martedì 21 gennaio 2014

"Il cinema non è niente", Carmelo Bene 1995.



Questa mattina mi sono imbattuta, e non chiedetemi perché o per come, in una intervista di Sandro Veronesi fatta a Carmelo Bene nel 1995. Anzi sì, lo ricordo. Partendo da una discussione su quelli che sono stati i film più "disturbati e disturbanti" della storia del cinema, non si è potuto fare a meno di citare Pasolini e il suo Salò o le 120 giornate di Sodoma. Da questa discussione ho iniziato a documentarmi su alcuni titoli tra i più terribili, ma nulla, si tornava sempre lì. Su Pasolini. Così google, vedendomi parecchio interessata alla questione, mi suggerisce questa intervista a Carmelo Bene, nella quale dice la sua anche su Salò. Questo primo video sarà solo un estratto della versione integrale dell'intervista, e mi colpisce subito un'affermazione di Bene, secondo la quale il film di Pasolini (o anche Pasolini stesso) non appartenga al cinema. Poiché, il cinema è "altro". Secondo Bene a Pasolini apparteneva solo una lettura sadiana, in quanto gli apparteneva/lo rappresentava. 


Spostandomi sui vari suggerimenti che il canale You Tube propone, mi cade l'occhio sull'intervista integrale. Mi ci fiondo, e inizio ad arricchire e a fermentare la mia mattinata così...

Potrei iniziare commentando con un: "Va bene forte, va bene disperato. Ma violento..."
Io non ho avuto modo di conoscere Pasolini, al contrario di quanto abbia potuto fare Bene. Mi limito dunque a valutare il suo cinema, anzi, la sua Arte. Ma cosa dovrei fare? Considerare ciò che Pasolini "rappresentava" o ciò che egli "era"? Chiaro che io valuti ciò che egli rappresentava, perché è così che si dovrebbe fare con il cinema e con l'Arte in genere. L'Arte è una rappresentazione. E'/esiste, solo ed unicamente in quanto rivelatrice di ciò che esiste a prescindere (o non esiste). 

La mia curiosità in merito aumenta a dismisura e raggiunge vette mai sfiorate, quando Bene inizia ad addentrarsi meglio, nella "questione cinema". 
Il cinema non è niente
Aspetta. Parliamone. 
E per un istante facciamo che tu sia qui davanti a me e mi permetti di darti del tu. 
Secondo me cadi in contraddizione quando dici che "il cinema è tributario della letteratura, della musica". Vero, verissimo per carità. Ma allora, non credi sul serio che il cinema sia niente?
Il niente è niente e lo si deve prendere come dato di fatto. Il niente attinge alla letteratura? Alla musica? Non credo. Curioso anche il punto in cui Bene parla della musica per film, sottolineando come questa si presti al cinema. Ma non puoi tirare acqua al tuo mulino in modo così sfacciato. Da che mondo è mondo si sa, quanto il cinema e la musica siano due arti strettamente legate tra loro. Connesse per loro stessa natura, destinate a darsi l'una all'altra. Quando un compositore legge la sceneggiatura o chiede al regista di visionare ancora una volta una determinata sequenza allora? Cosa vuol dire? Non è fantascienza questa. E' realtà. E' ciò che accade realmente in un qualsivoglia rapporto professionale regista/compositore. 
Bene dice "Io non ho mai visto un film in vita mia". Esagerato!!! Come se ci credessimo. E la sua parentesi cinematografica come la spiega poi? Negli '60-70 Bene, ha preso il cinema e ne ha fatto trampolino di lancio per la notorietà internazionale. A partire dall'Edipo Re, proprio di Pasolini. Certo è che la figura di Bene sia stata da sempre controversa e complessa. Non altamente digeribile per tutti gli stomaci. Pensare che a quei tempi il pubblico, arrivava perfino ad appiccare fuochi nelle sale. Ma al di là di tutto, sarebbe inutile e dannoso, stare qui a mettere in discussione la grandezza di Bene come "uomo di teatro". Però il suo talento atto a distruggere e a frammentare tutto ciò che sia immagine e testo, la potrebbe dire lunga, riguardo alla sua idea di cinema. Anche perché il cinema è un linguaggio, non solo questo attenzione, ma lo è. Un linguaggio diverso, come diceva Fellini


Solo che Bene guardava al teatro come qualcosa che fosse libero da testi o linguaggi prestabiliti. Senza attori/macchine che imparino a memoria e finiscano per apparire miseri "trovarobe". La sua tendenza a martoriare ciò che eccede è evidente. Anche quando parla dell'Arte pittorica. E poi ancora: "Il cinema è volgare, è ibrido". Ma è la vita stessa ad esserlo. 

Lo sono persino gli attori, i suoi eroi per eccellenza. Eppure c'è un sottile paradosso nella sua intervista di quasi un'ora, così come nella sua intera carriera. Carmelo Bene, un affabulatore  che crea e vive di Arte, per poi frantumarla egli stesso. Un uomo che non possiede un corpo ma "è" egli stesso corpo. Una macchina costruita per intrattenere il pubblico e stordirlo, portandolo altrove. Senza dargli modo di capire a cosa realmente abbia assistito, preso parte. Era sua indole smontare ciò che gli passava davanti. Il critico che appare ai suoi occhi come un poliziotto in pensione (questa è bella). Il cinema che non è nulla poiché altro non è che se stesso. Perché non si può fare cinema con solo cinema; non si può fare poesia con sola poesia; non si può fare la vita con la vita stessa. Serve dell'altro. 
L'altro
E' necessario che l'Arte ci porti "altrove". Su questo siamo d'accordo caro Bene. Ecco perché dentro quella sala buia, non ho nulla da chiedere al mondo. Ho già tutto.


Autobiografia di uno spettatore
Ci sono stati anni in cui andavo al cinema quasi tutti i giorni e magari due volte al giorno, ed erano gli anni tra, diciamo, il Trentasei e la guerra, l’epoca insomma della mia adolescenza. Anni in cui il cinema è stato per me il mondo. Un altro mondo da quello che mi circondava, ma per me solo ciò che vedevo sullo schermo possedeva le proprietà di un mondo, la pienezza, la coerenza, mentre fuori dello schermo s’ammucchiavano elementi eterogenei che sembravano messi insieme per caso, i materiali della mia vita che mi parevano privi di qualsiasi forma. Il cinema come evasione, si è detto tante volte, con una formula che vuol essere di condanna, e certo a me allora il cinema serviva a quello, a soddisfare un bisogno di spaesamento, di proiezione della mia attenzione in uno spazio diverso, un bisogno che credo corrisponda a una funzione primaria dell’inserimento nel mondo, una tappa indispensabile d’ogni formazione. 
Certo per crearsi uno spazio diverso ci sono anche altri modi, più sostanziosi e personali: il cinema era il modo più facile e a portata di mano, ma anche quello che istantaneamente mi portava più lontano. Ogni giorno, facendo il giro della via principale della mia piccola città, non avevo occhi che per i cinema, tre di 
prima visione che cambiavano programma ogni lunedì e ogni giovedì, e un paio di stambugi che davano film più vecchi o scadenti, con rotazione di tre alla settimana. Già sapevo in precedenza quale film davano in ogni sala, ma il mio occhio cercava i cartelloni piazzati da una parte, dove s’annunciava i film del prossimo programma, perché là era la sorpresa, la promessa, l’aspettativa che m’avrebbe accompagnato nei giorni seguenti. 
Andavo al cinema al pomeriggio, scappando di casa di nascosto, o con la scusa d’andare a studiare da qualche compagno, perché nei mesi di scuola i miei genitori mi lasciavano poca libertà. La prova della vera passione era la spinta a ficcarmi dentro un cinema appena apriva, alle due. Assistere alla prima proiezione aveva vari vantaggi: la sala semivuota, come fosse tutta per me, che mi permetteva di sdraiarmi al centro dei «terzi posti» colle gambe allungate sulla spalliera davanti; la speranza di rincasare senza che si fossero accorti della mia fuga, per poi avere il permesso di uscire di nuovo (e magari vedi un altro film); un leggero stordimento per il resto pomeriggio, dannoso per lo studio, ma favorevole alle fantasticherie. E oltre a queste ragioni tutte a vario titolo inconfessabili, una ce n’era di più seria: entrare allora dell’apertura mi garantiva la rara fortuna di vedere il film dal principio, e non da un momento qualsiasi verso la metà o la fine come mi capitava di solito quando raggiungevo il cinema a metà pomeriggio o verso sera. 

(Italo Calvino, La strada di San Giovanni)


*L'immagine, pur non c'entrando nulla con Carmelo Bene, mi pare rappresenti come dovrebbe, ciò che le mie parole vorrebbero rendere. La trovo un'immagine straordinaria. E io, amo le immagini...

3 commenti:

  1. Sono un grande patito di Carmelo Bene.
    Conoscevo queste interviste.
    Mi hanno aiutato a capire quel film

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  2. Io non lo conosco davvero, almeno quel poco l'ho capito documentandomi partendo da questa intervista. Mi dà l'idea di un uomo il quale tendeva a distruggere un po' tutto ciò che lo circondava. Il tetro stesso. Un po' dannunzianamente su tutto. Io il film di Pasolini credo o di averlo capito basandomi sulla sua poetica, sulla sua personalità complessa. Un capitolo della mia tesi di laurea è dedicato proprio a Salò. ;-)

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  3. Questo commento è stato eliminato dall'autore.

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