sebunsu kodo (Seventh Code)
- Premio Speciale della Giuria: Quod Erat Demonstrandum di Andrei Gruzsniczk
- Premio per la migliore interpretazione maschile: Matthew McConaughey per Dallas Buyers Club
- Premio per la migliore interpretazione femminile: Scarlett Johansson per Her
- Premio a un giovane attore o attrice emergente: tutto il cast di Gass (Acrid)
- Premio per il migliore contributo tecnico: Koichi Takahashi per Sebunsu kodo (Seventh Code)
- Premio per la migliore sceneggiatura: Tayfun Pirselimolu per Ben o deilim (I am not him)
- Menzione speciale: Cui Jian per Lanse gutou (Blue Sky Bones)

CONCORSO CINEMAXXI

- Premio CinemaXXI per il miglior film (riservato ai lungometraggi): Nepal Forever di Aliona Polunina
- Premio Speciale della Giuria CinemaXXI (riservato ai lungometraggi): Birmingemskij ornament 2 (Birmingham Ornament 2) di Andrey Silvestrov e Yury Leiderman
- Premio CinemaXXI film brevi: Der Unfertige (The Incomplete) di Jan Soldat
- Menzione Speciale CinemaXXI cinema breve: The Buried Alive Videos di Roee Rosen

CONCORSO PROSPETTIVE DOC ITALIA

- Premio Doc It - Prospettive Italia Doc per il Migliore Documentario italiano: Dal profondo di Valentina Pedicini
- Menzione Speciale: Fuoristrada di Elisa Amoruso.




MIGLIORE OPERA PRIMA/SECONDA 

- Premio Taodue Camera d'Oro per la Migliore Opera Prima/Seconda: Out of the Furnace di Scott Cooper
- Premio Taodue Miglior produttore emergente: Jean Denis Le Dinahet e Sébastien Msika per Il sud è niente

PREMIO BNL DEL PUBBLICO PER IL MIGLIOR FILM

Il pubblico ha assegnato il Premio BNL del Pubblico per il miglior film a Dallas Buyers Club di Jean-Marc Vallée.

Formulando quello che dovrebbe essere il mio personale commento, dico:
Mi prendesse in pieno un Tir sul Grande Raccordo Anulare se dico che a me, quel premio alla voce della Johansson, sa di contentino. Poi diciamo che ancora devo riprendermi dal post: "ci dispiace signori, sala piena".  Dopo tante corse da una sala all'altra sono riuscita a perdere Dallas Buyers Club, così come altri film che sono stati premiati. Rimane comunque una bellissima avventura, da vivere almeno una volta nella vita. Felice di vedere tra i premiati Acrid, ritratto a struttura circolare delle donne iraniane. Per la menzione speciale a Blues Sky Bones dico che il film non mi è dispiaciuto del tutto, interessante l'idea di raccontare la storia di un giovane alle prese con il proprio passato. Il regista lo fa mescolando la storia della rivoluzione culturale cinese, dei genitori di questo giovane, al proprio presente. Significative alcune sequenze così come la componente musicale, molto epica. Però il film pecca di un trucco a dir poco ridicolo, e questo un regista non può sottovalutarlo. 

L'idea di perdere completamente i contatti con il mondo terreno, devo dire che è affascinante. In quel continuo e accelerato "entra-esci-corri" da una sala all'altra, tutto il resto ti si stacca di dosso. Il reale scivola via e lo riprendi solamente una volta arrivato a casa, e non sempre è così. A volte ci vuole più del previsto, capita che ancora nel letto tutte le immagini ti scorrono davanti, sopra al soffitto. Le musiche dei film lasciati in sala, il frastuono generale, i flash delle macchine impazzite davanti al red carpet. Le urla delle ragazzine e i caffè al volo tra una visione e l'altra. L'odore della pioggia che ha accompagnato gran parte dei nostri giorni all'Auditorium e le risate, le discussioni per idee che quasi mai coincidono. Gli amici e i colleghi che ti tengono il posto in sala e gli sguardi pieni di vita e passione. Quando rientriamo alla vita normale, dopo un viaggio o una qualsiasi esperienza significativa, non si è mai uguali a prima. E' vero. Ora che, anche questo Festival è finito, ci sentiamo sospesi tra il senso di sollievo e liberazione e il senso del distacco che un po' ci turba. Anche se non si riesce ad ammetterlo, ma è così. Amiamo e odiamo ciò che facciamo al punto di non distinguerci più dal resto del mondo. Ci annulliamo, crediamo che la nostra vita abbia un senso solamente davanti a quel grande schermo che, non smette mai di raccontarci storie...

Questo è il mio primo lavoretto di montaggio con iMovie. Fatto al volo e senza alcuna competenza, anche se vorrei imparare di più. Qui c'è il nostro amore per il cinema, solo alcune immagini che parlano di noi e raccontano quello che è stato "Il nostro Festival". Lo dedico a tutti i miei amici e colleghi, quelli veri.

                       

mercoledì 13 novembre 2013

L'incantevole nemica di Claudio Gora



L'aspetto interessante dei Festival non è soltanto l'entra-esci-corri da una sala all'altra. Certo, questo è ciò che lo rappresenta meglio di qualunque altra immagine a nostra disposizione. Ma, la cosa più straordinaria è quel pezzetto di tempo che all'improvviso ti avanza e ti permette di fare una scelta differente dalle solite. Per scelte solite intendo quelle che danno la priorità ai film in concorso. Ieri così trovo il modo di andare (per la prima volta) nella saletta dello Studio 3, per una retrospettiva dedicata a Claudio Gora (pseudonimo di Emilio Giordana).

Regista e attore italiano poco conosciuto, caratterista degli anni '60 e '70, lo ricordiamo per aver interpretato il commendatore nel film di Dino Risi, Una vita difficile oppure il fidanzato di Catherine Spaak ne Il Sorpasso. Grazie all'ampio programma presentato all'Auditorium dalla Cineteca Nazionale CSC, in occasione del centenario della nascita, il pubblico avrà la possibilità di recuperare un autore, che ha segnato l'importante passaggio dal Neorealismo al cinema moderno degli anni '60. La retrospettiva è stata curata da Emiliano Morreale


Leggendo l'opuscolo con le varie info più o meno utili a comprendere il film che stavamo per vedere, mi va l'occhio sul nome di un certo Buster Keaton, e dico: "cavolo, non ho mai visto Keaton sul grande schermo!". Insomma, già abbastanza emozionata all'idea, mi abbandono all'atmosfera di questa piccola sala, accompagnata dalla presenza di pochi altri spettatori. Età media: 60. Però mi è sembrato di vedere due o tre miei coetanei, e non è poco. Il film di Gora è del 1953, si intitola L'incantevole nemica
La storia racconta l'ossessione di un industriale (Carlo Campanini), specializzato nei formaggi, riguardo alla presenza di comunisti che avrebbero in qualche modo pianificato un attentato per eliminarlo. Così, un semplice contabile della sua fabbrica (Robert Lamoureux), diventa una pericolosissima e spietata spia russa. Con l'aiuto, si fa per dire, del suo fidato braccio destro (Ugo Tognazzi), il signor Albertini farà di tutto per comprarsi il buon contabile, invitandolo in casa, aumentandogli lo stipendio e, addirittura, concedergli la mano della bella figlia Silvia (Silvana Pampanini). 

La semplicità e l'onestà di questi film, fanno rimpiangere ancora una volta qualcosa che, con buone probabilità, non avremo più. Gli italiani del secondo Dopoguerra vivevano pieni di speranza, guardando a un cambiamento. Il cinema ce ne ha parlato soprattutto con il Neorealismo, raccontando la vita nelle strade, la quotidianità, la povertà e tutto ciò che la guerra aveva distrutto. Gora si stacca leggermente da questo filone storico-cinematografico e prova a disegnare un quadro meno drammatico, piuttosto comico e garbato, dell'Italia di quegli anni. La Pampanini incarna a meraviglia una donna spietata, classica figlia della borghesia, con il debole per gli uomini da primo posto sul podio. Roberto, il contabile creduto comunista, è invece un umile operaio che vorrebbe cambiare le condizioni dei lavoratori puntando su azioni di gentilezza e non violente. Quando capirà che tutto era una misera messa in scena da parte del suocero/capo, avrà la sua piccola vendetta. Buster Keaton interpreta se stesso in un cameo di pochi minuti. La sua timida e silenziosa presenza, eppure così presente, regala a chi guarda, delle gioie che solamente il cinema, "quel cinema", ha saputo dare. 


Dobbiamo recuperare i nostri grandi autori, lo dobbiamo a loro e, soprattutto, a noi stessi!


martedì 12 novembre 2013

Dal Festival di Roma - Her



Chissà quante volte abbiamo pensato e immaginato il nostro futuro, quello non troppo lontano, come ad una rivoluzione totale delle nostre vite, nelle quali la tecnologia ha davvero un ruolo da protagonista, capace di starci accanto e indicarci talvolta, la strada. Nonostante questa visione futuristica risulti ancora distante, c'è chi guarda avanti con occhio attento e discreto, provando soprattutto a capire come cambieranno i nostri rapporti. 

Ed è Spike Jonze (Il ladro di orchidee, Essere John Malkovich) a tentare l'impresa che potesse andare davvero a fondo, fino a toccare uno dei punti più deboli dell'essere umano. Nel suo essere macchina perfetta, l'uomo, ha da sempre manifestato una certa, grossa, difficoltà nel gestire le relazioni umane. Qualcosa che nel tempo si è notevolmente evoluto, al passo della tecnologia e del progresso, ma che poi a ben vedere, ha mantenuto lo stesso aspetto, gli stessi colori. 

Her è soprattutto un film che fa riflettere sulla incapacità dell'uomo in quanto soggetto a continue, mutevoli, relazioni con gli altri. Un fatto questo che spesso gratifica, illumina; altre annienta e terrorizza. Theodore/Joaquin Phoenix scrive lettere che appartengono alle vite degli altri, eppure la sua profonda sensibilità gli dà quasi pieno possesso di quelle storie. Theodore vive esattamente in quel futuro non troppo lontano di cui parlavamo all'inizio. Una sorta di smartphone super evoluto, auricolare sempre all'orecchio e un pc da far gola a qualunque appassionato di tecnologia. Nella mente di Jonze, regista assolutamente originale, c'è però l'idea di non voler guardare troppo a questo mondo virtuale, o meglio, non facendone un film a tutti gli effetti fantascientifico. Ad esempio Jonze, fa qualcosa di più rispetto a quanto già visto sul genere. Pensiamo a S1m0ne di Andrew Niccol; lì infatti c'era un regista in crisi (Al Pacino) il quale, sfruttando un software, riesce a dar vita ad un personaggio virtuale, da lui stesso creato. Motivi però ben diversi, da quelli che portano il nostro Theodore ad "innamorarsi" di Samantha (la voce è di Scarlett Johansson), il suo sistema operativo. Dopo un divorzio ancora difficile da accettare, Theodore è un uomo solo. La cui vita si divide tra il lavoro e la casa; una casa vuota, illuminata dal vuoto della solitudine.

La fotografia gioca un ruolo decisivo, nella riuscita del film e di quelli che, immagino, fossero gli intenti del regista. Una luce delicata, colori caldi che fanno inevitabilmente contrasto con il freddo che anima invece l'animo di Theodore. C'è poi, come sempre, quasi fosse garanzia incisa col fuoco sulla pelle, la grandezza espressiva di un attore immenso come Joaquin Phoenix. Una persona soprattutto "sola", che vede in questa nuova trovata tecnologica, qualcosa di più di un sistema operativo impeccabile. Samantha infatti è in grado di interagire con lui, sempre presente 24 ore su 24. Tanto perfetta da sviluppare col tempo, una propria coscienza, ambizioni, desideri, voglia di migliorarsi e, come spesso accade anche agli uomini/e alle donne, giungere a un punto di non ritorno. 


Jonze guarda questo mondo con gli occhi di un regista in grado di raccontare senza giudicare la propria storia. Pregio che hanno in pochi. Theodore vive il suo rapporto con Samantha, come se fosse una donna in carne ed ossa. Anzi, sarà proprio l'assenza di un corpo a rendere questo rapporto unico, speciale. Soprattutto diverso. Perché Samantha è dotata di una simpatia e di un carisma che nessuna aveva mai mostrato a Theodore. Samantha c'è ogni volta che lui lo desidera. E' in grado di comprenderlo, di ascoltarlo, di capire quando è il momento di fare o no, domande. Sa regalargli emozioni reali, come quelle che una donna accanto ad un uomo in un letto, solamente sfiorandogli il viso, può dare. Quello che spesso ostacola i nostri rapporti e fa tristemente da contraltare a tutto ciò che di meraviglioso c'è dietro, è la reale difficoltà nel mantenere in vita tutto. Fare da mogli, amiche, amanti, madri, compagne di giochi e quant'altro, non è mai cosa semplice. Le due donne in carne e ossa, presenti nel film, sono state straordinarie entrambe. Amy/Amy Adams è la migliore amica di Theodore, una donna infelice che ha finalmente trovato la forza di lasciare il marito. Un uomo che voleva controllarla su tutto, soffocandola e uccidendo la sua creatività (non posso dire di più, nel rispetto di quanti non abbiano visto il film. Ma lasciatemi soltanto dire che, il videogioco della super mamma da lei creato, è davvero esilarante!). L'altra donna è Catherine/Rooney Mara, da quel che ci è concesso immaginare, sembra che il matrimonio si sia deteriorato, a causa del suo temperamento. Una donna in gamba e determinata, potrebbe essere un problema per un uomo. In una battuta lei ricorderà a Theodore i suoi tentativi di darle il Prozac...


La situazione di Theodore scivola spesso nell'inverosimile, nel dramma introspettivo, e i dialoghi scritti dallo stesso Jonze sono carichi di ironia e spirito, senza mai eccedere. Credo sia questo il pregio più grande del film, si passa da momenti in cui si ride e si ride davvero, con il cuore; ad altri in cui ti senti avvilire l'anima, perché su quello schermo altro non vedi che un uomo solo, consapevole di aver perso la propria donna perché non sapeva accettare i suoi cambiamenti, il suo crescere. Ed è questo che accade nella vita reale, quando perdiamo qualcuno e rompiamo quel filo che ci legava all'altro. Non siamo pronti davvero, finché non siamo in grado di accettare che la persona che abbiamo accanto, come noi stessi, cambierà. E i cambiamenti fanno paura, tanto da scegliere a volte, un'alternativa che in realtà non c'è, ma ci rende felici.

Il film è stato presentato "in Concorso" al Festival Internazionale del Film di Roma 



venerdì 8 novembre 2013

Dal Festival di Roma - Snowpiercer



L'umanità che corre su un treno indistruttibile, sparato "a mille all'ora" senza sosta, a segnare una crepa indelebile, sulla pelle di una terra ormai condannata a morte. Ovunque si guardi c'è gelo, non esiste vita all'infuori della macchina perfetta, ideata e guidata dal signor Wilford/Ed Harris

Il regista sudcoreano, poco conosciuto (ahinoi) qui in Italia, Bong Joon-ho realizza il suo primo film in lingua inglese, sfruttando inoltre un cast americano/britannico e di immediata riconoscibilità, basti pensare a Chris Evans, Tilda Swinton, John Hurt, Jamie Bell. Snowpiercer è ispirato alla serie a fumetti francese Le Transperceneige, e parliamo di fantascienza cosiddetta post apocalittica. Immaginiamo il mondo intero che si dissolve nel gelo e, parallelamente trova una sola ed unica dimora, per pochi "fortunati", all'interno di questi vagoni autogovernati all'interno, secondo leggi di sopravvivenza, non più, naturale. La struttura del treno prevede un rigido ordine gerarchico, tanto definito da tracciare un netto confine tra i passeggeri della testa e, quelli della coda. I primi vivono godendo di quell'ultimo brandello di accettabile esistenza, fatta di luce e piante, vestiti e bistecche di carne. Si direbbe una vita normale, solo all'interno di un micromondo che corre, senza destinazione. I secondi invece non godono di alcun diritto, se non quello di avere la fortuna di non conoscere il sapore della carne umana. Nel buio della coda però, verranno alla luce i ribelli; ci sarà una vera e propria battaglia, con vagoni/trincee in una terra di nessuno, che non è nemmeno più terra. 

Il film è carico di metafore che giocano a volte, sull'effetto distorto di una violenza tanto assurda da sembrare "stramba". Nonostante poi ci siano delle immagini davvero inquietanti, non tanto però da vietare il film a minori di diciotto anni, si pensa al volto disumano della Swinton e subito dopo alle sue folli espressioni che fanno tanto "Tata Matilda malefica". Rimane nel complesso il gusto di un film che mette l'umanità a dura prova. Durante questa corsa, dove tutto e tutti vanno a tremila all'ora, si corre sempre più di frequente, il rischio di disumanizzarsi. Di perdere per strada la lucidità, che siano delle assurde droghe o la brama di denaro o potere. Si rischia di cadere nelle mani e nelle trappole di chi ci governa, presi dalla disperazione e dalla povertà mentale. Nella visione di Joon-ho è tutto portato all'estremo, è chiaro. E' questo genere cinematografico a richiederlo. Alla fine, potremmo dire, Snowpiercer altro non è che, la corsa dell'uomo alla conquista della propria dignità. Dei propri diritti, della redenzione e della comprensione definitiva di ciò che lo circonda. Non ci è dato sapere, ovviamente, cosa accadrà una volta fermo questo gigantesco treno...

Il film è stato presentato al Festival di Roma, nella categoria Fuori Concorso.

mercoledì 6 novembre 2013

Festival Internazionale del Film di Roma. I film in concorso.



Siamo giunti alla ottava edizione del Festival Internazionale del film di Roma e, come lo scorso anno, "me" ci sarò.

In realtà quest'anno c'è un'importante novità, per quanto riguarda la presenza al Festival; non andrò per conto di terzi, bensì, esibendo orgogliosa e fiera il pass con su scritto "CriticissimaMente". Potete immaginare la soddisfazione, alla fine dopo tanti mali e amare delusioni in questo mondo, nel quale mi sono volutamente incastrata, un piccolo tornaconto che dà un senso piacevole a ciò che sto facendo. 

Vediamo un po' cosa ci propone questo Festival, vediamo i premi e i film in Concorso.
Le linee di concorso del Festival sono tre:

-Concorso internazionale
-CinemaXXI
-Prospettive Doc Italia

I film in concorso

-ANOTHER ME di Isabel Coixet, Spagna, Regno Unito, 2013, 86’

-BEN O DEGILIM / I AM NOT HIM di Tayfun Pirselimoglu, Turchia, Grecia, Francia, Germania, 2013, 125’

-I CORPI ESTRANEI / FOREIGN BODIES di Mirko Locatelli, Italia, 2013, 102’

-DALLAS BUYERS CLUB di Jean-Marc Vallée, Stati Uniti, 2013, 117’

-ENTRE NÓS / SHEEP'S CLOTHING di Paulo Morelli, Pedro Morelli, Brasile, 2013, 97’

-GASS / ACRID / ACRE di Kiarash Asadizadeh, Iran, 2013, 94’

Tanta attesa per Her.


-HER di Spike Jonze, Stati Uniti, 2013, 109’

-LANSE GUTOU / BLUE SKY BONES di Jian Cui, Cina, 2013, 101’

-MANTO ACUÍFERO di Michael Rowe, Messico, 2013, 79’

-MOGURA NO UTA / THE MOLE SONG-UNDERCOVER AGENT REIJI di Takashi Miike, Giappone, 2013, 130’

"Christian, ma vieni o non vieni? Facci sapere..."


-OUT OF THE FURNACE di Scott Cooper, Stati Uniti, Regno Unito, 2013, 116’

-QUOD ERAT DEMONSTRANDUM di Andrei Gruzsniczki, Romania, 2013, 105’

-SEBUNSU KODO / SEVENTH CODE di Kiyoshi Kurosawa, Giappone, 2013, 60’

-SORG OG GLÆDE / SORROW AND JOY di Nils Malmros, Danimarca, 2013, 107’

-TAKE FIVE di Guido Lombardi, Italia, 2013, 100’

-TIR di Alberto Fasulo, Italia, Croazia, 2013, 85’

-A VIDA INVISÍVEL / THE INVISIBLE LIFE / LA VITA INVISIBILE di Vítor Gonçalves, Portogallo, 2013, 99’

-VOLANTIN CORTAO / CUT DOWN KITE di Diego Ayala, Anibal Jofré, Cile, 2013, 77'

CriticissimaMente sarà lì a partire da venerdì 8 novembre. Arriveranno tante foto, aggiornamenti e forse anche resoconti video...insomma, non perdetemi di vista! 
(Scherzo, si fa per dire. Però se ogni tanto venite a curiosare qui, a me non dispiace).

In fondo anche questo è, felicità...



martedì 5 novembre 2013

Cronenberg: "Lui non ha mai capito l'horror e Shining non è un grande film".



Internatelo!
Che qualcuno lo faccia rinchiudere davvero. Abbiamo raggiunto i massimi livelli di presunzione e sciatteria culturale, ma anche una palese stupidità che non conosce un briciolo di pudore.

Durante un'intervista al Toronto Star, David Cronenberg si esprime in questi termini, parlando di Kubrick

"Credo di essere un regista molto più intimo e personale di Kubrick. Lui non ha mai capito veramente il genere horror ed ecco perché trovo che “Shining” non sia un grande film. Non credo che Kubrick avesse capito fino in fondo ciò che stava facendo. Il libro era pieno di immagini suggestive ma lui non credo che le abbia sentite veramente".

Aspettate perché continua:

"Credo che Kubrick fosse un regista molto più commerciale di mente, sempre alla ricerca di finanziatori che potessero produrre i suoi lavori. Io non sono così, e nemmeno altri grandi registi come Fellini o Bergman lo erano".

Beh, in effetti caro Cronenberg, pensando a un Cosmopolis, credo si tratti senz'altro di un film più intimo rispetto a Shining. Intimo come uno straccio da tenere in bagno, a portata di mano nell'evenienza. Una volta questo regista sapeva davvero esplorare terre mai toccate da nessun altro prima di lui. Sapeva trascinare lo spettatore in atmosfere tanto macabre da invadere il corpo, ancor prima che la mente. Riesce a rinnovare lo stereotipo dell'horror che vede al centro dell'attenzione lo scienziato pazzo (Il demone sotto la pelle), il tema della mutazione della carne (Videodrome). E la sua filmografia sarà da tenere in considerazione almeno fino agli anni '90. Dopodiché, il nulla.

Non è la prima volta che il regista canadese si lascia andare a frecciatine da regista saputello convinto. Stavolta però, credo abbia scelto qualcosa di troppo grande, anche per lui. 

Fonte della news cinema.fanpage.it

*Sarei curiosa di sapere cosa ne pensa Jack...




lunedì 4 novembre 2013

|Le vostre recensioni| Arancia meccanica




Arancia meccanica è un film del 1971 diretto da Stanley Kubrick e tratto dallomonimo romanzo scritto da Antony Burgess nel 1962.

E’ un film che merita di essere visto almeno una volta nella vita per sei, ovvie ragioni.

1. Se non lo guardi, potremmo obbligarti a farlo allo stesso modo in cui il Drugo Alex venne obbligato a guardare scene di violenza accompagnate dalla meravigliosa musica di Ludovico Van. Questo solo perché è un capolavoro a prescindere e, anche se non ti piace il genere, dovresti per lo meno avvicinartici solo per la fama che si porta appresso, dimostrando in questo modo la sua immensa, geniale grandezza.

2. Potrà anche farti schifo e sconvolgerti totalmente, ma sappi che se stai leggendo questo articolo   probabilmente non ti è apparso davanti per caso. Ma qualcosa come Arancia Meccanica devi pur averlo digitato.

3. Presentato alla Mostra del Cinema di Venezia nel 1971, fu attaccato duramente dalla peggiore censura democristiana che si occupava di Cinema e aveva il buon Andreotti (pace all'anima sua) come leader incontrastato. E questa mi pare un'ottima ragione per vederselo tutto.

4. Il film ti piacerà sicuramente, se non per le scene di violenza esasperata che possono sicuramente infastidire, almeno per il contrasto musicale che accompagna le brutalità di cui è cosparso il film. La stessa ragione dovrebbe portarti a guardare “Salò o le 120 giornate di Sodoma” di Pierpaolo Pasolini per provare il brivido del macabro e del disgustoso associato ad una produzione cinematografica di alto livello e da una musica vivace tutta da gustare. Mentre nelle stanze della residenza a Salò, però, la pianista si dilettava a suonare delle musiche dolci che accompagnavano i racconti delle ‘donne di vita’ e si accodavano alla straordinaria colonna sonora rivista dal celeberrimo Ennio Morricone, in Arancia Meccanica classici sono i riferimenti al buon Beethoven (per gli amici, Ludovico Van) e inebrianti le note de ‘La gazza ladra’ di Rossini capaci di trasportarti nel relativo piacere per la violenza rappresentata o di renderti, almeno, complice inerme delle angherie del Drugo Alex che sembrano assumere il sapore, davanti a tanta poesia musicale, di un piccolo digestivo dalle ipocrisie del mondo .


5. La tematica del sesso è rappresentata in modo esplicito, forse sicuramente fastidioso e disinibito, ma mai volgare. Talvolta, esibito con l’ironia adottata da Kubrick, può assumere la sfumatura di un atto talmente naturale da risultare – nelle sue molteplici perversioni - quasi artistico. Arte ribadita dai continui riferimenti iconografici che fanno da cornice a tutta la narrazione.

6. Se stai dando qualche esame di storia dell’arte contemporanea dal Neoclassicismo agli anni sessanta del Novecento, potresti restare sconvolto dal riconoscere ne “La ronda dei prigionieri” di Van Gogh la scena in cui il ministro seleziona il pentito prepotente Alex (Malcom McDowell) come vittima sacrificale per la cura Ludwig. Oltre ad un sacco di altri continui richiami artistici.

Davanti a questo film non ti puoi scandalizzare perché:


- Tratta tematiche più che mai attuali esponendo uno dei problemi più diffusi del mondo moderno circa al quale sarebbe bene riflettere e non chiudere gli occhi: la violenza giovanile, nata dal vizio di credere che tutto sia dovuto e da un abbandono quasi remissivo da parte dei genitori, troppo impegnati a lavorare e poco interessati al comprendere i disagi del proprio figlio.

- Nonostante sia un film degli anni Settanta, descrive il potere umano di pochi, oggi più che mai radicato nella società attuale, capace di portare il diverso all’omologazione forzata e rendendolo, talvolta, incapace di prendere delle posizioni attuando delle scelte nella piena consapevolezza di sé e delle proprie necessità.
- Capisci che la violenza è un problema universale che può  colpire tutti allo stesso modo indipendentemente dal ruolo sociale ricoperto.
- Chi si era schierato contro la violenza ha agito con la violenza. E non p forse quello che accade anche oggi?
- Capisci che, usciti dal carcere, reintegrarsi nella società  può non essere un problema da poco perché, anche se sei una persona nuova e turbata, la gente che ha vissuto le tue prepotenze non si sarà dimenticata né la tua faccia né la sua sofferenza. Se la tua famiglia ha preferito allontanarsi da te alla ricerca di una nuova con un figlio modello non genuino risultato dei suoi sforzi ma prodotto di prima scelta ‘impacchettato’ da altre persone, sarà solo per un fallimento personale anche se a te, il fallimento, sembrerà tuo.
- Non ti puoi scandalizzare perché scandalizzarsi è da perdenti. E se hai visto Arancia Meccanica non puoi essere un perdente. In arte lo scandalo non esiste e l’arte è indipendente dallo scandalo. L’arte è indipendente dalla morale, sennò sarebbe essa stessa morale.


In Comizi d’Amore di Pierpaolo Pasolini, Moravia diceva che lo scandalo è una sorta di conformismo: se ti scandalizzi sei pertanto conformista non accettando la diversità e sei tu stesso diverso dagli altri diventando pertanto uguale a chi dagli altri si distingue.

Perciò potrai anche restarne profondamente turbato dalle scene esagerate, non condividere la violenza e restare sveglio per dieci giorni pensando che, forse, quello è il peggiore film della cinematografia mondiale.
Ma se ti sconvolgi davanti ad un capolavoro come questo e dopo anche due anni di disappunto non ne hai ancora apprezzato messaggi e strutture, ti stai scandalizzando davanti alla vita in tutte le sue molteplici sfaccettature.

Scritto da Benedetta Franzin

domenica 3 novembre 2013

Centomila volte CriticissimaMente.



Siamo arrivati a 312 articoli scritti, a 1577 commenti e questo sta a significare tutto il vostro affetto, il vostro esserci da ormai più di un anno. Conta poco oppure è fondamentale, il mio esserci con tutta me stessa, non lo so. Quel che so, è che senza un lettore curioso di sapere cosa raccontino queste pagine, non avrebbe senso nulla. Eppure questo nuovo traguardo, 100.000 visite totali, mi porta a credere che in fondo, io abbia davvero realizzato qualcosa che conti. Per me, chissà, magari anche per qualcuno di voi.

CriticissimaMente è diventato il mio alter ego, anzi, la mia "me" più vera. Anche solo per il fatto che scrivendo qui, tiro fuori qualcosa che altrimenti non saprei e non potrei, rivelare. Queste pagine non parlano solo di cinema, parlando anche della mia vita, della mia persona e mi aiutano a non perdere mai di vista quel punto d'arrivo ideale. Il mio traguardo non so come e dove collocarlo, non so decifrare la distanza in termini di tempo e spazio. Ma ogni volta che i vostri occhi si voltano da queste parti e si fermano, continuano a leggere senza domandarsi perché, beh. Per me è come tagliare quel traguardo. 

Non saprei cos'altro aggiungere, se non il mio più autentico e sentito GRAZIE! 
E siccome io ho pensato a lui, e ai suoi Sballi ravvicinati del 3° tipo, la voglio dedicare anche a voi...

E centomila occhi si voltarono 
a guardare il cielo 
con un sospiro leggero, 
da quella parte sì, e da quella parte che 
sarebbero venuti, loro 
l'aveva detto il vecchio pazzo 
che abitava il monte 
nessuno aveva dubitato 
delle sue parole 
avevano bisogno di loro 
sarebbero venuti in volo...


sabato 2 novembre 2013

"Quello che resta" - A Terni, una mostra dedicata a Pier Paolo Pasolini.



Alla galleria DaCo di Terni, parte sabato e resterà attiva fino al 1° dicembre, una mostra fotografica dedicata a Pier Paolo Pasolini. Gli scatti del fotoreporter Sandro Becchetti, raccontano l'uomo che fu, l'intellettuale, scrittore, regista, poeta e giornalista italiano. Becchetti, scomparso lo scorso giugno all'età di 78 anni, ha collaborato con importanti testate giornalistiche italiane e internazionali, La Repubblica e Liberation

Segnalare questa mostra, proprio oggi che ricorre l'anniversario della morte di Pasolini, non è certo un caso. Quando si parla di quel 2 novembre 1975, si torna a quell'immagine terribile che racconta uno dei più macabri fatti di cronaca. Quella notte, all'idroscalo di Ostia, si stava compiendo un episodio di una violenza atroce, assurda;  figlio del male radicale dell'umanità, lo stesso di cui l'autore ci parlava spesso.

Le parole di Moravia in questo senso furono significative: « La sua fine è stata al tempo stesso simile alla sua opera e dissimile da lui. Simile perché egli ne aveva già descritto, nella sua opera, le modalità squallide e atroci, dissimile perché egli non era uno dei suoi personaggi, bensì una figura centrale della nostra cultura, un poeta che aveva segnato un'epoca, un regista geniale, un saggista inesauribile. »


Gli scatti di Becchetti parlano soprattutto dell'uomo che fu, Pasolini. In un bianco e nero sincero, la più famosa forse, quella in cui tiene fra le mani Le ceneri di Gramsci, oppure quella accanto alla madre nella casa del quartiere romano, Eur. Oltre alla mostra, ci sarà venerdì 8 novembre, un reading letterario, con protagonisti gli Scritti Corsari dello stesso Pasolini.

*Fonte della news www.umbria24.it
Vorrei specificare che nell'articolo, non è chiaro a quale sabato si faccia riferimento. Se oggi, o il prossimo. Appena ne avrò conferma, aggiornerò il post.

Tutto questo, per ricordare un grande, seppur difficile, artista.

"Quando penso a Pasolini, a come agiva rispetto alla società, alle cose, mi stimo molto poco". (Massimo Troisi)

venerdì 1 novembre 2013

Cosa c'è di buono in sala? Andiamo a vedere...



E insomma Checco Zalone con le sue ben settecentoquattordici sale, si accinge a presentare il suo ultimo lavoro Sole a catinelle. Che dire, viva l'abbondante illogica della distribuzione italiota! Non mi sento di aggiungere altro, anche se magari, due risate in sala potrebbero dare un genuino senso all'acquisto del biglietto. Genuino e non cinematografico. 


Captain Phillips - Attacco in mare aperto di Paul Greengrass
Tom Hanks è qui il capitano Phillips, il quale si ritrova a guidare una nave attaccata da pirati somali. Questi cercano un riscatto, e il Captain viene rapito.


Before Midnight, di Richard Linklater
Vienna, Parigi e ora la Grecia. Dal 1995 a oggi, 2013. Terzo capitolo della storia di Jesse e Celine. Protagonisti ancora Ethan Hawke e Julie Delpy. Da vedere? Sì dai...ma recuperate (recuperiamo) gli altri due prima, mi raccomando. Before Sunrise e Before Sunset. (Lo faremo...)


Blancanieves, di Pablo Berger
Rivisitazione latina e surreale della favola dei fratelli Grimm. Bah, non saprei...


Zoran, il mio nipote scemo, di Matteo Oleotto
Opera prima per il regista, una commedia sullo sfondo di un paesino friulano e questo Giovanni Battiston, che a me non dispiace affatto. Una possibilità gliela darei.


Miss Violence, di Alexandros Avranas
Qui la paura è tanta, ma le aspettative le corrono dietro. Quasi Leone d'oro a Venezia, questo regista greco racconta una storia familiare agghiacciante, costruendola come un thriller di cui più di tanto non si può svelare. Una ragazzina che muore, cadendo dal balcone di casa, proprio il giorno del suo undicesimo compleanno. Si è uccisa? E' stato un incidente? Non ci resta che andare, direi.


Smiley, di Micheal J. Gallagher
I serial killer che escono dagli schermi o da qualsivoglia dispositivo rettangolare/quadrato, per me, potrebbero anche estinguersi. 


Un castello in Italia, di Valeria Bruni Tedeschi
In teoria dovremmo soffermarci sul biografico della Tedeschi, famiglia di industriali eccetera eccetera; ma potrebbe compromettere tutto la presenza di un tale Louis Garrel e Filippo Timi...quasi quasi. Sono pur sempre una donna, cercate di capire.



Il pasticciere di Luigi Sardiello
Si parla di commedia noir, un pasticciere che si ritrova protagonista di un noir. Antonio Catania, Rosaria Russo...non so. Ma lei non era quella delle arance rosse?





Fra imbecilli che vogliono cambiare tutto e mascalzoni che non vogliono cambiare niente, com'è difficile scegliere!
(Gesualdo Bufalino, Il malpensante, 1987)



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