sabato 28 dicembre 2013

I migliori film del 2013 (così fan tutte/i)



Ti pare che non sarebbe arrivata anche qui, la tanto in voga "Top Ten" dei migliori film del 2013?
Intanto, che bello tornare a casa e ritrovare tutti voi! Non è una sviolinata...
Sarà che nonostante tutte le cose belle che incontri quando sei fuori in vacanza, arriva un punto, inevitabile, in cui senti il bisogno di "tornare". Sì magari non vale per tutti, per me sì però. Una settimana in Trentino, tutto bellissimo, neve e cioccolata calda, ma immaginate sette giorni senza nemmeno un film come tradizione vuole. Niente cinema. Anzi, la dico tutta? Sì, la dico tutta. La notte del 24 per non fare la guastafeste ho accettato di vedere Cado dalle nubi. Lo so è terribile, ma era pur sempre Natale, che facevo?

Dunque, per riprendermi dal trauma Zalone, servito in maniera coatta e in allegra compagnia, mi sembrava doveroso riprendere, secondo quanto accade nel web in questi giorni. La classifica dei migliori film del 2013. Se ne trovano in ogni dove, e mi chiedo perché continuare a leggerne delle altre. La risposta è semplice. Siamo assatanati di classifiche, ne siamo schiavi. E poi ci piace così tanto confrontare i nostri gusti e i nostri film, un po' alla maniera dei vecchi album di figurine. 

Premetto che la mia classifica potrebbe essere aggiornata nel giro di pochi giorni. Lo dico perché domenica andrò a vedere Walter Mitty e, ci sono buone probabilità che faccia centro da queste parti. Poi non dimentichiamo i grandi non visti quest'anno. Sono troppi. 
Che dirvi, nel mio piccolo, ecco la classifica dei "miei" film del 2013.

1) The Master
2) La grande bellezza
3) Django Unchained
4) Her
5) Lincoln
6) Noi siamo infinito 
7) Rush
8) Snowpiercer
9) Il lato positivo
10) Pain & Gain - Muscoli e denaro



venerdì 20 dicembre 2013

A Natale puoi...




Certo se davvero si potesse fare tutto ciò che si vuole, oppure che si potrebbe fare ma non è poi così semplice da render concreto, sarebbe il miracolo per antonomasia. Il Natale.

Nell'antica Roma si festeggiava Saturno, noi siamo abituati a celebrare la nascita di quel bambino universalmente noto come Gesù ("noi" si fa per dire, pensiamo a Gesù mentre come pazzi posseduti corriamo nei centri commerciali alla ricerca del "pensierino" giusto per i plurimiliardi di parenti?). No.
Poi l'imperatore Aureliano decise che proprio il 25 dicembre si dovesse festeggiare il Sole e da lì, il ceppo che brucia in casa e lasciarlo per dodici giorni di fila. Quante cose dietro il Natale...Noi abbiamo le lucine psichedeliche sull'albero e non ci facciamo mancare nemmeno quelle sopra la porta, o lungo la ringhiera delle scale. Ci spremiamo le meningi per la spesa e durante la fila chilometrica al supermercato, davanti alle casse, iniziamo a domandarci sul serio: ma chi cavolo me lo ha fatto fare? Ma che senso ha?


Eh, bella domanda. Che senso ha? Boh.
Io non festeggio il Natale per la nascita di Gesù, anche se sono cristiana (penso, forse, credo). Sì ecco non ho un credo e non pratico nessuna religione a ben vedere, anche se non penso di meritare un posto all'inferno, tutto sommato, "sono una brava cristiana" anch'io. Per quanto mi riguarda il Natale e tutte le feste presenti nel nostro calendario, hanno sempre rappresentato un'occasione per stare tutti insieme (appassionatamente); un modo piuttosto masochista di mettere sotto lo stesso tetto parenti, magari che non si parlano da secoli, e rischiare di dare i numeri non solo durante la tombola. Ricordo sorrisi e partite a Bestia come non ne verranno mai, ma ricordo anche situazioni meno piacevoli o problemi vari legati a Tizio che non parla con Caio e allora: "se viene lui io non vengo" etc etc.

Da quando sono mamma devo dire, vivo tutto con molta più serenità e un pizzico di menefreghismo. Non è male, perché è quell'ingrediente fondamentale che ti aiuta a vivere con maggiore serenità e ti evita molti problemi e rotture di balle insostenibili. Io personalmente non ho più, né la voglia, né la pazienza di stare dietro a storie che mi urterebbero solo il sistema nervoso, quindi per non sbagliare, evito tutto. (Carini e coccolosi, carini e coccolosi!). Se davvero a Natale potessi fare ciò che vorrei, stopperei la mia vita per un secondo e resterei così a guardarla e ad ascoltarla. Senza muovermi e senza che nessuno e niente possa interagire con me. Col sorriso stampato a tremila denti, presente con il corpo e lontana anni luce con la mente. Mi accontento di poco eh? 


A Natale puoi, ma alla fine si è schiavi di idee e usi che ci portiamo dietro da secoli, senza nemmeno capirne il senso. Non cambia la cosa per quelli che la notte del 24 vanno in Chiesa e pensano di essere gli eroi moderni. Anzi. Ho sempre avuto un debole per quelle famiglie che alla fine si perdono tra tombole e pandori farciti di tutto, tra l'odore di fritto e lo zucchero a velo che aleggia ovunque. Senza troppe pretese, con pacchetti umili da scartare insieme e senza preghiere o raccomandazioni a chissà quale Dio. Anche peccando di un po' di ipocrisia, e sforzandoci di andare tutti d'accordo per una sera o due soltanto, a modo nostro compiamo il miracolo. Ci sforziamo di stare in armonia, ci riusciamo. E' che ci sfugge durante tutti gli altri 362 giorni. Forse è vero o semplicemente ci piace pensare che lo sia. 
A Natale puoi...

P.S. Un modo per salutarvi e per augurarvi Buone Feste, buon anno nuovo e buon tutto. Domani parto e non riuscirò a scrivere almeno fino al 27. Vi abbraccio tutti tutti, ma proprio tutti. 
Ci si vede nell'anno nuovo!!!

lunedì 16 dicembre 2013

Looper as Killer Joe



In realtà ho realizzato questa cosa pochi minuti fa. Ovvero poco prima di entrare su Blogger e iniziare a scrivere questa recensione. Sarei curiosa di sapere quanti di voi siano stati in grado di visualizzare questa cosa, dunque questo trittico che coniuga volti, tempi e spazi differenti e riallaccia in maniera buffa e priva di logica, due film che in comune hanno solamente la professione cinematografica tra le più note. Essere killer comporta una serie di conseguenze, tra le tante, anche quella propria dello spettatore, il quale arriva a tracciarsi una sorta di mappa riguardo i migliori killer della storia del cinema.

Looper è l'ultimo passo che delinea una fisionomia piuttosto futuristica e molto sci-fiction del killer per professione. A dirigere Joseph Gordon - Levitt/Bruce Willis in questo action molto fumettistico anche, è il regista statunitense Rian Johnson, terzo film per lui dopo Brick - Dose mortale e The Brothers Bloom. Scritto e diretto dallo stesso Johnson, Looper ha molti spunti interessanti, primo su tutti ovviamente l'idea di poter continuamente viaggiare nel tempo, e modificare ciò che nel futuro ci attende. Certo la vita dei cosiddetti Looper/killer non è facile. A ora e luogo prestabilito, un uomo incappucciato (proveniente dal futuro), apparirà davanti ai loro occhi, con il solo ed unico scopo di premere il grilletto e lasciare di quel corpo, solamente la cenere.


Uccidere non è il solo reato di cui si macchia un Looper, perché anche viaggiare nel tempo è considerato illecito e altro reato gravissimo. Quello che cattura e manda in tilt, soprattutto all'inizio, è questo giochino legato alla vita di un Looper. In teoria basterebbe capire che per chiudere definitivamente il contratto da killer, ogni Looper deve eliminare il proprio sé del futuro. Quello che, in poche parole, ti si presenta davanti, palesandosi chiaramente grazie alla impressionante somiglianza. Il compito del Looper è premere il grilletto, ma quando Joe/Levitt vedrà il suo corpo invecchiato di circa trent'anni (Willis) le cose si complicano e inizia la caccia all'uomo, anzi, agli uomini. 

*La differenza con il Killer Joe di William Friedkin è che Matthew McConaughey porta il cappello ed è meno futuristico e più teatrale di Levitt. (Sì è un'osservazione banale).
Torniamo a parlare del film di Johnson.

Mentre Joe del futuro cerca di sistemare la propria vita, il nostro Joe contemporaneo si batte per sfruttare il tempo e questi spostamenti, al fine di cambiare non solo la propria vita. E' interessante il modo in cui il film a volte si ferma a riflettere e a far riflettere. A ben vedere la prima parte è molto fantascientifica, quasi un noir futuristico. Poi apre la strada a delle luci nuove, la campagna e il corpo gracile e forte di una donna (Emily Blunt) con il suo bambino. Qui ci sarà la svolta, non solo per Joe, ma anche per la vita segnata dagli eventi tragici e violenti, cui sarà vittima un bambino.


Looper non è perfetto, ma si lascia guardare volentieri. Joseph Gordon - Levitt è vergognosamente uguale a Bruce Willis; la Blunt credo faccia bene ogni ruolo le venga assegnato. Concluderei dicendo che il film, anche se non lo metterei mai nei migliori del 2012 come ha fatto il nostro amico Quentin Tarantino, risulta un bel modo di riflettere sulle scelte che facciamo e di come queste, inevitabilmente, vadano a pesare anche sulla vita degli altri.


mercoledì 11 dicembre 2013

E l'uomo grida: "bruciate i libri!"



Incredibile, svegliarsi la mattina e prendere atto del fatto che ancora esistano esseri beoti, capaci di tirar fuori la voce dell'inciviltà più estrema. Siamo nell'era del progresso, in quella che dovrebbe rappresentare l'evoluzione della specie e delle leggi che ci governano. Ma dove? Come? Ovunque si guardi c'è un motivo per credere che la nostra sia una delle epoche più infelici e figlia del regresso, sotto ogni punto di vista.

A Savona, leggo, sono stati non pochi i disagi arrecati dai cosiddetti Forconi. Petardi e addirittura lacrimogeni lungo le vie e alcune piazze della città. Ma la vetta dello schifo si è raggiunta davanti la libreria Ubik. I manifestanti prendono di mira i lavoratori urlando: "bruciate i libri!", "chiudete la libreria!". Ma di quanti secoli stiamo tornando indietro?

Sulla pagina facebook Libreria Ubik Savona viene pubblicato ieri un estratto di cronaca in riferimento ai fatti vergognosi che hanno visto sotto minaccia la cultura e la sola possibilità che avremmo, di salvarci. Gli amministratori della pagina decidono, con grande intelligenza e civiltà, di regalare ai manifestanti questa poesia. Con la speranza (vana) che questi possano un giorno, prima o poi, riflettere.

Lode dell'imparare

Impara la cosa più semplice!
Per quelli il cui tempo è venuto
non è mai troppo tardi!
impara l'abc: non basta è vero,
ma imparalo! Non avvilirti!
Comincia! Devi sapere tutto!
Tocca a te prendere il potere.
Impara, uomo all'ospizio!
Impara, uomo in prigione!
Impara, donna in cucina!
Impara sessantenne!
Tocca a te prendere il potere!
Frequenta la scuola, senzatetto!
Procurati sapere tu che hai freddo!
Affamato, impugna il libro: è un'arma.
Tocca a te prendere il potere.
Compagno, non temere di chiedere!
Non dar credito a nulla,
Controlla tu stesso!
Quello che non sai di tua scienza
in realtà non lo sai.
Verifica il conto:
tocca a te pagarlo.
Poni il dito su ogni voce,
chiedi cosa significa
Tocca a te prendere il potere.

Di Bertolt Brecht



martedì 10 dicembre 2013

Nightmare Before Christmas - Il cinema, la poesia e una collina bianca.



Era da tempo che avevo voglia di parlare di uno di quei film, che riempiono il cosiddetto cassettone degli amori cinematografici. Aprirlo ogni volta, è come scoprire un mondo nuovo mai esplorato prima. Una musica mai ascoltata che sembra rimetterti in pace con tutto e tutti, e con te stessa.

E nonostante tu quella musica l'abbia ascoltata infinite volte, è sempre come la prima di una lunghissima serie. Nightmare Before Christmas è un film d'animazione che vanta della ripresa a passo uno, meglio nota con il termine stop-motion e meglio associata al nome di colui che del passo uno ne ha fatto il proprio stile. Anche se a me piace parlare di Tim Burton come di un regista che non sfrutta lo stop-motion per farne stile, bensì necessario strumento per comunicare in maniera efficace, raccontare e scavalcare quello schermo, arrivando dritto al cuore di chi vi è davanti. 


Dietro Nightmare c'è una lunga storia che si potrebbe provare ad ascoltare con la voce di Vincent (anche perché Tim quando ha scritto la sua poesia illustrata, aveva immaginato che a leggerla fosse proprio Vincent Price), e se per caso riuscissimo a comprendere tutto ciò che passava nella testa del suo autore visionario e appassionato, sarebbe la cosa più straordinaria che potremmo concederci. Nella vita, così come nel cinema e nell'arte in genere, il segreto è abbandonarci e andare oltre noi stessi, oltre ciò che ci passa davanti e che abbia una forma. Arrivare oltre l'apparenza è la missione del cinema di Burton, la sua chiave fondamentale che aiuti a comprendere ogni suo film. Tutto nasce da una poesia  che Tim scrisse nel 1982, subito dopo aver realizzato il suo Vincent. Ovviamente accadde qualcosa di abbastanza prevedibile, poiché la Disney considerava troppo macabro il progetto di un film, poco in linea con i canoni rassicuranti della fiaba. Fu così che passarono quasi dieci anni, e Tim tornò a parlare di quel progetto messo via e da lui mai dimenticato. Diciamo che a distanza di anni e visto pure il successo di un regista che stava affermandosi nell'olimpo (erano gli anni del post Edward mani di forbice e Batman) la Disney rivalutò la cosa e nel 1991 partì ufficialmente la produzione del film.


Perché Burton decide di affidare un suo progetto ad un altro regista? Me lo sono chiesta spesso anch'io e se per caso ve lo foste domandato anche voi, la risposta è di ragioni meramente pratiche. Burton a quei tempi era impegnato nelle riprese di Batman - Il ritorno (1992), sapeva che un film in stop-motion richiedeva moltissimo tempo, così decise di delegare il tutto ad una persona fidata e di vero talento. Henry Selick era la persona giusta, tanto che tutte le paure di un possibile conflitto durante la lavorazione del film, sono state annullate da una straordinaria intesa professionale. Ci sono voluti tre anni per realizzare Nightmare Before Christmas, e durante questo periodo Tim appena poteva, raggiungeva gli altri negli studi, oppure si faceva mandare qualcosa. Tre anni e cento uomini impegnati, a dar vita a quella poesia immaginata dalla mente di un regista incredibile. 

Di cosa parliamo? Di pupazzi senza occhi (perché all'inizio nei disegni di Burton, tutti o quasi, i suoi personaggi, erano privi di occhi) che si tengono su a fatica. Jack e Sally credo siano i degni rappresentanti di un cinema che non avrà mai pari, perché sono gli eroi degli emarginati, degli incompresi dal mondo che li guarda e ha paura. Le passioni che bruciano e animano tutti gli uomini non aiutano Jack Skeletron, il re della città di Halloween, il quale all'improvviso scopre il Natale. I colori, i suoni e i sorrisi che mancavano ad Halloween Town, danno a Jack un motivo per rompere la monotonia del suo fare "bu" ai bambini; perché in fondo non era seminare terrore che lo rendeva davvero felice. Jack vede nel Natale la possibilità di dare corpo ai suoi sogni, anche se questi non erano mai stati chiari. Sally mi ricorda la fragilità dell'essere umano, la fatica dello stare al mondo. Non vi è mai capitato di raccogliervi da terra e provare a riassestarvi, dopo una caduta, dopo una delusione? A me sì. Capita spesso e ogni volta che vedo quei segni sul corpo di Sally penso a quanto enorme sia, la capacità comunicativa di questo cinema. 


Tante mani e una miriade di idee che viaggiano alla velocità della luce. 24 fotogrammi al secondo e una serie infinita di sfumature che un attore in carne ed ossa mai, saprebbe trasmettere. Questa è la magia di un cinema artigianale; quando poi incontra lungo il cammino, la fantasia di un regista che vive di queste emozioni animate, è l'apoteosi dell'arte che racconta la vita. Io ancora oggi provo a cercare qualcosa che somigli anche solo lontanamente a un pezzetto di magia racchiuso in questo film, e non lo trovo. Nightmare Before Christmas è una musica concitata  ma soave al tempo stesso. E' una manciata di neve bianca, è puro come il sentimento di un bambino che aspetta di scartare un pacco, senza grosse pretese. 

Una poesia che prende vita, che esplode senza far rumore e senza far male a nessuno; in cima ad una collina innevata, per poi placarsi in un lungo abbraccio. Come uno di quei libri che apri e ti catturano l'anima.

lunedì 9 dicembre 2013

L'amore è imperfetto



Certo questo periodo è davvero assurdo, e lo è anche cinematograficamente parlando. Non solo ho poco tempo per vedere film e di conseguenza per scrivere, ma quei pochi che riesco a vedere sono ciofeche immani. Ma prendiamola con la giusta filosofia, e pensiamo che alla fine piuttosto che niente sia meglio piuttosto. Mmm, ho i miei dubbi lo ammetto.

L'amore è imperfetto è il primo film della scrittrice Francesca Muci, mi raccomando da non confondere con L'amore imperfetto di Giovanni Davide Maderna. Io non ho la più pallida idea di chi sia 'sto qua, però mi sembrava giusto dirlo, dal momento che l'ho appena scoperto anch'io. Dunque la Muci che fa di bello? Beh, chiaro che la risposta sia "un cavolo di niente".


Questo film risulta essere un patetico tentativo di raccontare l'amore più complesso dal punto di vista della donna, molto spesso non compresa e più facilmente giudicabile. L'amore imperfetto in realtà non parla d'amore, ma di come la vita e le svariate delusioni possano cambiare il tuo percorso. Di come determinate esperienze ti portino col tempo a pensare a cose fino a ieri impensabili e, soprattutto, a riconsiderare tutto ciò che va messo sotto la nuvoletta gonfia dell'ammore. Non è che ci riesca eh, attenzione. Purtroppo nulla va come dovrebbe e la povera regista esordiente dimentica che per rendere credibile una storia, bisogna se non altro caricare la giusta dose di anima e quel briciolo di pathos che perfino Sentieri o Terra Nostra avevano.
La protagonista femminile Elena/Anna Foglietta è (poverina) incapace di rendere quello che forse aveva in mente la Muci. Non è che slinguazzare un sigaro e fare lo sguardo da gatta morta, basti a fare un film passionale e stimolante dal punto di vista erotico. Qualcuno, mi spiace, ma dovrà pur farglielo capire. Ma d'altronde, ci siamo rinvigorite e ringalluzziti con il best seller delle sfumature grigio/rosso/nere o simili...

Per l'appunto...
 
La cosa più ridicola è il tentativo di raccontare l'amore imperfetto che si riconduce banalmente al rapporto con una ragazzina, al voler dare libero sfogo a passioni illecite perché mai pensate prima. Così come il rapporto con un uomo più grande o la scenata al ristorante di fronte a colui che di punto in bianco ti si rivela come la più terribile delle sorprese. Gli attori non reggono la storia che poteva essere e, non è stata. Nel baratro ci si arriva con l'accenno ad una delle cose più orribili che a una donna possano capitare. Una maternità negata, una figlia messa al mondo e lasciata all'uomo che ci ha stravolto l'esistenza. Una donna dietro la macchina da presa non può accennare con superficialità tanto dolore. E quella stessa macchina che poi si poggia sul sorriso di una bambina ormai cresciuta, non comunica nulla di più di quello che potremmo definire: un film imperfetto. 

giovedì 5 dicembre 2013

Zoolander, oltre la stupidità.



C'era una volta un tipo veramente stupido. Ma stupido stupido, tanto che se la stupidità avesse una forma e un nome, con buone probabilità, sarebbe un modello-sirenetto, chiamato Derek Zoolander.

Eppure qualcosa mi dice che la storia di questo tipo così stupido, non è del tutto inutile. Può essere un film stupido stupido in modo assurdo e al tempo stesso avere qualcosa, (sotto sotto) che non vada perduto completamente?Secondo me sì. Perché il cinema spesso si prende gioco della stupidità e tende ad estremizzare quelle situazioni e quei soggetti "curiosi" che sul grande schermo hanno, alla lunga, generato un vero e proprio filone cinematografico. Le parodie e i film demenziali hanno, inevitabilmente, segnato anche le nostre strade e non ditemi che siete rimasti indifferenti alla passione calda di Topper e Ramada, oppure alle gesta di un uomo in calzamaglia e del suo fedele compagno dal Bellosguardo...

Ebbene, anche Ben Stiller ha voluto lasciare il segno lungo questa scia di genere che guarda e grida alla demenza. E lo fa dopo aver diretto un suo primo lungometraggio, Giovani, carini e disoccupati e un secondo Il rompiscatole. Zoolander è del 2001 e l'idea di questo modello abbastanza stupido arriva da un personaggio inventato in occasione dei VH1 Fashion Awards del 1996. Figlio della fantasia che naviga nell'eccesso dei mari della commedia americana e della parodia, Ben Stiller racconta una storia che va a far luce sul mondo, spesso spietato, della moda. Inserendo con intelligenza numerosi cameo a rappresentare figure di spicco degli ambienti più sotto i riflettori, dal mondo della musica a quello dello sport, dalla tv alla moda e così via. E' chiaro che basterebbe ricordare quello di un certo David Bowie, per confermare quanto detto prima. Ma non sarebbe sufficiente per accontentare i più scettici, quelli che, per intenderci, hanno visto Zoolander e altro non vedono, che un film stupido stupido in modo assurdo.


Inutile, demenziale, volgare, pesante sotto alcuni punti di vista; è vero, il film a volte eccede ma d'altronde è così che fa la vita stessa, e non è credibile il nostro spalancare gli occhi di fronte ad un adorabile bambino chiamato Anacletino, il quale reclama il suo "diritto allo sfruttamento". In Zoolander domina la follia e il senso di vuoto che muove questi personaggi della moda, come fossero manichini di gomma e stupidità. Scolpiti nel corpo ma disintegrati e deformi all'interno. Derek non è il solo eroe stupido e inconsapevole di questo suo stesso film. Accanto a lui un altro esplicito volto dei Frat Pack ( Ben Stiller, Jack Black, Will Ferrell, Vince Vaughn, Steve Carell e i fratelli Owen e Luke Wilson ), appunto Owen Wilson. Hansel, il modello appena arrivato, quello che "Va un casino quest'anno". Un po' figlio dei fiori e svitato non meno del nemico/amico Derek; sarà fondamentale il suo aiuto e quello della giornalista Matilda/Christine Taylor per evitare il tragico finale.

Certo Derek è veramente stupido, anche Hansel. Però qualcuno addirittura ha paragonato il primo a un Forrest Gump inconsapevole. Beh, un po' il candore e l'ingenuo far fronte a situazioni più grandi di lui, lo ricordano. Stiller disegna il cattivo nelle fattezze di Mugatu/Will Ferrel, addirittura arricchisce il suo film stupido con citazioni al grande maestro Kubrick per ben due volte (il Mac oggetto misterioso per i due sapiens e il lavaggio del cervello ai danni di Derek, come fosse un Alex DeLarge).
La stupidità secondo me, e credo sia questo il pensiero dello stesso regista, è un po' come un vizio o un modo per mascherare la nostra estrema incapacità di stare al mondo. Credo dipenda molto da noi stessi, ovviamente parliamo della stupidità che non ci aiuta nemmeno a capire che, con il corpo cosparso di benzina, non è proprio indicato accendersi una sigaretta. Ecco. Siamo figosi mica immortali.


La stupidità a volte è anche una fase della nostra vita, quella che anticipa e spiana la strada alla maturità. Io in Zoolander non ho visto solamente un cretino incapace di svoltare a sinistra. E lo dico ammettendo anche una certa tenerezza e commozione, esplosa in me all'improvviso; quando ho visto questo "ciocco" nell'attimo più intimo che abbia mai avuto con se stesso. Quando confessava a uno dei due uomini che avrebbero voluto fregarlo (nonché papà Stiller), che qualcosa in lui stava cambiando. Che magari una vita avrebbe avuto più senso se spesa a fare qualcosa di utile per gli altri. Magari per i ragazzi in difficoltà. E per quanto mi riguarda, quando Derek dice che, solamente ad aver pensato di fare una scuola per i bambini meno fortunati, che li avrebbe aiutati ad imparare a leggere, e che questo pensiero era stato per lui come l'esperienza più grande della sua vita, beh. Con la lacrimuccia e il sorriso di uno spettatore commosso e intenerito all'ennesima potenza, io dico:
"a volte c'è dell'altro oltre alla stupidità stupida in modo assurdo. Spetta a noi scoprire di cosa si tratta".



lunedì 2 dicembre 2013

Ma chi l'ha detto che "basta poco"?



Questo periodo è davvero strano per me, difficile da decifrare. A ben vedere avrei poco da lamentare, visto il tanto atteso lavoro che finalmente è arrivato, e poi mi basta guardare i miei figli per capire che la felicità ce l'ho a portata di mano, tutti i giorni della mia vita. 
E su questo nulla da replicare. Ma io credo che l'essere umano passi per forza lungo quei viottoli complicati e stretti, quelli che ti fanno rallentare e danno alla tua testa articolata (e psicolabile) tutto il tempo (maledettissimo) per pensare, e ripensare, pensare...

Mi odio quando penso troppo, e odio tutto ciò che mi passa per la testa. Ditemi che succede anche a voi, vi prego!!! Che poi è banale a volte, la maniera di complicarsi la vita e le giornate. A me ad esempio basta leggere due righe e mi si ribalta l'umore e la visione generale della mia esistenza. Non mi ricordo nemmeno dove, né quando, ricordo solamente di aver letto una cosa del tipo: "Basta veramente poco per essere felici, a volte basta ignorare ciò che non possiamo avere, e apprezzare di più quel che abbiamo".

M'hai detto poco...
Secondo me la moda del "basta poco" è un po' come la fede, o ce l'hai o non ce l'hai. (La fede dice quel che i sensi non dicono, ma non il contrario di quel che i sensi vedono. È al di sopra e non contro. Blaise Pascal). Ti annulli anche l'ultimo briciolo di ambizione o pretesa, nei riguardi del mondo e soprattutto verso te stesso/a, e vai avanti, convinto/a che tutto ciò che hai sia esattamente ciò che volevi. Sì, come no.
Secondo me chi ha davvero tutta la felicità a portata di mano, non ha nemmeno il tempo di porsi miliardi di domande o di incazzarsi con l'umanità. Non ci credo nemmeno se lo vedo con i miei occhi. Ed è probabile che io non lo vedrò mai. Esiste davvero "tutta la felicità"? 
Parliamoci chiaro, la felicità assoluta non credo esista. Perché è per sua natura frammentaria. E quando Blaise Pascal scriveva: "basta poco per consolarci, perché basta poco per affliggerci", forse non aveva tutti i torti. 

Cerco "basta poco" su Google, e le primissime voci che appaiono, in ordine, sono: il singolo della Vanoni, il Basta poco di Vasco Rossi, una pizzeria a Latina e poi questo libro scritto da Antonio Galdo, intitolato per l'appunto Basta poco. Il libro di Galdo mira ad una missione ecologica che possa salvare il mondo, dallo spreco e dal capitalismo senza anima. Interessante, ma ben diverso dal mio basta poco. 

Anche Ikea punta alla filosofia del Basta poco per vivere meglio, che ve lo dico a fare...
Non so se abbia un senso ragionarci su, d'altronde ci sarà mai un senso dietro a tutti questi nostri trip mentali? Sarà che per mia natura tendo a diffidare di tutto ciò che passa per universalmente utile e vero. La cosa mi puzza e non mi convince, anche perché io so che, se davvero mi facessi bastare tutto ciò che ho, non avrei nemmeno la voglia di andare avanti e guardare quel punto mai a fuoco. Perché in quel puntino sfocato io sento il pizzico della voglia di vivere. La molla che mi scatta e mi fa guardare senza certezza, al domani. L'unico modo che ho di lasciarmi sempre a disposizione un'alternativa. Che sia migliore o peggiore, non importa. Ma arenarsi sul basta poco, per me, equivale a fermarsi e a smettere di vivere.

La mia felicità va e viene, come diapositive che si danno il cambio su una grande parete e parlano di me. La felicità è quando vedo me su quella parete, e i miei sorrisi che non mentono e non devono camuffare nulla. La felicità è quando penso sia arrivato il momento di fare qualcosa di nuovo, di buttarmi e provarci pur di non rimanere immobile. Il paradosso del tempo poi, che lamentiamo essere sempre troppo poco, si rivela ingannevole. Perché, se ci fate caso, quando il tempo è poco la nostra vita si riempie e ci rimane quasi impossibile fermarci a pensare. Avere tutto quel tempo a disposizione invece è deleterio, ci uccide lentamente e ci corrode corpo e anima. 

Tutto questo brodo alla fine, per dire che la storiella del Basta poco è una grande bufala. Non è vero che basta poco per essere felici. 
Basta il giusto. E questo quasi sempre, equivale a ciò che vogliamo.

*L'immagine è opera di Fernando Botero, Pic nic 1989



mercoledì 27 novembre 2013

Hello! I must be going - Come la prima volta




Il sapore Sundance si avverte fin dalle prime inquadrature, e si dipana nel corso del film partendo dal disagio e da tutte quelle intime, ma devastanti, esplosioni che mettono alla prova i protagonisti.
Hello! I must be going di Todd Louiso, è infatti il dramma (soprattutto) interiore di Amy Minsky/Melanie Lynskey, una donna appena lasciata dal marito e in apatia totale da più di tre mesi. Chiusa in casa dei genitori sempre con la stessa maglietta, "quella con il fulmine sulla tetta", come dice la signora Minsky.

Lacrime davanti alla tv, con i film dei fratelli Marx e ogni tanto una parola, seppur spicciola, di conforto da parte del padre, quello che sembrava capirla meglio. Amy amava sentirsi sposata, condividere la vita con un uomo in carriera, con tutte le conseguenze che questo comporta. Certo non fino alla storiella extraconiugale con la collega. Non saranno i vari tentativi dei genitori di Amy a sbloccare la sua indifferenza alla vita, bensì l'incontro con un ragazzo molto più giovane di lei.


I film indipendenti americani mi pare abbiano tutti, o quasi, questa capacità di arrivare allo spettatore attraverso l'intimità dei personaggi. Facendo muovere le loro vite all'interno delle mura domestiche, gli interni di un supermercato o i sedili di un'automobile; puntando tutto su ciò che anima l'essere umano a partire da "dentro". Ora, non so se la cosa sia condivisibile da più parti. Però io vedo questi film e mi ritrovo sempre a riflettere su questo. Visto da poco anche The good girl di Miguel Arteta, e anche lì al centro c'era il disagio di una donna. La difficoltà nel gestire la propria vita, apparentemente inutile e vuota. Finché l'incontro con un ragazzo non le cambia prospettiva. E' questo che ti rapisce, secondo me, di questi film.

I protagonisti non sono i divi che si esibiscono in performance attoriali stupefacenti, no. Sono esseri umani che si prestano ad incarnare quelle stesse sensazioni e quegli stati d'animo che tutti, almeno una volta nella vita, abbiamo provato. L'inadeguatezza, la sensazione di non essere mai al proprio posto e per quanto mi riguarda di Amy sapete cosa ho amato di più? La sua consapevole accettazione del fatto che tutto ciò che lei faceva, era un investimento che non le avrebbe portato frutti (economicamente parlando). Ecco perché non aveva più senso fotografare i fiumi, così come non aveva senso concludere la sua tesi specialistica. Amy incarna anche la sensazione di rompere tutto ciò che si tocca, di perdere quel che di buono la vita ci offre e non capirlo mai in tempo. 


La storia con il giovane Jeremy darà a Amy la voglia di ritornare a vivere. Perché a una donna a volte basta sentirsi amata davvero, senza dover convivere con alcun disagio o senso di inadeguatezza. Stare con un uomo e non sentirsi mai fuori posto, o sbagliata. Guardare tua madre e capire che non è poi tanto più forte di te, anche se il suo ruolo la vuole sempre in ordine e sorridente. Finché il sorriso non torni a illuminare il viso, e un viaggio a zonzo per il mondo insieme a tua madre, conceda ad ogni storia che si rispetti, l'epilogo perfetto. 

Perché il mondo è pieno di bellissimi fiumi...


lunedì 25 novembre 2013

Inizio domani.



No, non è il titolo di un film e non è nemmeno di un libro che voglio parlarvi oggi. 
Questo è forse uno dei post più importanti che appariranno su queste pagine. Un pezzo di me e della mia vita che si mescola all'amore per il cinema e a tutte queste recensioni e news che ci hanno fatto discutere, scontrare. Perché quello di domani è un inizio che mi vede come una donna che lavora e non immaginate (anzi immaginate eccome) quanta gioia e soddisfazione ci sia, in queste due parole.

Non ho firmato nulla che duri in eterno e non ho certezze che vadano a tempo indeterminato. Ma voglio godermi comunque questo attimo che riempie un vuoto che mi corrode da dentro, da troppo tempo. Per placare almeno la rabbia e nascondere la delusione e l'odio per un paese che sembra non dare speranza a nessuno ormai. Ecco, questa sensazione volevo condividerla con voi. Volevo fissare questo momento ripensando alle parole del direttore mentre leggeva il mio curriculum. "No. Vabbè. Ma dai. Tu sei sprecata per fare pagnottelle. Ma non si può trovare di meglio a questa ragazza?". Lo diceva rivolgendosi a una delle manager che gli era accanto. Ma in cuor suo sapeva che quel lavoro per me era tanto importante da farmi vedere quelle pagnottelle come la cosa più bella che mi potesse capitare...

Non ho mai snobbato niente e nessuno, considero ogni lavoro degno di rispetto e so che, al contrario di quanti ancora sostengano, vale lo stesso per tutti i giovani e non, disperati perché quel lavoro tanto atteso non arriva. La mia laurea in Lettere mi ha insegnato soprattutto questo. Che la vita non ti aiuta quasi mai a far conciliare ciò che ti capita con quel che ami davvero. Ma pensare ogni giorno a quante cose io potrei fare, mi aiuta ad amare allo stesso modo anche quelle che non avevo mai preso in considerazione. In quei libri capivo che fuori poi nulla è facile e nessuno ti offre su un piatto d'argento, il futuro che provavi a disegnarti a diciassette anni. E così, col tempo e con gli anni che passano, impari a ponderare il peso dei tuoi diritti e dei tuoi doveri. E sai che non sarai mai un uomo o una donna libera, finché non dovrai più combattere con te stessa tutti i giorni, per un diritto che pensi sia soltanto un lontano racconto, scritto in aramaico e mai letto o addirittura scritto.

Ebbene sì. 
Inizio domani...

E nella mia testa canto questa canzone








giovedì 21 novembre 2013

The singing doctor - La storia del dottore che canta alla vita.



CriticissimaMente si occupa soprattutto di cinema, questo è chiaro alla maggior parte di voi che, da più di un anno, avete la pazienza di passare qui e dare un'occhiata. Ma chi mi conosce davvero sa che la mia curiosità e la mia sensibilità soprattutto di mamma, riesce a farmi fermare più di un attimo su alcune cose che magari si staccano dalla linea del blog, ma riguardano ancor di più la mia me non critica, ma persona. Già nella premessa faccio fatica a spiegare cosa ci sia di così speciale in questo post, ma credo si tratti di una di quelle volte in cui le parole nemmeno servono. Bastano le immagini che partendo da un'idea, da un modo di vedere la vita poi si innalzano davanti ai nostri occhi e ci fanno fermare. 

A me capita spesso di fermarmi davanti a una cosa. Un fatto orribile, oppure meraviglioso. A volte basta poco, altre invece sembra non toccarmi più nulla e vado avanti quasi indifferente. Quello che ho visto questa mattina però, mi ha lasciato quel sorriso da ebete stampato in faccia, avete presente? Sì, perché la storia di questo dottor Jaja (già il nome ti fa innamorare di lui) è una delle immagini più tenere che in questi giorni, terribili per il nostro paese, mi siano passate davanti agli occhi, su questo schermo che mi parla del mondo e di tutto ciò che accade. Lo chiamano The singing doctor, il ginecologo del Magee - Womens Hospital di Pittsburg. Cos'ha di speciale questo dottore? Fa nascere i bambini e poi canta loro una canzone. 


E’ un credito che dò loro, canto per una persona importante. E' una cosa bellissima che mi capita tra le mani, il miracolo della vita. E tutto si dimentica: crisi, soldi, per un momento hai la vita di fronte a te”. 

Così motiva la sua straordinaria maniera di accogliere la vita, il dottor Carey Andrew Jaja. A spiegarvelo come vorrei credo mi rimanga troppo complicato. Però sapete cos'è che mi spalanca le porte dell'entusiasmo guardando questo dottore alle prese con le sue canzoni? E' un'alternativa di guardare il mondo, le cose. Tu pensi che contemporaneamente a quella voce che dà il benvenuto alla vita, ci sia altrove un bambino che non ce la fa, una madre che muore o nella più fortunata delle ipotesi, una madre che sopravvive a un parto in condizioni assurde; ma è comunque condannata perché non ha possibilità di veder crescere come vorrebbe, quel figlio appena nato. Pensi a tutto il marcio di questo mondo e ti sembra tutto un terribile gioco che non prevede vittorie, solo sconfitte. Poi appare questo signore con il camice che canta a tutti i bambini che prende in mano, appena usciti dal grembo materno. Una voce calda che per un attimo dà diritto a quelle creature appena venute al mondo, di non badare a tutto il resto. Perché quello è il loro momento e il mondo intero non deve scalfirli. Il dottor Jaja ha preso a cuore questa missione, vorrei poter fare lo stesso anch'io, con i miei figli. Vorrei poter dare loro tutto l'ingenuo e incontaminato che il mio corpo ha seminato senza mai farlo germogliare davvero. Lo perdi con il tempo, diventando grande. Vorrei cantare anch'io ogni volta che il mondo mi fa paura, con lo stesso sorriso di questo dottore che ringrazia le mamme, per il miracolo appena compiuto. Non cambierebbe quello che accade fuori, ma il mondo che portiamo dentro, quello sì che potrebbe cambiare.





mercoledì 20 novembre 2013

Canti o suoni in una band? "Clip your music" è il contest che fa per te.



Dal Friuli arriva la prima edizione del contest Uponadream "Clip your music". Avete un gruppo nel quale suonate o cantate e il vostro sogno è quello di fare un vero e proprio videoclip? Allora questa potrebbe essere la vostra occasione.

Uponadream Studios è una piccola, ma molto attiva, realtà friulana, che opera nel campo musicale e degli audiovisivi da cinque anni e ora intende rivolgersi ai giovani musicisti italiani. Scopo del contest è infatti proprio quello di ricercare nuovi talenti e dare loro la possibilità di farsi conoscere. Tre saranno i vincitori ai quali verrà realizzato in modalità e tempi differenti, il videoclip del brano musicale prescelto, in base alle norme descritte nel bando di concorso.
La partecipazione al concorso è gratuita, e prevede solo l’invio tramite email o posta ordinaria, del brano in mp3; una giuria selezionata, ne decreterà i vincitori.

Per partecipare c’è tempo fino al 15 dicembre 2013

Bando e form di iscrizione sul sito www.uponadream.it 


domenica 17 novembre 2013

Anche questo Festival, è finito.




FILM IN CONCORSO
La giuria internazionale, presieduta da James Gray e composta da Veronica Chen, Luca Guadagnino, Aleksei Guskov, Noémie Lvovsky, Amir Naderi e Zhang Yuan ha assegnato i seguenti premi: 

- Marc'Aurelio d'Oro per il miglior film: Tir di Alberto Fasulo
- Premio per la migliore regia: Kiyoshi Kurosawa per Sebunsu kodo (Seventh Code)
- Premio Speciale della Giuria: Quod Erat Demonstrandum di Andrei Gruzsniczk
- Premio per la migliore interpretazione maschile: Matthew McConaughey per Dallas Buyers Club
- Premio per la migliore interpretazione femminile: Scarlett Johansson per Her
- Premio a un giovane attore o attrice emergente: tutto il cast di Gass (Acrid)
- Premio per il migliore contributo tecnico: Koichi Takahashi per Sebunsu kodo (Seventh Code)
- Premio per la migliore sceneggiatura: Tayfun Pirselimolu per Ben o deilim (I am not him)
- Menzione speciale: Cui Jian per Lanse gutou (Blue Sky Bones)

CONCORSO CINEMAXXI

- Premio CinemaXXI per il miglior film (riservato ai lungometraggi): Nepal Forever di Aliona Polunina
- Premio Speciale della Giuria CinemaXXI (riservato ai lungometraggi): Birmingemskij ornament 2 (Birmingham Ornament 2) di Andrey Silvestrov e Yury Leiderman
- Premio CinemaXXI film brevi: Der Unfertige (The Incomplete) di Jan Soldat
- Menzione Speciale CinemaXXI cinema breve: The Buried Alive Videos di Roee Rosen

CONCORSO PROSPETTIVE DOC ITALIA

- Premio Doc It - Prospettive Italia Doc per il Migliore Documentario italiano: Dal profondo di Valentina Pedicini
- Menzione Speciale: Fuoristrada di Elisa Amoruso.




MIGLIORE OPERA PRIMA/SECONDA 

- Premio Taodue Camera d'Oro per la Migliore Opera Prima/Seconda: Out of the Furnace di Scott Cooper
- Premio Taodue Miglior produttore emergente: Jean Denis Le Dinahet e Sébastien Msika per Il sud è niente

PREMIO BNL DEL PUBBLICO PER IL MIGLIOR FILM

Il pubblico ha assegnato il Premio BNL del Pubblico per il miglior film a Dallas Buyers Club di Jean-Marc Vallée.

Formulando quello che dovrebbe essere il mio personale commento, dico:
Mi prendesse in pieno un Tir sul Grande Raccordo Anulare se dico che a me, quel premio alla voce della Johansson, sa di contentino. Poi diciamo che ancora devo riprendermi dal post: "ci dispiace signori, sala piena".  Dopo tante corse da una sala all'altra sono riuscita a perdere Dallas Buyers Club, così come altri film che sono stati premiati. Rimane comunque una bellissima avventura, da vivere almeno una volta nella vita. Felice di vedere tra i premiati Acrid, ritratto a struttura circolare delle donne iraniane. Per la menzione speciale a Blues Sky Bones dico che il film non mi è dispiaciuto del tutto, interessante l'idea di raccontare la storia di un giovane alle prese con il proprio passato. Il regista lo fa mescolando la storia della rivoluzione culturale cinese, dei genitori di questo giovane, al proprio presente. Significative alcune sequenze così come la componente musicale, molto epica. Però il film pecca di un trucco a dir poco ridicolo, e questo un regista non può sottovalutarlo. 

L'idea di perdere completamente i contatti con il mondo terreno, devo dire che è affascinante. In quel continuo e accelerato "entra-esci-corri" da una sala all'altra, tutto il resto ti si stacca di dosso. Il reale scivola via e lo riprendi solamente una volta arrivato a casa, e non sempre è così. A volte ci vuole più del previsto, capita che ancora nel letto tutte le immagini ti scorrono davanti, sopra al soffitto. Le musiche dei film lasciati in sala, il frastuono generale, i flash delle macchine impazzite davanti al red carpet. Le urla delle ragazzine e i caffè al volo tra una visione e l'altra. L'odore della pioggia che ha accompagnato gran parte dei nostri giorni all'Auditorium e le risate, le discussioni per idee che quasi mai coincidono. Gli amici e i colleghi che ti tengono il posto in sala e gli sguardi pieni di vita e passione. Quando rientriamo alla vita normale, dopo un viaggio o una qualsiasi esperienza significativa, non si è mai uguali a prima. E' vero. Ora che, anche questo Festival è finito, ci sentiamo sospesi tra il senso di sollievo e liberazione e il senso del distacco che un po' ci turba. Anche se non si riesce ad ammetterlo, ma è così. Amiamo e odiamo ciò che facciamo al punto di non distinguerci più dal resto del mondo. Ci annulliamo, crediamo che la nostra vita abbia un senso solamente davanti a quel grande schermo che, non smette mai di raccontarci storie...

Questo è il mio primo lavoretto di montaggio con iMovie. Fatto al volo e senza alcuna competenza, anche se vorrei imparare di più. Qui c'è il nostro amore per il cinema, solo alcune immagini che parlano di noi e raccontano quello che è stato "Il nostro Festival". Lo dedico a tutti i miei amici e colleghi, quelli veri.

                       

mercoledì 13 novembre 2013

L'incantevole nemica di Claudio Gora



L'aspetto interessante dei Festival non è soltanto l'entra-esci-corri da una sala all'altra. Certo, questo è ciò che lo rappresenta meglio di qualunque altra immagine a nostra disposizione. Ma, la cosa più straordinaria è quel pezzetto di tempo che all'improvviso ti avanza e ti permette di fare una scelta differente dalle solite. Per scelte solite intendo quelle che danno la priorità ai film in concorso. Ieri così trovo il modo di andare (per la prima volta) nella saletta dello Studio 3, per una retrospettiva dedicata a Claudio Gora (pseudonimo di Emilio Giordana).

Regista e attore italiano poco conosciuto, caratterista degli anni '60 e '70, lo ricordiamo per aver interpretato il commendatore nel film di Dino Risi, Una vita difficile oppure il fidanzato di Catherine Spaak ne Il Sorpasso. Grazie all'ampio programma presentato all'Auditorium dalla Cineteca Nazionale CSC, in occasione del centenario della nascita, il pubblico avrà la possibilità di recuperare un autore, che ha segnato l'importante passaggio dal Neorealismo al cinema moderno degli anni '60. La retrospettiva è stata curata da Emiliano Morreale


Leggendo l'opuscolo con le varie info più o meno utili a comprendere il film che stavamo per vedere, mi va l'occhio sul nome di un certo Buster Keaton, e dico: "cavolo, non ho mai visto Keaton sul grande schermo!". Insomma, già abbastanza emozionata all'idea, mi abbandono all'atmosfera di questa piccola sala, accompagnata dalla presenza di pochi altri spettatori. Età media: 60. Però mi è sembrato di vedere due o tre miei coetanei, e non è poco. Il film di Gora è del 1953, si intitola L'incantevole nemica
La storia racconta l'ossessione di un industriale (Carlo Campanini), specializzato nei formaggi, riguardo alla presenza di comunisti che avrebbero in qualche modo pianificato un attentato per eliminarlo. Così, un semplice contabile della sua fabbrica (Robert Lamoureux), diventa una pericolosissima e spietata spia russa. Con l'aiuto, si fa per dire, del suo fidato braccio destro (Ugo Tognazzi), il signor Albertini farà di tutto per comprarsi il buon contabile, invitandolo in casa, aumentandogli lo stipendio e, addirittura, concedergli la mano della bella figlia Silvia (Silvana Pampanini). 

La semplicità e l'onestà di questi film, fanno rimpiangere ancora una volta qualcosa che, con buone probabilità, non avremo più. Gli italiani del secondo Dopoguerra vivevano pieni di speranza, guardando a un cambiamento. Il cinema ce ne ha parlato soprattutto con il Neorealismo, raccontando la vita nelle strade, la quotidianità, la povertà e tutto ciò che la guerra aveva distrutto. Gora si stacca leggermente da questo filone storico-cinematografico e prova a disegnare un quadro meno drammatico, piuttosto comico e garbato, dell'Italia di quegli anni. La Pampanini incarna a meraviglia una donna spietata, classica figlia della borghesia, con il debole per gli uomini da primo posto sul podio. Roberto, il contabile creduto comunista, è invece un umile operaio che vorrebbe cambiare le condizioni dei lavoratori puntando su azioni di gentilezza e non violente. Quando capirà che tutto era una misera messa in scena da parte del suocero/capo, avrà la sua piccola vendetta. Buster Keaton interpreta se stesso in un cameo di pochi minuti. La sua timida e silenziosa presenza, eppure così presente, regala a chi guarda, delle gioie che solamente il cinema, "quel cinema", ha saputo dare. 


Dobbiamo recuperare i nostri grandi autori, lo dobbiamo a loro e, soprattutto, a noi stessi!


martedì 12 novembre 2013

Dal Festival di Roma - Her



Chissà quante volte abbiamo pensato e immaginato il nostro futuro, quello non troppo lontano, come ad una rivoluzione totale delle nostre vite, nelle quali la tecnologia ha davvero un ruolo da protagonista, capace di starci accanto e indicarci talvolta, la strada. Nonostante questa visione futuristica risulti ancora distante, c'è chi guarda avanti con occhio attento e discreto, provando soprattutto a capire come cambieranno i nostri rapporti. 

Ed è Spike Jonze (Il ladro di orchidee, Essere John Malkovich) a tentare l'impresa che potesse andare davvero a fondo, fino a toccare uno dei punti più deboli dell'essere umano. Nel suo essere macchina perfetta, l'uomo, ha da sempre manifestato una certa, grossa, difficoltà nel gestire le relazioni umane. Qualcosa che nel tempo si è notevolmente evoluto, al passo della tecnologia e del progresso, ma che poi a ben vedere, ha mantenuto lo stesso aspetto, gli stessi colori. 

Her è soprattutto un film che fa riflettere sulla incapacità dell'uomo in quanto soggetto a continue, mutevoli, relazioni con gli altri. Un fatto questo che spesso gratifica, illumina; altre annienta e terrorizza. Theodore/Joaquin Phoenix scrive lettere che appartengono alle vite degli altri, eppure la sua profonda sensibilità gli dà quasi pieno possesso di quelle storie. Theodore vive esattamente in quel futuro non troppo lontano di cui parlavamo all'inizio. Una sorta di smartphone super evoluto, auricolare sempre all'orecchio e un pc da far gola a qualunque appassionato di tecnologia. Nella mente di Jonze, regista assolutamente originale, c'è però l'idea di non voler guardare troppo a questo mondo virtuale, o meglio, non facendone un film a tutti gli effetti fantascientifico. Ad esempio Jonze, fa qualcosa di più rispetto a quanto già visto sul genere. Pensiamo a S1m0ne di Andrew Niccol; lì infatti c'era un regista in crisi (Al Pacino) il quale, sfruttando un software, riesce a dar vita ad un personaggio virtuale, da lui stesso creato. Motivi però ben diversi, da quelli che portano il nostro Theodore ad "innamorarsi" di Samantha (la voce è di Scarlett Johansson), il suo sistema operativo. Dopo un divorzio ancora difficile da accettare, Theodore è un uomo solo. La cui vita si divide tra il lavoro e la casa; una casa vuota, illuminata dal vuoto della solitudine.

La fotografia gioca un ruolo decisivo, nella riuscita del film e di quelli che, immagino, fossero gli intenti del regista. Una luce delicata, colori caldi che fanno inevitabilmente contrasto con il freddo che anima invece l'animo di Theodore. C'è poi, come sempre, quasi fosse garanzia incisa col fuoco sulla pelle, la grandezza espressiva di un attore immenso come Joaquin Phoenix. Una persona soprattutto "sola", che vede in questa nuova trovata tecnologica, qualcosa di più di un sistema operativo impeccabile. Samantha infatti è in grado di interagire con lui, sempre presente 24 ore su 24. Tanto perfetta da sviluppare col tempo, una propria coscienza, ambizioni, desideri, voglia di migliorarsi e, come spesso accade anche agli uomini/e alle donne, giungere a un punto di non ritorno. 


Jonze guarda questo mondo con gli occhi di un regista in grado di raccontare senza giudicare la propria storia. Pregio che hanno in pochi. Theodore vive il suo rapporto con Samantha, come se fosse una donna in carne ed ossa. Anzi, sarà proprio l'assenza di un corpo a rendere questo rapporto unico, speciale. Soprattutto diverso. Perché Samantha è dotata di una simpatia e di un carisma che nessuna aveva mai mostrato a Theodore. Samantha c'è ogni volta che lui lo desidera. E' in grado di comprenderlo, di ascoltarlo, di capire quando è il momento di fare o no, domande. Sa regalargli emozioni reali, come quelle che una donna accanto ad un uomo in un letto, solamente sfiorandogli il viso, può dare. Quello che spesso ostacola i nostri rapporti e fa tristemente da contraltare a tutto ciò che di meraviglioso c'è dietro, è la reale difficoltà nel mantenere in vita tutto. Fare da mogli, amiche, amanti, madri, compagne di giochi e quant'altro, non è mai cosa semplice. Le due donne in carne e ossa, presenti nel film, sono state straordinarie entrambe. Amy/Amy Adams è la migliore amica di Theodore, una donna infelice che ha finalmente trovato la forza di lasciare il marito. Un uomo che voleva controllarla su tutto, soffocandola e uccidendo la sua creatività (non posso dire di più, nel rispetto di quanti non abbiano visto il film. Ma lasciatemi soltanto dire che, il videogioco della super mamma da lei creato, è davvero esilarante!). L'altra donna è Catherine/Rooney Mara, da quel che ci è concesso immaginare, sembra che il matrimonio si sia deteriorato, a causa del suo temperamento. Una donna in gamba e determinata, potrebbe essere un problema per un uomo. In una battuta lei ricorderà a Theodore i suoi tentativi di darle il Prozac...


La situazione di Theodore scivola spesso nell'inverosimile, nel dramma introspettivo, e i dialoghi scritti dallo stesso Jonze sono carichi di ironia e spirito, senza mai eccedere. Credo sia questo il pregio più grande del film, si passa da momenti in cui si ride e si ride davvero, con il cuore; ad altri in cui ti senti avvilire l'anima, perché su quello schermo altro non vedi che un uomo solo, consapevole di aver perso la propria donna perché non sapeva accettare i suoi cambiamenti, il suo crescere. Ed è questo che accade nella vita reale, quando perdiamo qualcuno e rompiamo quel filo che ci legava all'altro. Non siamo pronti davvero, finché non siamo in grado di accettare che la persona che abbiamo accanto, come noi stessi, cambierà. E i cambiamenti fanno paura, tanto da scegliere a volte, un'alternativa che in realtà non c'è, ma ci rende felici.

Il film è stato presentato "in Concorso" al Festival Internazionale del Film di Roma 



venerdì 8 novembre 2013

Dal Festival di Roma - Snowpiercer



L'umanità che corre su un treno indistruttibile, sparato "a mille all'ora" senza sosta, a segnare una crepa indelebile, sulla pelle di una terra ormai condannata a morte. Ovunque si guardi c'è gelo, non esiste vita all'infuori della macchina perfetta, ideata e guidata dal signor Wilford/Ed Harris

Il regista sudcoreano, poco conosciuto (ahinoi) qui in Italia, Bong Joon-ho realizza il suo primo film in lingua inglese, sfruttando inoltre un cast americano/britannico e di immediata riconoscibilità, basti pensare a Chris Evans, Tilda Swinton, John Hurt, Jamie Bell. Snowpiercer è ispirato alla serie a fumetti francese Le Transperceneige, e parliamo di fantascienza cosiddetta post apocalittica. Immaginiamo il mondo intero che si dissolve nel gelo e, parallelamente trova una sola ed unica dimora, per pochi "fortunati", all'interno di questi vagoni autogovernati all'interno, secondo leggi di sopravvivenza, non più, naturale. La struttura del treno prevede un rigido ordine gerarchico, tanto definito da tracciare un netto confine tra i passeggeri della testa e, quelli della coda. I primi vivono godendo di quell'ultimo brandello di accettabile esistenza, fatta di luce e piante, vestiti e bistecche di carne. Si direbbe una vita normale, solo all'interno di un micromondo che corre, senza destinazione. I secondi invece non godono di alcun diritto, se non quello di avere la fortuna di non conoscere il sapore della carne umana. Nel buio della coda però, verranno alla luce i ribelli; ci sarà una vera e propria battaglia, con vagoni/trincee in una terra di nessuno, che non è nemmeno più terra. 

Il film è carico di metafore che giocano a volte, sull'effetto distorto di una violenza tanto assurda da sembrare "stramba". Nonostante poi ci siano delle immagini davvero inquietanti, non tanto però da vietare il film a minori di diciotto anni, si pensa al volto disumano della Swinton e subito dopo alle sue folli espressioni che fanno tanto "Tata Matilda malefica". Rimane nel complesso il gusto di un film che mette l'umanità a dura prova. Durante questa corsa, dove tutto e tutti vanno a tremila all'ora, si corre sempre più di frequente, il rischio di disumanizzarsi. Di perdere per strada la lucidità, che siano delle assurde droghe o la brama di denaro o potere. Si rischia di cadere nelle mani e nelle trappole di chi ci governa, presi dalla disperazione e dalla povertà mentale. Nella visione di Joon-ho è tutto portato all'estremo, è chiaro. E' questo genere cinematografico a richiederlo. Alla fine, potremmo dire, Snowpiercer altro non è che, la corsa dell'uomo alla conquista della propria dignità. Dei propri diritti, della redenzione e della comprensione definitiva di ciò che lo circonda. Non ci è dato sapere, ovviamente, cosa accadrà una volta fermo questo gigantesco treno...

Il film è stato presentato al Festival di Roma, nella categoria Fuori Concorso.

mercoledì 6 novembre 2013

Festival Internazionale del Film di Roma. I film in concorso.



Siamo giunti alla ottava edizione del Festival Internazionale del film di Roma e, come lo scorso anno, "me" ci sarò.

In realtà quest'anno c'è un'importante novità, per quanto riguarda la presenza al Festival; non andrò per conto di terzi, bensì, esibendo orgogliosa e fiera il pass con su scritto "CriticissimaMente". Potete immaginare la soddisfazione, alla fine dopo tanti mali e amare delusioni in questo mondo, nel quale mi sono volutamente incastrata, un piccolo tornaconto che dà un senso piacevole a ciò che sto facendo. 

Vediamo un po' cosa ci propone questo Festival, vediamo i premi e i film in Concorso.
Le linee di concorso del Festival sono tre:

-Concorso internazionale
-CinemaXXI
-Prospettive Doc Italia

I film in concorso

-ANOTHER ME di Isabel Coixet, Spagna, Regno Unito, 2013, 86’

-BEN O DEGILIM / I AM NOT HIM di Tayfun Pirselimoglu, Turchia, Grecia, Francia, Germania, 2013, 125’

-I CORPI ESTRANEI / FOREIGN BODIES di Mirko Locatelli, Italia, 2013, 102’

-DALLAS BUYERS CLUB di Jean-Marc Vallée, Stati Uniti, 2013, 117’

-ENTRE NÓS / SHEEP'S CLOTHING di Paulo Morelli, Pedro Morelli, Brasile, 2013, 97’

-GASS / ACRID / ACRE di Kiarash Asadizadeh, Iran, 2013, 94’

Tanta attesa per Her.


-HER di Spike Jonze, Stati Uniti, 2013, 109’

-LANSE GUTOU / BLUE SKY BONES di Jian Cui, Cina, 2013, 101’

-MANTO ACUÍFERO di Michael Rowe, Messico, 2013, 79’

-MOGURA NO UTA / THE MOLE SONG-UNDERCOVER AGENT REIJI di Takashi Miike, Giappone, 2013, 130’

"Christian, ma vieni o non vieni? Facci sapere..."


-OUT OF THE FURNACE di Scott Cooper, Stati Uniti, Regno Unito, 2013, 116’

-QUOD ERAT DEMONSTRANDUM di Andrei Gruzsniczki, Romania, 2013, 105’

-SEBUNSU KODO / SEVENTH CODE di Kiyoshi Kurosawa, Giappone, 2013, 60’

-SORG OG GLÆDE / SORROW AND JOY di Nils Malmros, Danimarca, 2013, 107’

-TAKE FIVE di Guido Lombardi, Italia, 2013, 100’

-TIR di Alberto Fasulo, Italia, Croazia, 2013, 85’

-A VIDA INVISÍVEL / THE INVISIBLE LIFE / LA VITA INVISIBILE di Vítor Gonçalves, Portogallo, 2013, 99’

-VOLANTIN CORTAO / CUT DOWN KITE di Diego Ayala, Anibal Jofré, Cile, 2013, 77'

CriticissimaMente sarà lì a partire da venerdì 8 novembre. Arriveranno tante foto, aggiornamenti e forse anche resoconti video...insomma, non perdetemi di vista! 
(Scherzo, si fa per dire. Però se ogni tanto venite a curiosare qui, a me non dispiace).

In fondo anche questo è, felicità...



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