martedì 6 novembre 2012

La collina dei papaveri



Siamo a Yokohama, è il 1963. Il Giappone comincia pian piano ad uscire dalla devastazione causata dalla Seconda Guerra Mondiale, e lo fa, puntando tutto sulla "nuova generazione". Saranno infatti due giovani adolescenti, Umi e Shun, ad animare la "lotta" per salvaguardare gli ideali e i sentimenti che aiuteranno il loro paese a migliorarsi, guardando al domani senza mai, però, dimenticare il passato.

La collina dei papaveri è il secondo lungometraggio di Goro Miyazaki (ebbene si, il papà è "un certo Hayao", e ha collaborato in fase di sceneggiatura), lo stesso che nel 1998 intraprende il progetto del Museo Ghibli a Mitaka, ricoprendone il ruolo di direttore fino al 2005. Nel 2006 arriva infatti l'esordio alla regia per Goro, con il film I racconti di terramare, presentato al Festival di Venezia nello stesso anno. Nonostante già qui si potrebbe notare una certa sfumatura registica costruita sulle orme del padre, soprattutto nei tratti che rimandano alle serie animate dei primi anni '70 (Anna dai capelli rossi, Conan, Heidi) il piccolo Miyazaki, prende poi un percorso differente, dando al film un'impronta più tipica del genere fantasy (draghi, maghi e principi). Dal punto di vista letterario, Goro si rifà al ciclo di Earthsea (Il mago di Earthsea, Le tombe di Atuan e La spiaggia più lontana) la cui autrice Ursula K. Le Guin, è considerata una delle più grandi scrittrici viventi del genere.

Se dovessi parlare de La collina dei papaveri usando solo poche righe, due al massimo, vi direi che 
"è prima di tutto la storia di un amore puro, innocente, tra due adolescenti. Legati, ancor prima che dal loro sentimento giovanile, da un destino già deciso prima che nascessero".


La metropolitana ancora non c'è, a Yohohama, è l'anno precedente alle Olimpiadi di Tokyo e non è certo un caso che la dimora in cui vive la giovane Umi sia situata proprio sopra una collina che si affaccia sul porto, ben lontana dal caos e la frenesia della città. Umi (il cui nome in giapponese significa "mare") è la figlia più grande di una famiglia matriarcale, si occupa della casa, delle sorelle e del fratellino, e frequenta l'ultimo anno delle scuole superiori. Nei movimenti studenteschi e tra le scartoffie e la polvere del Quartier Latin, Umi conoscerà Shun, caporedattore del giornale studentesco, con il quale inizierà a vivere un profondo legame. Non anticipandovi nulla sul film, vi chiedo solo di immaginare questa specie di castello/struttura fatiscente costituita da un numero ancora poco chiaro di piani, tra mucchi di polvere e libri di ogni genere. Perché al di là delle metafore e dell'impegno più profondo di cui il film si fa portatore, vedi l'incombere dell'inquinamento di massa, la frenesia della città, la gente che sembra aver perso completamente la calma e la voglia di andare "piano". La donna, il motore del mondo mi verrebbe da dire e non perché stia peccando di femminismo credetemi, però Miyazaki è riuscito a dare alla figura della donna un ruolo splendido e tanto forte, mai visto prima. Questa ragazzina si alza la mattina all'alba, prepara la colazione per tutta la famiglia, va a scuola e nel pomeriggio si presta ad aiutare i ragazzi del movimento studentesco per salvare la vita al Quartier Latin che rischiava di venir abbattuto. 


Umi, come il suo stesso nome vuole, è molto legata al mare e lo si capisce dalle prime sequenze del film, quando la vediamo innalzare una bandiera rivolta al porto con su scritto U e W, in giapponese, Buon Viaggio. Forse questa prassi della giovane è più un desiderio di guardare oltre l'orizzonte e sperare di vedere ancora una volta la barca del povero padre, rimasto ucciso nella guerra di Corea. Forse uno dei messaggi più importanti del film può esser colto proprio qui, nella forza di questa ragazzina di andare avanti, verso il proprio futuro senza mai però dimenticare il passato, le origini. E torna questo anche nelle parole di Shun, durante una movimentata assemblea d'istituto. Torna perché è il regista stesso che lo vuole. 

L'autore di quest'opera fatta di colori e sentimenti, l'ha disegnata coi tratti più semplici ma efficaci, quelli che con l'assoluta purezza e nitidezza delle immagini sanno stravolgere mente e anima dello spettatore che si ritrova lì, a cercare di (ri)organizzare il tempo e lo spazio, cose che sembrano esser momentaneamente scombinate. C'è una sorta di aura magica in sala, si perché quella sensazione che ti lascia addosso La collina dei papaveri è quella di un "nuvolone" di purezza che ti sorprende e ti invade il corpo senza che tu nemmeno te ne accorga. Io sono tornata quella bambina che vedeva Heidi e trovava l'amore nel sorriso di un nonno o nella corsa spensierata sopra una collina...questo per dire che esiste un tipo di cinema che va oltre ogni genere, oltre lo spazio e il tempo. Il cinema che somiglia a un acquerello animato, fatto di musica (splendida ogni traccia scelta da Satoshi Takebe) e messo in moto dai sentimenti più umili, quelli che tutti, chi più chi meno, "abbiamo" lasciato cadere per strada, durante la corsa, che "ci" ha fatti diventare "adulti"...

6 commenti:

  1. spero proprio di riuscire a vederlo, le opere dello studio ghibli hanno un incanto che mi lascia sempre senza parole :)

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  2. È vero Margherita e spero davvero che tu riesca a vederlo...purtroppo siamo di fronte all' ennesimo schifo della distribuzione italiana. Proiettato in un solo giorno...roba da non crederci!!!

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  3. sinceramente non è la mia tipologia di cartone, sebbene la poesia che emana sia evidentissima

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    1. Io devo ammettere di aver scoperto un po' tardino il fascino dell'anime giapponese. Ora però, sono sincera, mi sono completamente innamorata e mi si è aperto, come dire, un mondo nuovo. Infatti è come dici tu, è la poesia che emana, la miriade di sensazioni e tutte le sfumature cromatiche di un tipo di cinema a sé. Forse il più "puro" che io abbia mai assaporato... =)

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  4. A me ha detto poco o nulla. A momenti ho preferito il precedente "Terramare"...

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