«Me se strigne 'a gola a di' guèrra», rispose così Alberto Sordi, quando l'insegnante di dizione dell'Accademia dei Filodrammatici di Milano lo prese in disparte e gli disse che la sua romanità non poteva andar bene. Non voleva, non poteva, chi può stabilirlo realmente. Era il 1936...
Quel che oggi possiamo affermare senza rischiare il cartellino rosso (ricordo che Sordi pagò cara quella risposta, venne espulso dall'Accademia) è che , quello stesso dialetto tanto discusso e "snobbato", si dimostrò partecipe e complice fondamentale, qualità superlativa, di un uomo divenuto simbolo, insieme a pochissimi altri, della "Commedia all'italiana".
Nato a Roma nel 1920 (scomparso a febbraio del 2003), Alberto Sordi è stato tante maschere, Il tassinaro Pietro Marchetti, Il vigile scapestrato Otello Celletti, il vitellone felliniano Alberto, il Santibailor Nando in Un Americano a Roma, e ne ha rappresentati davvero molti degli stereotipi dell'italiano medio. L'italiano raccontato attraverso i suoi tic, i suoi vizi e i suoi lati più magnanimi, gentili e semplici, "caserecci" diremmo a Roma. Certo analizzare tutta la carriera di Sordi richiederebbe un lavoro enorme, più di mezzo secolo di cinema, cavolo mi ci vorrebbero mesi, ma non è escluso che un giorno non lo faccia, chissà...
Quello che vorrei (ri)vedere oggi insieme a voi, è la straordinaria storia di questo attore che ha accompagnato, iniziandola, la mia grande passione per il cinema. Forse sento più il bisogno di raccontare la mia di storia, o meglio, come è esploso un amore cinematografico così grande, tanto grande, proprio perché nato in casa, in famiglia, quando ancora credevo che il cinema fosse racchiuso tutto dentro il castello delle fiabe di Walt Disney. Per me era quello il "cinema".
Ricordo come fosse ieri le domeniche in casa con mio padre, al settimo cielo per via della festività settimanale, la sola, visto che lavorava tutti i giorni ed era fuori dalla mattina alla sera. E ricordo con quale amore e con quanta luce negli occhi lui ogni volta, prendeva dall'armadio la sua cassetta e, sedendosi sul divano esclamava: Ah, questo non è un film, questo è IL film!!! E la cosa assurda è che ripeteva questa stessa cosa con ogni film del suo Albertone, non cambiava mica la sua "formula magica". Infatti si divertiva come un matto (forse lo era e lo è tuttora), ad arrivare in sala con la sua vhs in mano, ben nascosta, invitando me e mio fratello (e mia madre ormai esausta di questa manfrina) ad indovinare il film, con quello sguardo quasi spiritato e scompensato. Era bello però...certo col tempo avevamo "sgamato" tutte le sue mosse cinefilo-compulsive-ossessive, dunque rispettava una sorta di sequenza-tipo: Il Vigile-Un Americano a Roma- Il Conte Max - Il vedovo - Il Marchese Del Grillo e così via, fino ad avermi fatto conoscere, pian piano, tutta la filmografia di questo grande attore.
Da piccolo, Alberto Sordi, si divertiva a improvvisare recite con delle marionette per i suoi coetanei. Inizia a scaldare le corde facendo il soprano nel coro di voci bianche della Cappella Sistina. Studiò lirica dunque, poi nel 1936 si trasferì a Milano per iscriversi all'Accademia dei Filodrammatici (dove venne espulso poi, per l'appunto). La musica, la radio, le comparse e poi l'occasione di prestare la voce a grandissime star internazionali. Nel 1937 si presenta a Cinecittà e appare come comparsa nel kolossal Scipione l'africano e in Giarabub. Poi arriva la prima grande occasione, quella del concorso indetto dalla Metro Goldwyn Mayer, vinto da Sordi, con il quale inizia a doppiare Oliver Hardy (inizialmente si faceva chiamare Alberto Adisor, non ho mai capito perché). La voce di Sordi si prestò non solo al grande Onlio, questa professione continua fino agli inizi degli '50, tra gli altri attori doppiati ricordiamo Anthony Quinn, John Ireland, Robert Mitchum, Pedro Armendariz. Doppia anche attori italiani come Franco Fabrizi e Marcello Mastroianni. Passò anche per il Teatro leggero, ma il primo vero grande successo arriva con le macchiette radiofoniche. Sono gli anni 1947-48 e, Corrado, lo lancia nelle trasmissioni Rosso e nero, Oplà e Vi parla Alberto Sordi. Dalla radio agli esordi reali nel mondo del cinema passano almeno dieci anni, durante questo periodo Sordi si presta a ruoli secondari in una ventina di film non per forza significativi, anzi, alcuni scoperti praticamente ora, come I tre aquilotti (1942) di Mario Mattòli.
Il 1950 è l'anno del film Mammamia che impressione!, sceneggiato da Cesare Zavattini e diretto quasi in forma anonima da Vittorio De Sica. Da qui nasce un personaggio originale, riproposto poi in altri lavori minori, Il compagnuccio della parrochietta.
Il Grande Sordi esplode negli anni 1950-52 insieme a Federico Fellini con i suoi Lo Sceicco bianco (1952) e I vitelloni (1953) e poi con Steno, Un giorno in pretura (1953), Un americano a Roma (1954) e Piccola posta (1955). Di lì in poi l'ascesa di Sordi fu impressionante, qualcosa come 10 film l'anno, veramente incredibile. E nonostante si fece il possibile ("vergognosamente", aggiungerei) per togliere il nome di Sordi dai manifesti del film I vitelloni, perché poco simpatico al pubblico di allora, vinse fortunatamente la fiducia e la lungimiranza di un grande, del più grande regista italiano, il quale credette fin da subito nelle doti straordinarie di quello che sarebbe diventato "Il Grande Albertone".
Non posseggo una pergamena di quelle infinite, e sarebbe inutile stare qui ad elencare tutti i film memorabili interpretati da Sordi. Per questo motivo vorrei concludere con qualcosa di più personale, qualcosa che mi viene da dentro e che sente il bisogno di manifestarsi. A volte nel mondo della cultura, dell'arte, così come nel cinema, esistono amori nati, e coltivati, in casa, quelli che ti vedono crescere e proseguire il tuo cammino senza abbandonarti mai. Ci si scontra spesso con persone poco avvezze a queste storie, persone che non credono nell'amore nel senso più "vero" quando si parla di Arte, di Critica. Io non la vedo affatto così. Ho amato e continuerò ad amare Alberto Sordi non solo perché riflette con i suoi personaggi le mie stesse origini, la mia stessa romanità, ma perché, e soprattutto, riconosco in lui e in pochi altri, Vittorio De Sica, Nino Manfredi, Marcello Mastroianni, Aldo Fabrizi, l'essenza di un cinema che ormai non esiste più.
Quando l'attore entrava nelle case, nei gesti abituali delle famiglie, nei loro modi di fare e di dire...tutto questo per me non può che rappresentare il valore più alto e puro racchiuso in questa grande passione, che mi porto dentro, per il mondo del cinema.
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