domenica 30 dicembre 2012

Uno sguardo al 2012. I migliori film secondo CriticissimaMente


Siamo giunti quasi al termine di questo anno, così, come stanno facendo praticamente ovunque gli altri colleghi blogger e giornalisti su siti e/o testate di ogni genere, si stila una "top" ten dei migliori film visti durante questo 2012. Ho deciso di farlo anch'io, ma premetto che molti titoli importanti, purtroppo, a me ancora mancano (uno su tutti Amour). Dunque, diciamo che la classifica di CriticissimaMente potrebbe modificarsi e alterarsi a breve...anzi, una cosa certa, è che, con la prima ondata del 2013, e parlo delle uscite a gennaio, l'ordine dei titoli si stravolgerà. Questa è la mia Top Ten, sono curiosa di sapere la vostra però, quindi, se passate di qua, non potete non lasciare la vostra personalissima classifica dei film che più avete amato in questo 2012...

1) The Master
2) Moonrise Kingdom
3) The Dark Knight Rises
4) The Motel Life
5) Killer Joe
6) Alì ha gli occhi azzurri
7) Hugo Cabret
8) The Avengers
9) La collina dei papaveri
10) Dark Shadows

sabato 29 dicembre 2012

Quando la notte


Quando la notte, viene presentato in concorso a Venezia nel 2011. Cristina Comencini, regista e autrice, ancor prima, dell'omonimo romanzo, mette in scena un dramma più che mai introspettivo, personale, di una donna e di un uomo legati da un passato sofferto, che non molla la presa nemmeno sul presente. 

Marina (Claudia Pandolfi) è una donna sola. Lo si capisce fin dalla prima volta che la macchina si posa sui suoi occhi. Una donna che se ne va in vacanza in montagna (da sola ) con il figlio, per un mese. Siamo in Piemonte, e nella stessa casa che accoglierà Marina e il piccolo Marco, si trova Manfred (Filippo Timi). Anche lui un uomo solo, che condivide la sua vita con le montagne, è una guida alpina. Nell'anima di quest'uomo arde un odio e una repulsione per l'immagine della donna, dovuta a un abbandono da parte della madre quando ancora era un bambino e della moglie. La Comencini (sorella di Francesca, figlie del grande Luigi), ha scritto e diretto, tra gli altri, film come Va' dove ti porta il cuore (1996), Il più bel giorno della mia vita (2002), Bianco e Nero (2008) e devo ammettere che non rappresenta affatto il mio genere letterario prima, cinematografico poi, "ideale".


Quando la notte, però, mi ha particolarmente "scombussolata" dentro, senza darmi una motivazione razionale, dunque facendo pieno centro. Perché è così, inutile negarlo, quando un film ti scuote e nemmeno capisci la reale origine di questo turbamento, significa che ti arriva nella maniera più totale. Un po' come accadde (a me) con Carnage di Roman Polanski (senza stare a paragonare i due...). Il film inizia subito a raccontare, e ci riesce, gli stati d'animo di Marina. Ripeto, una "donna sola" che condivide con il marito giusto un paio di telefonate, di quest'uomo non si sa nulla ed è forse così che vuole l'autrice. Una madre alle prese con il complicato ruolo affidatole. Ma a rendere tutto più difficile e vorrei che si capisse questo, è la situazione di Marina nello specifico. Non si può pensare che fare la madre sia solo un'esperienza devastante, che isola e relega la donna ai margini di una (non)vita sociale. Parlo da madre di due bambini, forse questo ha reso più fluido e naturale il calarmi nella parte di questa donna, non posso negarlo. Le giornate in casa, da sola con tuo figlio, che non dorme e gironzola alla ricerca del pericolo più a portata di mano, sono dure da far passare. Quando Marina guarda l'orologio, distrutta perché le notti in bianco si fanno sentire come un macigno che ti si scaraventa addosso, oppure i suoi disperati tentativi di ristabilire la calma e mantenere saldi i nervi, quelle sono cose "vere", reali. Per quanto si possa non amare un regista e il suo modo di scrivere, il suo modo di fare cinema, è dura poi stabilire l'impatto che può avere un film del genere su una fetta presa a caso di pubblico. Intendo dire che, solamente chi ha provato sulla propria pelle quelle stesse sensazioni può comprendere il film della Comencini. 

La Pandolfi (io ho un debole per questa donna e lo ammetto) riesce a portare sullo schermo quello che realmente accade a una madre in difficoltà. Una donna che ama il proprio figlio e al contempo si ritrova ad odiarlo, quando il pianto diventa insopportabile e le ore non passano mai. Filippo Timi dal canto suo appare come un uomo burbero, quasi selvaggio e pieno di rabbia. La stessa che, darà inizio a un rapporto di odio/amore (/passione) con Marina. Inizia tutto con un incidente avvenuto di notte al piccolo Marco, sarà Manfred a soccorrere il bambino, la corsa in ospedale, i sospetti di lui verso Marina e l'intenso e lento crescere di una passione destinata, prima o poi, a "consumarsi". 


Non saprei dirvi con esattezza cosa, più di ogni altra, abbia scosso la mia persona. Quello che però ricordo con maggior turbamento, accompagnato da una serie insolita di raffiche allo stomaco, è la sequenza in montagna con Manfred e il piccolo, la disperata e affannata corsa di Marina per raggiungere il figlio e il suo prendere la cosa con assoluta eleganza e tranquillità, senza rabbia nei confronti dell'uomo che, ha voluto (con cattiveria) metterla alla prova. La sequenza in ospedale e le parole di Manfred. Il loro incontro dopo quindici anni e la loro passione ancora così viva, finalmente giunta a un punto di incontro, "l'unico".
Il sesso e il cinema sono ormai indissolubili, mi rendo conto che non c'è film che io veda in cui manchi almeno una scena di sesso. Poi però ci sono casi in cui questo arriva dove deve arrivare e altri in cui lascia indifferenti, o meglio si occupa di soddisfare al limite un puro piacere voyeuristico e nulla più. Marina e Manfred danno qualcosa di più, seppur nelle loro a volte infantili reazioni, verso la fine del film, che passano per inverosimili ai più...e catturano i meno.

Io appartengo ai meno...

venerdì 28 dicembre 2012

Melancholia


Nel titolo di quest'ultimo film firmato Von Trier, c'è già una sorta di preannunciazione, di quello che davanti ai nostri occhi si sarebbe manifestato come lo spettacolo cinematografico più inquietante e rassegnato sul concetto di "fine". Parlo di concetto e ci tengo a sottolinearlo, questo per far fronte alla stupidità che si finge stratega, dei nostri canali, i quali si divertono a presentare Melancholia come film di "Fantascienza".

Quant'è irrispettoso pensare a Melancholia, come a uno di quei pastrocchi calamitosi che di tanto in tanto le nostre tv propongono? Io credo lo sia fin troppo. E basti guardare Melancholia nei suoi primi 8 o 9', prologo  annunciatore della fine di "tutto" (ouverture wagneriana del Tristano e Isotta), per comprendere, quale assurda idea si abbia del cinema di Von Trier. Prima di vedere il film, più di un fidato amico cinefilo, mi avvertì della complicata visione, del fatto che "vedere Melancholia, non è certo una passeggiata"... 


Justine (una Kirsten Dunst come non l'avevo mai vista prima) è la sposa di un matrimonio architettato a mo' di scaletta, secondo la fobica esigenza di perfezione sofferta dalla sorella maggiore, Claire (Charlotte Gainsbourg). Tutti cercano di sprigionare il clima di festa e la solita euforica felicità racchiusa in una sposa. Ma Justine, il cui nome rimanda a De Sade (e al film di Jesus Franco del 1968, Justine, ovvero le disavventure della virtù) non è la solita sposa. In lei abita un forte malessere personale, qualcosa che scientificamente oggi viene identificato con il nome di depressione, la patologia dell'umore. A Justine viene affidato esattamente questo, l'incarnazione di uno dei mali più terribili che affliggono l'uomo/la donna (qui in veste quasi di eroina, cosa davvero insolita per "un" Von Trier). Il film è suddiviso in due parti, ognuna delle quali dedicate alle protagoniste di Melancholia, Justine e Claire. Due sorelle, apparentemente così diverse, la sposa triste che promette di essere felice almeno il giorno delle sue nozze. La sposa che si assenta di tanto in tanto, appena può, per rimanere da sola con sé stessa, ad osservare il cielo. La sposa/bambina che cerca disperatamente riparo sotto l'ala di un padre e una madre così sballati, assenti. La sposa rassegnata anche al peggiore dei finali, perché in lei qualcosa non va, ma le persone come Justine si sa, non temono nulla. La "zietta-spezza acciao", che rimbocca le coperte al nipote e subito dopo confessa pensieri assurdi, per poi tornare di nuovo accanto al bambino e addormentarsi accanto. Dall'altra parte la sorella maggiore, la badante, la donna/mamma tutto fare, che sgrida, rimprovera, accudisce e percepisce anch'essa, come Justine, l'incombere di un imminente impatto. Qui però non c'è rassegnazione, c'è ansia, l'incontrollabile paura di Claire stravolge nella seconda parte del film tutto quello che è stato nella prima parte. L'ordine, la simmetria nei movimenti, le scalette e tutto il resto qui vengono mandate all'aria per cedere il posto alla balìa degli eventi e degli stati d'animo, ancor prima.


La scienza forse, e qui subentra il marito di Claire, John (Kiefer Sutherland), non ha i mezzi per prevedere catastrofi, per controllare davvero "tutto". Per capire realmente dove possa arrivare un uomo o una donna affetti da un male che ancora non conosce cura. E' chiaro che, quello strano, e un po' lontano dalla tecnologia, attrezzo prestato da John per controllare l'avvicinarsi o meno del pianeta celeste alla terra è un po' sinonimo della scienza stessa. Almeno io l'ho interpretato così. Nel senso che, uno scienziato può, approssimativamente dirmi se esiste o meno il rischio di un impatto. Così come uno psichiatra può dirmi se il mio malessere possa o no esser classificato secondo la più comune delle malattie dell'anima, dell'umore, nota come Depressione. Quando poi arriva il momento di gestire situazioni reali, quando ci si trova di fronte al male, a un passo dalla distruzione totale, nessuno è in grado di tirar fuori la soluzione. Pensiamo alla tragica (e vigliacca) decisione di John, dunque all'immagine che ne dà lo stesso Trier, al suo uscire di scena...


Di interpretazioni credo se ne possano dare infinite, anche se poi immagino si ritorni sempre e comunque all'idea di un film coraggioso, presuntuoso forse, perché se vuoi mettere in scena e tentare di raccontare per immagini qualcosa come la depressione, o sei un pazzo che campa di fortuna oppure un genio depresso, e Von Trier, che non rientra nemmeno tra i miei registi prediletti, credo sfrutti la seconda.

domenica 23 dicembre 2012

Moonrise Kingdom - Una fuga d'amore


Siamo nel New England, nell'estate del 1965. Un lungo piano sequenza ci mostra l'abitazione dei Bishop e le note orchestrate da Alexandre Desplat  immergono immediatamente in un'atmosfera fiabesca e simmetrica, quasi surreale. La storia che il regista texano, Wes Anderson, padre de I Tenenbaum (2001), propone stavolta allo spettatore, è quella che vede i due giovani protagonisti Suzy e Sam architettare una fuga d'amore. Lungo il sentiero tracciato dai nativi dei boschi i due ragazzi intraprenderanno il loro cammino verso quella che, ai nostri (miei)occhi, appare come "l'isola che non c'è".

Moonrise Kingdom è più di un piccolo ritaglio di terra disegnato dai giovani innamorati, si potrebbe immaginare come il luogo incontaminato dove ogni disadattato, ogni diverso, possa finalmente (ri)trovarsi. Senza più dover subire i pregiudizi e il menefreghismo che troppo spesso attecchiscono, sia nei grandi che negli stessi bambini. Infatti entrambi i protagonisti, condividono situazioni familiari piuttosto disorientanti. Lei, costretta a muoversi in una "casa delle bambole", secondo determinati schemi e affrontando giornalmente le assurde abitudini di una madre (Frances McDormand) che aspira di continuo sigarette e si affida a un megafono per richiamare l'attenzione di figli e marito. Di un padre completamente assente e incapace di agire (un incredibile Bill Murray), tanto da non capire "come" affrontare la parallela relazione della moglie con il capitano dell'isola (Bruce Willis). Sam invece è un orfano affidato a genitori del tutto disinteressati, anche quando il capo scout Randy Ward (Edward Norton) li mette al corrente della sua improvvisa "fuga"non perdono occasione per ribadire la loro indifferenza.


Ritorna la famiglia nel cuore di Anderson, amori impossibili e il passaggio, qui reso soffice e aggraziato dai colori pastello, dalla giovinezza all'età adulta. Giocando poi su una bravura davvero incredibile dei giovani attori Jared Gilman e Kara Hayward, rispettivamente Sam e Suzy, si assiste a un affresco intenso ma leggero sull'ingenuità e la purezza di un "amore fanciullo". Un rapporto speciale nato all'insegna dello stupore e della curiosità, tipiche dei giovani: <<Che uccello sei?>>. Sull'incipit di un botta e risposta su lettere scritte clandestinamente, i due innamorati decidono che la loro unica via di salvezza è "la fuga". 

Significativi i personaggi che Anderson seleziona e cura da grande narratore, come il capitano Sharp/Willis, un uomo solo, un po' impacciato (sarà che siamo abituati a vedere il buon Bruce in ruoli del tutto differenti) che ama la donna di un altro. Il capo scout Ward/Norton, un tipo grottesco, buffo se vogliamo, più attaccato alla sua divisa da Scout che al suo lavoro come professore di matematica. Un Bill Murrey sempre straordinario, come dimenticare il suo: "Vado a cercare un albero da abbattere". A petto nudo, con una bottiglia di birra in mano...


Adorabile la voce e presenza narrante Bob Balaban, un meteorologo col cappellino e mantelina rossa ad annunciare l'imminente tempesta. Inquietante invece la Tilda Swinton alias "Servizi sociali". La McDormand ormai mi ha pienamente conquistata, dopo averla vista nei panni della donna di Cheyenne in This Must Be the Place credo sia difficile rimaner delusi delle sue performance attoriali. Insomma, cos'altro aggiungere...ah, ricordo la componente musicale e la sua fondamentale presenza anche in chiave interpretativa del film stesso. Gli ascoltatori più "esperti" noteranno infatti il gioco di richiami significativi alla "fuga"...dunque, 
buona visione e buon ascolto, soprattutto


venerdì 21 dicembre 2012

The Master



Presentato in  anteprima al Festival di Venezia il 1 settembre 2012, il nuovo lavoro di Paul Thomas Anderson si prepara ad esser accolto anche dai “più”, qui in Italia, a partire dal 3 gennaio 2013. In quel del Lido, i due colossi protagonisti del film, Joaquin Phoenix e Philip Seymour Hoffman, vengono premiati ex -aequo con la Coppa Volpi per la Migliore Interpretazione maschile e ad Anderson va il Leone d’Argento per la Miglior Regia.

Il regista di Boogie Nights (1997), di Magnolia (1999), fino al più recente Il petroliere (2007) torna a raccontare qualcosa allo spettatore e lo fa ambientando la sua storia nell’America del secondo Dopoguerra. Un ritratto piuttosto drammatico, fatto di incertezze, di paure e di orrori ancora vivi nella mente di quegli uomini mandati a combattere senza accettabili ragioni. Nelle disumane condizioni di un Marines che uccide uomini senza pietà, nella vita di Freddie. Lontano dagli affetti, da tutto ciò che  prima della guerra poteva rappresentare una speranza, un appiglio  per un futuro decisamente migliore. Quest’uomo tenterà, una volta finita la guerra, di riprendere in mano la propria vita. Proverà lavorando come fotografo nei grandi magazzini dell’epoca, come contadino. Finché non si ritrova come clandestino a bordo di una nave. Qui, incontrerà Lancaster Dodd, un affabulatore, un sofista. Maestro della Causa, un fascinoso e maestoso Philip Seymour Hoffman, sposato con la bella e mai scomposta Peggy (Amy Adams non ne sbaglia una!!!)


Siamo nei meandri della psiche umana, delle paure e dei tic che ci affliggono dai tempi più remoti e al centro di tutto c’è proprio lui, l’uomo. Vengono sollevate con assoluta maestria, poiché non si cade mai nell’eccesso, questioni delicate riguardanti il labile e imprevedibile percorso di una vita, e di come essa possa evolversi secondo quel che sfiora lungo il proprio cammino. In questo caso Freddie è un uomo devastato dalla Guerra appena terminata, un uomo ormai violento privato della propria razionalità, del proprio autocontrollo. Accanto ai reduci, sorgono in quegli anni gruppi spirituali alternativi, le nuove religioni, dall’Ascetismo ai Dianetics, erano queste le grandi comunità che si battevano per dare all’uomo delle nuove risposte, delle riscoperte. E la Causa rappresenta esattamente questo tipo di cultura spirituale. Dodd è a capo della “setta” (mi verrebbe più naturale chiamarla così, dal momento che durante la visione  mi sentivo quasi ipnotizzata dalle parole e dalle “applicazioni” seguite da Freddie) ed è significativo il modo in cui questi cambierà la vita del protagonista, fin dall’incontro all’interno della nave (davvero suggestiva la sequenza del loro primo “colloquio”) per poi crescere in un lento instaurarsi di conflitti e affetti quasi ai limiti della morbosità. Vedremo Freddie e Dodd alle prese con questo loro intenso rapporto, come un padre che si curi de proprio bambino, il Maestro che cerca di avviare l’Allievo, il prediletto. Quello poco ben visto dal resto della comunità, eppure per Dodd, quel povero mascalzone ubriaco, significava molto di più.


Un dramma sul disagio dell'essere umano. Del suo doloroso e lento riappropriarsi della vita dopo essere stata segnata da una ferita troppo profonda. Anderson da buon demiurgo, prende in prestito il contesto dell'America degli '50 e la storia di un reduce di guerra nel corpo dei Marines. Ma il fascino e lo stupore che coinvolge lo spettatore, deriva dal fatto che questo dolore e questa vicenda si allargano fino ai giorni nostri, e riprende la crisi esistenziale dell'uomo di oggi. Insoddisfatto, incapace di guardare oltre ed afferrare il proprio futuro. Alla ricerca disperata di nuove risposte. Con un Phoenix intenso, superlativo...un film che ti scava dentro e ti fa tornare indietro, (o andare avanti?) alla ricerca di un numero indefinito di vite passate e/o future.


Ripenso agli occhi di Freddie, al suo modo di muoversi sulla scena, alla sequenza nella cella con Dodd e al momento forse più quieto, come il mare calmo, di tutto il film. Anderson ci propone questo momento due volte, forse ci teneva che allo spettatore arrivasse. Arriva una brezza rassicurante, una sorta di pace interiore, attraverso lo sguardo di Freddie e al suo trovarsi accanto a una donna “di sabbia”, la sola che sappia dare a Freddie quel senso di calma e rassicurazione. Una donna che però non c’è, o meglio esiste, ma in uno spazio difficile da definire. Una donna in riva al mare, una speranza che potrebbe venir risucchiata dalle onde, senza preavviso, da un momento all’altro…


“Un film che ti scava dentro”

mercoledì 19 dicembre 2012

Ralph Spaccatutto - Dedicato ai "cattivi"


Considerato il 52° Classico Disney, Wreck-it Ralph, arriva nelle nostre sale il 20 dicembre 2012. Ebbene, quale occasione migliore, potrei anticiparvi io, per passare una serata al cinema in pieno clima natalizio? 

Trovarsi a recensire un film d'animazione prevede sempre una serie di difficoltà, riguardo il fatto prima di tutto che si tratti di un "cartone", ovvero quello che la gente comunemente rifiuta quasi a priori, solamente  perché altro non vede che  "roba per bambini". Sbagliato, quanto si perde questa gente, mi domando io. Molto, e si perde soprattutto una cosa, la più importante e fondamentale per uno spettatore, la riscoperta delle emozioni semplici, quelle che ti danno la voglia di vivere la vita come un'avventura, la più incredibile delle avventure, "la nostra". 

Diretto dal regista statunitense Rich Moore e prodotto dalla Walt Disney Animation Studios, Ralph Spaccatutto viene presentato durante la scorsa edizione del Festival Internazionale del Film di Roma, conquistando le sale gremite di bambini, attori, registi presenti e giornalisti. Potrei immaginare o almeno mi piace farlo, che nella adolescenza di ognuno di noi non sia potuta mancare la cosiddetta "era" della sala giochi. Io personalmente associo a questa, gran parte delle mie giornate, soprattutto nel periodo estivo, che hanno riempito quell'arco di tempo che va dai 14 ai 17 anni. Quanti soldi avremmo sfilato dalle tasche dei nostri poveri papà pur di correre in sala giochi per l'ultima partita (che poi l'ultima non era mai...)?
Ralph Spaccatutto si presenta al pubblico come un colorato e "pixelloso" (non si può dire lo so però sembra rendere bene il concetto) viaggio che vede incontrarsi il mondo del cinema con quello dei videogames. 


Ralph compie da trent'anni il proprio lavoro, quello dello "spaccatutto". Un omone tanto grande quanto sensibile. Costretto a vivere sulla propria pelle un ruolo che gli è stato cucito addosso senza possibilità di scelta. Lui è il cattivo perché se ne va in giro a distruggere tutto ciò che incontra e per far strada all'eroe. Felix è infatti il piccolo salvatore della comunità del videogioco in cui essa abita, Fix-it Felix. Qui le giornate passano sempre allo stesso modo, Ralph distrugge, la gente scappa spaurita urlando il nome di Felix e questi, una sorta di piccolo Mario Bros, arriva con il suo martellino magico e ripara tutto. Arriva un momento però, in cui anche il più temibile dei cattivi, ha voglia di una rivalsa, di una nuova possibilità. Stufo di essere il cattivo, Ralph, abbandona la terapia di gruppo che raduna tutti gli storici cattivi dei videogames (e questa è davvero geniale), e intraprende un viaggio verso il proprio riscatto.


Tra scenari incredibili che vanno dai (fin troppo invitanti) dolci di Sugar Rush alle belliche atmosfere di Hero's Duty, passando per la stazione centrale del mondo Arcade in cui tutti i personaggi fatti di pixel possono girare tenendo presente però, che, morire fuori dal proprio gioco avrebbe significato il game over definitivo. Sonic che appare su cartelloni animati all'interno della stazione, il povero Q*bert costretto a chiedere l'elemosina perché il suo gioco è stato dimenticato. Per non parlare dell'Antivirus che blocca i passanti senza mai dimenticare di fermare il povero Ralph. Tra i personaggi negativi, ricordo il Re Candito di Sugar Rush, che sembra esser stato trapiantato dal paese delle meraviglie disegnato da Burton. E ritorna alla mente di nuovo quel Burton che nel 1993 raccontò l'avventura di Jack Skeletron e la sua missione personale.

Con l'aiuto della piccola e dolce Vanellope e la bella e tosta soldatessa, che ricorda molto la Beatrix tarantiniana per la storia della sposa ferita e desiderosa di vendetta, Ralph metterà a dura prova se stesso pur di dimostrare all'intera comunità arcade, che tutti meritano una possibilità. Quella che ci porta ad afferrare l'arbitrio sulla nostra vita, la libertà di scegliere, qualcosa che vale più di mille medaglie. 

Dedicato ai cattivi
che poi così cattivi non sono mai...



lunedì 17 dicembre 2012

Alida Chelli, l'ultimo saluto alla indimenticabile Rosetta


Si è spenta all'età di 69 anni, dopo una lunga malattia, l'attrice Alida Chelli, noto volto e voce della tv e dei palcoscenici che hanno emozionato più di due generazioni. Sposata con Walter Chiari, dalla cui unione è nato Simone Annicchiarico (conduttore di Italia's Got Talent). La Chelli, figlia del compositore Carlo Rustichelli, ha iniziato molto presto la sua carriera, cantando in varietà televisivi e in commedie teatrali. Venuta alla luce del successo con la canzone "Sinnò me moro", che apre il film Un maledetto imbroglio di Pietro Germi (1959), musicata dal padre, Rustichelli. Il pezzo poi verrà ripreso da Lando Fiorini e Gabriella Ferrari, diventando un classico della canzone romanesca. 
La ricordiamo nel musicarello Quando dico che ti amo e nella commedia musicale Rugantino del 1978 accanto a Enico Montesano.




C'è tutto un mondo intorno...

Gli alberi di Villa Borghese

Le immagini devono per forza affascinarmi, questo è chiaro. Poi, che queste si muovano creando la magia della continuità cinematografica oppure siano immobili, immutabili al di là dello spazio e del tempo...non cambia molto. Quello che ti può dare un quadro, una vecchia fotografia, delle volte supera l'emozione di una sequenza animata accompagnata da suoni e da qualsivoglia effetto. Forse quello che più ci affascina di una fotografia è il potere che ha di "immortalare" qualcosa o qualcuno, un momento, un'opera d'arte, un luogo in cui siamo stati e che abbiamo particolarmente amato, o odiato. Una sensazione, un'emozione...con una macchinetta in mano puoi catturare il mondo che ti sta attorno. Incredibile a pensarci, almeno a me dà una scarica di adrenalina di quelle difficili da quantificare. Avete presente la Suzi di Anderson in Moonrise Kingdom e il suo binocolo? Ecco, io delle volte mi sento così, quando mi ritrovo davanti qualcosa che mi colpisce davvero, se la "fermo" lì in quell'istante mi sembra come di averla osservata meglio, e rivederla quando voglio mi fa credere che poi ne posso scoprire aspetti sempre nuovi, cose che magari in un primo momento potevano essermi sfuggite. Un po' come conoscere una persona. 

Cavalleria lillipuziana

Oggi mi andava di condividere con voi quest'altra passione che mi porto dentro, anche se venuta fuori da pochissimo tempo. Non sono attrezzata, sia ben chiaro, al di là della smisurata curiosità non ho in mano che il mio iPhone oppure una vecchia Nikon che mi sta per dire definitivamente "addio". Quindi, quel che faccio io in realtà, è giocare al: "vediamo quante cose belle trovo oggi". Di qualsiasi natura esse siano. Guardo spesso il cielo, non so ancora perché, dunque molti scatti parlano proprio di nuvole e di luci strane che il sole si diverte a creare. Vi racconto una cosa, ma dovete promettermi di non scappare via col pensiero che chi scrive qui su CriticissimaMente sia solo una povera pazza. Promesso?
#rainbow

Una volta, mentre aspettavo l'inizio di un'anteprima stampa alla Casa del cinema, in quel meraviglioso complesso di Villa Borghese, mi ritrovai al di là di una delle tante siepi che delimitano i bellissimi prati del parco. Insomma ero lì, era verso la fine di luglio mi pare, dunque "si schiattava", causa temperature esagerate, e in quel momento mi cade l'occhio su uno dei cosiddetti "schizzetti" (erogatori) che allegramente rinfrescava il tappetone verde cui si poggiava. Vi sarà capitato per forza di vedere l'effetto "arcobaleno" creato dal sole e dall'acqua quando si incontrano...solo che poi non so quanti siano stati capaci di aspettare lì più di mezz'ora pur di riuscire a "beccare" l'attimo esatto in cui l'archetto policromatico sarebbe apparso. No no, non me lo dite, immagino la risposta...

Via lattea urbana

Il sole su Roma - Via delle quattro fontane

A un passo da "me". Primi esperimenti con Instagram
Uno scatto, un pezzo di storia. Nei pressi de La casa del cinema, Villa Borghese

sabato 15 dicembre 2012

Burton-Killers di nuovo insieme per "Here with me"

Sostengo da sempre che la musica e il cinema siano due arti indissolubili, che si sposino e si innamorino ogni qualvolta si incontrino, l'una dell'altra, in una maniera assoluta e completa.

Questa mattina stavo per mettermi al lavoro e recensire Moonrise Kingdom, visto ieri finalmente, dopo una lunga attesa. Poi però accade che un'amica mi suggerisce il nuovo video dei The Killers, Here with me, affidato, per la seconda volta dopo Bones (singolo estratto dall'album Sam's town, 2006), alla regia di Tim Burton. E' chiaro che questa amica conosca bene i miei gusti cinematografici, ed è a conoscenza del mio amore per questo regista, lo stesso che ci portiamo dentro entrambe del resto. 

Di nuovo Burton, di nuovo una delle "dee" burtoniane per eccellenza che alterna attimi somiglianti alla Kim lasciata negli '90 insieme a Edward mani di forbice. Parliamo di Winona Ryder ovviamente, qui, nel video dei Killers, a incarnare la donna/ricordo di un uomo dal viso pallido e dallo sguardo malinconico, anche lui ricorda molto lo stesso Edward e lo si capisce fin dalla storia cantata da Brandon Flowers

Le ruote si avvolgono
Mi ricordo quando tu eri mia
Solo per arrivare a te
Baby, mi piacerebbe stare in fila
C’è un altro mondo
In cui stiamo vivendo questa sera
C’è un altro cuore
E questo si sta dissolvendo nella luce

Wheels are turning
I remember when you were mine
Just to reach you
Baby, I’d stand in line
There’s another world
We’re living in tonight
There’s another heart
That’s fading the light

L'attore è Craig Roberts, visto nel film di Richard Ayoade Submarine (2010) e in Red Lights di Rodrigo Cortés (2012) ed è incredibile, almeno per me, ritrovare molti dei modi di fare dell'Edward disegnato da Burton, il momento in cui ritrova la sua donna, la vede in carne e ossa, quello sguardo, quella camminata all'indietro quasi spaurita e disorientata, il modo di andare via come a rendere l'impossibilità di restare lì a guardarla. La Ryder dai capelli lunghi e biondi, una dea dal corpo di cera, un'atmosfera dark e malinconica, quelle spirali sparse qua e là e il momento finale, un epilogo da interpretare...
un pezzo di musica e cinema meraviglioso!!!








venerdì 14 dicembre 2012

L'uomo con i pugni di ferro. Esordio alla regia per RZA.



Robert Diggs alias RZA, rapper e attivista statunitense noto per aver musicato titoli di un certo rilievo come Kill Bill vol 1, Kill Bill vol 2, Ghost Dog - il codice del samurai di Jim Jarmusch, Blade: Trinity di David S. Goyer, arriva sul grande schermo in veste di regista. Parliamo de L'uomo con i pugni di ferro, scritto con Eli Roth e presentato dallo stesso Tarantino in persona, film esordio per RZA, nelle nostre sale il 28 febbraio 2013. Il leader del Wu-Tang Clan, collettivo hardcore rap newyorkese, è considerato uno dei migliori esponenti del mondo hip hop e il suo stile e la sua tecnica di produzione hanno influenzato parecchi artisti  e produttori famosi come Kanye West e Just Blaze.

RZA lo abbiamo visto anche in diversi film come attore, mi vengono in mente Coffee and Cigarettes di Jim Jarmusch, Scary Movie 3 di David Zucker, American Gangster di Ridley Scott, The Next Three Days di Paul Haggis, per dirne alcuni. 

Molto "tarantiniana"...

L'uomo con i pugni di ferro (The Man with the Iron Fists) racconta, in una forma che ricorda fin troppo quella tarantiniana, delle viziose e losche vicende cui si troverà coinvolto questo fabbro della Cina Feudale. Oro, sesso, donne e arti marziali...la presenza di due nomi non irrilevanti, Russel Crowe e Lucy Liu, posson bastare a fare di questo film, l'esordio giusto per il nostro RZA? 
Curiosa di scoprirlo...nel frattempo, vediamo il trailer.



Fonte della news: 40secondi

giovedì 13 dicembre 2012

Golden Globe Awards. Tarantino, Spielberg? Siete stati nominati...


Si si, è vero, ne stanno parlando praticamente in ogni dove e in ogni modo di questi Golden Globe. Ragion per cui, anch'io, da buona blogger cinematografica quale sono (spero...), non posso sottrarmi a tale dovere.
Ma ve la farò molto breve, prometto. Dico solamente che, sulla fiducia che solo uno come Tarantino può ispirarmi "al buio", sarei ben felice di vedere Django tra i premiati di questa 70esima edizione dei Globe. Poi, sarebbe bello vedere sul podio degli Award anche il buon Leo, credo se lo meriti un premio quest'uomo...
Certo tra Chris Waltz e Phoenix è una bella sfida, io mi troverei in difficoltà. Spostandoci sulla componente musicale, nonostante la delusione per il film, vorrei si riconoscesse il merito alla splendida voce di Adele e al suo pezzo, che da solo ha fatto valere il biglietto dell'ultimo 007. Un musicista che quest'anno mi è particolarmente a cuore è Desplat, quindi, tifo per lui. Poi che dire, ah, Frankenweenie, ovviamente lui solo oscura tutta l'animazione presente...("burtonphilia" cronica a parte,  grandi pezzi d'animazione anche Le 5 leggende e il grandioso Ralph, vedere per credere).

Buoni Globe a tutti e...la vostra opinione è sempre ben accolta


Best Motion Picture – Drama
Argo (2012)
Django Unchained (2012)
Vita di Pi (2012)
Lincoln (2012)
Operazione Zero Dark Thirty (2012)

Best Motion Picture – Musical or Comedy
Marigold Hotel (2011)
Les Misérables (2012)
Moonrise kingdom – Una fuga d’amore (2012)
Il pescatore di sogni (2011)
7 psicopatici (2012)

Best Performance by an Actor in a Motion Picture – Drama
Daniel Day-Lewis for Lincoln (2012)
Richard Gere for Arbitrage (2012)
John Hawkes for The Sessions (2012)
Joaquin Phoenix for The Master (2012)
Denzel Washington for Flight (2012/I)

Best Performance by an Actress in a Motion Picture – Drama
Jessica Chastain for Operazione Zero Dark Thirty (2012)
Marion Cotillard for Un sapore di ruggine e ossa (2012)
Helen Mirren for Hitchcock (2012)
Naomi Watts for The impossible (2012)
Rachel Weisz for The Deep Blue Sea (2011)

Best Performance by an Actor in a Motion Picture – Musical or Comedy
Jack Black for Bernie (2011)
Bradley Cooper for L’orlo argenteo delle nuvole (2012)
Hugh Jackman for Les Misérables (2012)
Ewan McGregor for Il pescatore di sogni (2011)
Bill Murray for Hyde Park on Hudson (2012)

Best Performance by an Actress in a Motion Picture – Musical or Comedy
Emily Blunt for Il pescatore di sogni (2011)
Judi Dench for Marigold Hotel (2011)
Jennifer Lawrence for L’orlo argenteo delle nuvole (2012)
Maggie Smith for Quartet (2012)
Meryl Streep for Il matrimonio che vorrei (2012)

Best Performance by an Actor in a Supporting Role in a Motion Picture
Alan Arkin for Argo (2012)
Leonardo DiCaprio for Django Unchained (2012)
Philip Seymour Hoffman for The Master (2012)
Tommy Lee Jones for Lincoln (2012)
Christoph Waltz for Django Unchained (2012)

Best Performance by an Actress in a Supporting Role in a Motion Picture
Amy Adams for The Master (2012)
Sally Field for Lincoln (2012)
Anne Hathaway for Les Misérables (2012)
Helen Hunt for The Sessions (2012)
Nicole Kidman for The Paperboy (2012)

Best Director – Motion Picture
Ben Affleck for Argo (2012)
Kathryn Bigelow for Operazione Zero Dark Thirty (2012)
Ang Lee for Vita di Pi (2012)
Steven Spielberg for Lincoln (2012)
Quentin Tarantino for Django Unchained (2012)

Best Screenplay – Motion Picture
Amour (2012): Michael Haneke
Django Unchained (2012): Quentin Tarantino
Lincoln (2012): Tony Kushner
L’orlo argenteo delle nuvole (2012): David O. Russell
Operazione Zero Dark Thirty (2012): Mark Boal

Best Original Song – Motion Picture
Act of Valor (2012): Monty Powell, Keith Urban(“For You”)
Hunger Games (2012): Taylor Swift, John Paul White, Joy Williams, T-Bone Burnett(“Safe and Sound”)
Les Misérables (2012): Claude-Michel Schönberg, Alain Boublil, Herbert Kretzmer(“Suddenly”)
Skyfall (2012): Adele, Paul Epworth(“Skyfall”)
Stand Up Guys (2012): Jon Bon Jovi(“Not Running Anymore”)

Best Original Score – Motion Picture
Anna Karenina (2012/I): Dario Marianelli
Argo (2012): Alexandre Desplat
Cloud Atlas (2012): Reinhold Heil, Johnny Klimek
Vita di Pi (2012): Mychael Danna
Lincoln (2012): John Williams

Best Animated Film
Ribelle – The Brave (2012)
Frankenweenie (2012)
Hotel Transylvania (2012)
Le 5 leggende (2012)
Ralph Spaccatutto (2012)

Best Foreign Language Film
Amour (2012)
Kon-Tiki (2012)
Quasi amici (2011)
En kongelig affære (2012)
Un sapore di ruggine e ossa (2012)

Best Television Series – Drama
“Boardwalk Empire” (2010)
“Breaking Bad” (2008)
“Downton Abbey” (2010)
“Homeland – Caccia alla spia” (2011)
“The Newsroom” (2012)

Best Television Series – Musical or Comedy
“The Big Bang Theory” (2007)
“Episodes” (2011)
“Girls” (2012)
“Modern Family” (2009)
“Smash” (2012)

Best Mini-Series or Motion Picture Made for Television
Game Change (2012) (TV)
The Girl (2012) (TV)
“Hatfields & McCoys” (2012)
“The Hour” (2011)
“Political Animals” (2012)

Best Performance by an Actor in a Television Series – Drama
Steve Buscemi for “Boardwalk Empire” (2010)
Bryan Cranston for “Breaking Bad” (2008)
Jeff Daniels for “The Newsroom” (2012)
Jon Hamm for “Mad Men” (2007)
Damian Lewis for “Homeland – Caccia alla spia” (2011)

Best Performance by an Actress in a Television Series – Drama
Connie Britton for “Nashville” (2012)
Glenn Close for “Damages” (2007)
Claire Danes for “Homeland – Caccia alla spia” (2011)
Michelle Dockery for “Downton Abbey” (2010)
Julianna Margulies for “The Good Wife” (2009)

Best Performance by an Actor in a Television Series – Musical or Comedy
Alec Baldwin for “30 Rock” (2006)
Don Cheadle for “House of Lies” (2012)
Louis C.K. for “Louie” (2010)
Matt LeBlanc for “Episodes” (2011)
Jim Parsons for “The Big Bang Theory” (2007)

Best Performance by an Actress in a Television Series – Musical or Comedy
Zooey Deschanel for “New Girl” (2011)
Lena Dunham for “Girls” (2012)
Tina Fey for “30 Rock” (2006)
Julia Louis-Dreyfus for “Veep” (2012)
Amy Poehler for “Parks and Recreation” (2009)

Best Performance by an Actor in a Mini-Series or a Motion Picture Made for Television
Hayden Panettiere for “Nashville” (2012)
Archie Panjabi for “The Good Wife” (2009)
Sarah Paulson for “American Horror Story” (2011)
Maggie Smith for “Downton Abbey” (2010)
Sofía Vergara for “Modern Family” (2009)

Best Performance by an Actress in a Mini-Series or a Motion Picture Made for Television
Nicole Kidman for Hemingway & Gellhorn (2012) (TV)
Jessica Lange for “American Horror Story” (2011)
Sienna Miller for The Girl (2012) (TV)
Julianne Moore for Game Change (2012) (TV)
Sigourney Weaver for “Political Animals” (2012)

Best Performance by an Actor in a Supporting Role in a Series, Mini-Series or Motion Picture Made for Television
Max Greenfield for “New Girl” (2011)
Ed Harris for Game Change (2012) (TV)
Danny Huston for “Magic City” (2012)
Mandy Patinkin for “Homeland – Caccia alla spia” (2011)
Eric Stonestreet for “Modern Family” (2009)


«Lei dice guèra, ma si dice guèrra». Il cinema e la romanità - Il Grande Albertone.


«Me se strigne 'a gola a di' guèrra», rispose così Alberto Sordi, quando l'insegnante di dizione dell'Accademia dei Filodrammatici di Milano lo prese in disparte e gli disse che la sua romanità non poteva andar bene. Non voleva, non poteva, chi può stabilirlo realmente. Era il 1936... 
Quel che oggi possiamo affermare senza rischiare il cartellino rosso (ricordo che Sordi pagò cara quella risposta, venne espulso dall'Accademia) è che , quello stesso dialetto tanto discusso e "snobbato", si dimostrò partecipe e complice fondamentale, qualità superlativa, di un uomo divenuto simbolo, insieme a pochissimi altri, della "Commedia all'italiana".

Nato a Roma nel 1920 (scomparso a febbraio del 2003), Alberto Sordi è stato tante maschere, Il tassinaro Pietro Marchetti, Il vigile scapestrato Otello Celletti, il vitellone felliniano Alberto, il Santibailor Nando in Un Americano a Roma, e ne ha rappresentati davvero molti degli stereotipi dell'italiano medio. L'italiano raccontato attraverso i suoi tic, i suoi vizi e i suoi lati più magnanimi, gentili e semplici, "caserecci" diremmo a Roma. Certo analizzare tutta la carriera di Sordi richiederebbe un lavoro enorme, più di mezzo secolo di cinema, cavolo mi ci vorrebbero mesi, ma non è escluso che un giorno non lo faccia, chissà... 
Quello che vorrei (ri)vedere oggi insieme a voi, è la straordinaria storia di questo attore che ha accompagnato, iniziandola, la mia grande passione per il cinema. Forse sento più il bisogno di raccontare la mia di storia, o meglio, come è esploso un amore cinematografico così grande, tanto grande, proprio perché nato in casa, in famiglia, quando ancora credevo che il cinema fosse racchiuso tutto dentro il castello delle fiabe di Walt Disney. Per me era quello il "cinema". 

Ricordo come fosse ieri le domeniche in casa con mio padre, al settimo cielo per via della festività settimanale, la sola, visto che lavorava tutti i giorni ed era fuori dalla mattina alla sera. E ricordo con quale amore e con quanta luce negli occhi lui ogni volta, prendeva dall'armadio la sua cassetta e, sedendosi sul divano esclamava: Ah, questo non è un film, questo è IL film!!! E la cosa assurda è che ripeteva questa stessa cosa con ogni film del suo Albertone, non cambiava mica la sua "formula magica". Infatti si divertiva come un matto (forse lo era e lo è tuttora), ad arrivare in sala con la sua vhs in mano, ben nascosta, invitando me e mio fratello (e mia madre ormai esausta di questa manfrina) ad indovinare il film, con quello sguardo quasi spiritato e scompensato. Era bello però...certo col tempo avevamo "sgamato" tutte le sue mosse cinefilo-compulsive-ossessive, dunque rispettava una sorta di sequenza-tipo: Il Vigile-Un Americano a Roma- Il Conte Max - Il vedovo - Il Marchese Del Grillo e così via,  fino ad avermi fatto conoscere, pian piano, tutta la filmografia di questo grande attore.

Da piccolo, Alberto Sordi, si divertiva a improvvisare recite con delle marionette per i suoi coetanei. Inizia a scaldare le corde facendo il soprano nel coro di voci bianche  della Cappella Sistina. Studiò lirica dunque, poi nel 1936 si trasferì a Milano per iscriversi all'Accademia dei Filodrammatici (dove venne espulso poi, per l'appunto). La musica, la radio, le comparse e poi l'occasione di prestare la voce a grandissime star internazionali. Nel 1937 si presenta a Cinecittà e appare come comparsa nel kolossal Scipione l'africano e in Giarabub. Poi arriva la prima grande occasione, quella del concorso indetto dalla Metro Goldwyn Mayer, vinto da Sordi, con il quale inizia a doppiare Oliver Hardy (inizialmente si faceva chiamare Alberto Adisor, non ho mai capito perché). La voce di Sordi si prestò non solo al grande Onlio, questa professione continua fino agli inizi degli '50, tra gli altri attori doppiati ricordiamo Anthony Quinn, John Ireland, Robert Mitchum, Pedro Armendariz. Doppia anche attori italiani come Franco Fabrizi e Marcello Mastroianni. Passò anche per il Teatro leggero, ma il primo vero grande successo arriva con le macchiette radiofoniche. Sono gli anni 1947-48 e, Corrado, lo lancia  nelle trasmissioni Rosso e nero, Oplà e Vi parla Alberto Sordi. Dalla radio agli esordi reali nel mondo del cinema passano almeno dieci anni, durante questo periodo Sordi si presta a ruoli secondari in una ventina di film non per forza significativi, anzi, alcuni scoperti praticamente ora, come I tre aquilotti (1942) di Mario Mattòli
Il 1950 è l'anno del film Mammamia che impressione!, sceneggiato da Cesare Zavattini e diretto quasi in forma anonima da Vittorio De Sica. Da qui nasce un personaggio originale, riproposto poi in altri lavori minori, Il compagnuccio della parrochietta

Il Grande Sordi esplode negli anni 1950-52 insieme a Federico Fellini con i suoi Lo Sceicco bianco (1952) e I vitelloni (1953) e poi con Steno, Un giorno in pretura (1953), Un americano a Roma (1954) e Piccola posta (1955). Di lì in poi l'ascesa di Sordi fu impressionante, qualcosa come 10 film l'anno, veramente incredibile. E nonostante si fece il possibile ("vergognosamente", aggiungerei) per togliere il nome di Sordi dai manifesti del film I vitelloni,  perché poco simpatico al pubblico di allora, vinse fortunatamente la fiducia e la lungimiranza di un grande, del più grande regista italiano, il quale credette fin da subito nelle doti straordinarie di quello che sarebbe diventato "Il Grande Albertone". 

Non posseggo una pergamena di quelle infinite, e sarebbe inutile stare qui ad elencare tutti i film memorabili interpretati da Sordi. Per questo motivo vorrei concludere con qualcosa di più personale, qualcosa che mi viene da dentro e che sente il bisogno di manifestarsi. A volte nel mondo della cultura, dell'arte, così come nel cinema, esistono amori nati, e coltivati, in casa, quelli che ti vedono crescere e proseguire il tuo cammino senza abbandonarti mai. Ci si scontra spesso con persone poco avvezze a queste storie, persone che non credono nell'amore nel senso più "vero" quando si parla di Arte, di Critica. Io non la vedo affatto così. Ho amato e continuerò ad amare Alberto Sordi non solo perché riflette con i suoi personaggi le mie stesse origini, la mia stessa romanità, ma perché, e soprattutto, riconosco in lui e in pochi altri, Vittorio De Sica, Nino Manfredi, Marcello Mastroianni, Aldo Fabrizi, l'essenza di un cinema che ormai non esiste più.



Quando l'attore entrava nelle case, nei gesti abituali delle famiglie, nei loro modi di fare e di dire...tutto questo per me non può che rappresentare il valore più alto e puro racchiuso in questa grande passione, che mi porto dentro, per il mondo del cinema.




mercoledì 12 dicembre 2012

Concorso Pitch Trailer 2013 - Idee per un film.


Carissimi, voglio segnalarvi oggi un Concorso cinematografico "gratuito" diretto da Stefania Bianchi, che si terrà a Catania dal 25 al 28 settembre 2013. Novità assoluta in Italia, il concorso Pitch Trailer è stato ideato e organizzato dall’Associazione Seven, ed è nato con l’obiettivo di offrire uno spazio alle idee degli autori indipendenti, incarnando pienamente la vocazione del Trailers FilmFest di sperimentare i nuovi linguaggi cinematografici per dare un’opportunità unica a tutti coloro che vogliono promuovere, attraverso un trailer, l’idea di un film da realizzare. Per la prima volta in questa edizione il concorso si estende a tutti i Paesi europei.

Possono partecipare lavori in pellicola e digitale provenienti da tutti i Paesi europei della durata minima di 1 minuto e della durata massima di 2 minuti e 50 secondi. L’invio dei lavorientro e non oltre il 30 maggio 2013 - deve avvenire in alta risoluzione nei formati avi, mov, mpg via  Wetransfer all'indirizzo pitch@trailersfilmfest.com e in upload nel formato flv nella sezione Pitch Trailer sul sito  www.trailersfilmfest.com

Il comitato di selezione del festival sceglierà 19 dei 20 Pitch Trailer finalisti, mentre il restante Pitch sarà scelto dal pubblico, che potrà votare fino al 30 giugno 2013 attraverso il canale You Tube Il TrailersFilmFest. Una giuria di 5 esperti professionisti del settore decreterà quindi il Miglior Pitch Trailer, che sarà premiato in una delle serate Première del festival. Come Premio finale, il vincitore del Miglior Pitch Trailer sarà ospite a Catania per tre giorni per tutta la durata della XI edizione del Trailers FilmFest.

Sul sito www.trailersfilmfest.com tutte le istruzioni per l’invio dei lavori.

Avete un'idea per un film da realizzare? Allora non pensateci troppo, PARTECIPATE!!!

martedì 11 dicembre 2012

Man of steel. Arriva il trailer completo.


La Warner Bros mette on line, oggi, il trailer completo dell' Uomo d'acciaio rivisto dal regista di 300, Zack Snyder. Il nostro amato supereroe nato in casa DC Comics merita una degna messa in scena, di questo siamo consapevoli. Al di là delle prime critiche già nell'aria, fin dalla notizia del progetto preso in mano dalla Warner, riguardo una troppo evidente impronta nolaniana, mi sento di esprimere tutta la mia fiducia nei confronti di questo film. Complice lo shock ancora vivo del Superman Returns di Singer o tutto il mio affetto della "me" ancora bambina che amava il suo eroe dal mantello rosso. Certo, la prima impressione è quella di aver messo per sbaglio il trailer de Il Gladiatore... (Hans Zimmer c'è!!!) però, tutto sommato, c'è nell'aria qualcosa che profuma (o almeno così pare), di epico...

In attesa del 14 giugno 2013, guardiamo il trailer.




"Esiste la poesia, allora esiste Dio!". Parola di Pietro De Bonis...



Non la ricordo nemmeno più, l'ultima volta che ho pianto leggendo una poesia. Anzi, chissà quanto tempo è passato dall'ultima poesia letta, mi domando io. Tanto, troppo forse. C'è chi dice che i giovani non siano fatti per i versi e che i versi non trovino un meritato riparo in un cuore giovane. Non sono d'accordo. Tutti hanno un piccolo ma inesorabile bisogno di "poesia", ma solo pochi riescono a
 sviscerare questo bisogno, a tirarcelo fuori, a denudarci delle nostre inconsapevoli esigenze primordiali. Pietro De Bonis è una piccola grande speranza, la quale porta a credere che, questo meraviglioso ciclo lirico-esistenziale possa, ancora oggi, "esistere". 


"Azzittate n'attimo ma'!
famme vede se ce riesco a sognà quarcosa de bello
magari de rivedette viva e zitta
almeno là.
A mà
la senti sta musica?
E' Venditti...
ora che ce penso
non t'ho mai chiesto i cantanti che te piacevano
per me lui te garbava
a papà gli piace tanto
dice che a voce sua je ricorda de quand'era ragazzo..."

Un piccolo estratto dalla poesia che chiude la parte in versi del libro di Pietro De Bonis, Ma', Brezze Moderne.

Quando parlai la prima volta con Pietro, ricordo perfettamente la sorpresa e la curiosità che suscitò in me la figura di questo giovane, romano, classe 1984, resa davanti ai miei occhi come l'immagine di un poeta dei nostri giorni, magari fuori dalle righe, dal carattere e dai toni irrisori, diretti, ma quanto mai carichi di sentimenti e "perché". Un ragazzo che sceglie di passare il suo tempo ad osservare la gente, ad analizzare le sensazioni, gli eventi. A trovare loro anche il più elementare dei significati. Eppure, quel che immagino di Pietro è una vita piuttosto normale, fatta si, di attimi più solitari dedicati ai bisogni che contraddistinguono ogni poeta/scrittore, ma allo stesso tempo vedo una vita animata di un piccolo uomo divenuto grande timbrando il biglietto di sola andata verso la vita più dura e reale, la stessa che, probabilmente, ha fatto esplodere in lui la voglia di raccontare al mondo anche la più piccola delle emozioni, poiché tutto è in grado di stupirci. 

L’amore è un sentimento interiore, l’odio un sentimento esteriore. L’odio va proclamato, l’amore no. Vedo sempre poca sincerità nei proclami d’amore. Nella poesia mento, mento bene. E’ solo lo strascico d’amore, una pezza sporca e unta, un abito strappato. L’amore di una donna non mi dà alcun bisogno di proclamare, poiché tutto già c’è e tutto giace in quello. Scrivo solo tante bugie, tante belle bugie, a partire dall’introduzione. 

Così l'autore invita il lettore, stuzzicando interesse e voglia di capire dove arriva realmente questa menzogna di cui si fa confesso portatore egli stesso. Questo sentimento, l'amore, è una bugia, o lo diventa dal momento in cui viene proclamato? Oppure, è nel porsi la domanda, la più grande bugia?
Stare a parafrasare su ciò che proviamo, forse, può sembrare fin troppo banale, inutile. Voglio dire, "Ti amo", e lo faccio tutti i giorni, non c'è bisogno che io proclami o verseggi come Montale, per convincerti di questo. 
E allora comprendiamo perché oggi, leggere una poesia risulti così assurdo e fuori moda, tanto da preferire ad essa uno squallido best seller erotico o una biografia illustrata degli One Direction (con tutto il rispetto...).
Quello che vorrei gridare in questo momento è che, non esiste moda o tendenza quando si parla di Arte, di vita. Non esiste il "momento giusto". Non esiste una regola ferrea, non c'è un grafico universale e divino che porti a credere che oggi non può esistere poesia che "tenga" perché di Dante e Petrarca ne abbiamo fino sopra ai capelli. Non è vero. 

Ho chiuso il libro Brezze Moderne di Pietro De Bonis e avevo gli occhi gonfi di lacrime. Sbalordita e incredula dell'accaduto ho riaperto il libro e a ben vedere mi accorgo di quale enorme potenza può caricarsi un "assortimento" di pensieri, stati d'animo, emozioni. Quella di Pietro è una poesia genuina, semplice senza troppi ghirigori e lo dico non perché abbia sofferto la mancanza di stile e classe, anzi. Nei versi racchiusi in Brezze Moderne c'è "un po'di tutto", e tutto strutturato all'interno di un corpus poetico equilibrato. Dopo l'introduzione e la poesia/omaggio alla grande poetessa Alda Merini, De Bonis prosegue sulla scia del verseggiatore che parla della vita, dell'amore (di una donna musa ispiratrice, della "mamma" donna per eccellenza, delle sensazioni più sfuggevoli e intense come le brezze estive, le nuvole e la neve, bella ma insopportabile), per concludere poi con degli intermezzi e 112 aforismi. Attraverso un susseguirsi di parole che prendono vita tramutandosi in immagini, in suoni e sapori, De Bonis conquista il lettore e lo porta fin dentro le sue pagine. Lo porta con sé, nei suoi stessi giorni, nelle sue stesse notti, nel mezzo delle sue stesse "brezze"...

Esiste la poesia
allora esiste Dio!
Come quando non conosci i dolori
ma vedi lo stesso gente piangere

Continuerò a non morire se Dio vorrà

Esistono ancora i poeti, quelli in grado di scoperchiare con sole due righe i sentimenti più nascosti di ogni essere umano...questa è la magia. Questa è poesia. 
Grazie Pietro!!!



lunedì 10 dicembre 2012

Los Angeles Film Critic Award 2012. "Frankenweenie Miglior film d'Animazione".


Nell'attesa della notte più attesa (che sia attesa non è certo in dubbio) ad Hollywood, quella degli Oscar 2013, ecco i vincitori dei LAFCA 2012. Ancora Amour e The Master a dominare tra le liste dei pluripremiati dell'anno. Certo è, che mi costerebbe non poca fatica nascondere la gioia e il motivo principe, motore di questo articolo. Mi riempie il cuore e soddisfa ogni mia particella cinefila il seguire attentamente questa sfilza di titoli e registi e vedere nel mezzo proprio lui, Frankenweenie - ovvero, il Miglior Film d'Animazione. Questo per dare libero sfogo al mio amore per Burton e per dire ancora una volta,
Go Tim...go!!!

Di seguito la lista completa dei vincitori.


Miglior film: Amour
Secondo posto: The Master

Miglior attore: Joaquin Phoenix - The Master
Secondo posto: Denis Lavant - Holy Motors

Miglior attrice: Jennifer Lawrence - Silver Linings Playbook, ex-aequo con Emmanuelle Riva - Amour

Miglior attore non protagonista: Dwight Henry - Beasts of the Southern Wild
Secondo posto: Christoph Waltz - Django Unchained

Miglior attrice non protagonista: Amy Adams - The Master
Secondo posto: Anne Hathaway - Les Miserables e Il cavaliere oscuro - Il ritorno

Miglior regista: Paul Thomas Anderson - The Master
Secondo posto: Kathryn Bigelow - Operazione Zero Dark Thirty

Miglior sceneggiatura: Chris Terrio - Argo
Secondo posto: David O. Russell - Silver Linings Playbook

Miglior fotografia: Roger Deakins - Skyfall
Secondo posto: Mihai Malaimare Jr. - The Master

Miglior montaggio: Dylan Tichenor e William Goldenberg - Operazione Zero Dark Thirty
Secondo posto: William Goldenberg - Argo

Miglior documentario: The Gatekeepers
Secondo posto: Searching For Sugar Man

Miglior film straniero: Holy Motors
Secondo posto: Footnote

Miglior film d’animazione: Frankenweenie
Secondo posto: It’s Such a Beautiful Day

Miglior colonna sonora: Dan Romer e Benh Zeitlin - Beasts of the Southern Wild
Secondo posto: Jonny Greenwood - The Master

Miglior scenografia: David Crank e Jack Fisk - The Master
Secondo posto: Adam Stockhausen - Moonrise Kingdom

Douglas E. Edwards Independent/Experimental Film/Video: Leviathan


Ricordo la data di uscita italiana del film Frankenweenie  17 gennaio 2013

Fonte della news: Frenckcinema
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