venerdì 6 settembre 2013

"Tu, mio" di Erri De Luca - Ci sono dei niente che non si staccano più.

Questa estate sotto l'ombrellone ho pensato di accompagnare le mie giornate, o meglio i miei attimi di leggera solitudine, con un libro insolito rispetto ai miei scelti precedentemente e messi in valigia. Ho pensato di scoprire qualcosa di più riguardo a uno scrittore italiano, definito da molti "lo scrittore del decennio", Erri De Luca. Ciò che mi ha spinto verso di lui è stata credo la sua delicatezza nel provare a spiegare "perché" abbiamo bisogno dei libri. Cosa cerchiamo nelle pagine e nei sentimenti che in fondo non ci appartengono direttamente. Gli stessi che, appena sfogliata l'ultima pagina, sembrano come per magia essere stati nostri da sempre...

La prima cosa che ho pensato di questo scrittore, è che avesse una capacità innata e molto rara, soprattutto oggi, di tirar fuori le sfumature delle sensazioni più sottili e complicate che animano gli esseri umani. E' così che leggendo Tu, mio ho potuto confermare questa idea. Erri De Luca prende il corpo magro e l'esplosione di sentimenti propri di un ragazzino di sedici anni e ci porta nel mare di una Napoli lucente, meta di turisti e patria di pescatori. Palco ondulante e soleggiato che ancora racconta con lucida memoria i passi di una guerra terribile, conclusa circa un decennio prima. 

"Dopo la guerra i vivi avevano indurito il silenzio", questo il giovane protagonista di De Luca lo sapeva bene. Così come sapeva di essere diverso dai suoi coetanei, quelli che pensavano a divertirsi in spiaggia, ad accogliere le belle turiste approdate sull'isola e a godere di ogni attimo di legittima spensieratezza che dovrebbe, almeno, fissare uno dei momenti più belli della nostra vita: l'adolescenza. In mare con lo zio, il cugino più grande Daniele e Nicola, una delle figure più importanti (a mio avviso) apparse nelle pagine del libro, questo ragazzino scopre una irrefrenabile esigenza di "sapere" e conoscere un passato neanche troppo lontano. Un passato fatto di guerra, di tedeschi e di spari implacabili, di un accento incomprensibile e di come oggi tutti gli uomini e le donne che allora videro, abbiano scelto la via del silenzio, del dimenticare coatto, necessario a vivere.


De Luca trova nella figura di una ragazza ebrea, Caia, il modo più dolce o meno doloroso se vogliamo, per aiutare il giovane a comprendere quella realtà che non lo ha visto presente. Attraverso un amore adolescenziale e puro, che a tratti si innalza ad amore carnale (paterno), l'autore porta il lettore a scavarsi dentro, a porsi domande nuove (o le più vecchie) che, inconsapevolmente, da sempre affliggono gli uomini.

Ci porta a riflettere sul come nella vita a volte, porsi domande e cercare le risposte possa scombinare la calma e il male dell'omertà esistenziale. Un male che attanaglia tutti noi, quelli che optano per il niente e, strada facendo perdono tutto...

"Ci si innamora così, cercando nella persona amata il punto a nessuno rivelato, che è dato in dono solo a chi scruta, ascolta con amore. Ci si innamora da vicino, ma non troppo, ci si innamora da un angolo acuto un poco in disparte in una stanza, presso una tavolata, seduto su un gradino mentre gli altri ballano". 

2 commenti:

  1. Adoro De Luca. Il suo ricamare sensazioni, e a volte sbozzarle solamente, grezze come un'alba gelida che taglia il viso. Comunque ti racconta un pezzo di se, e non sembra solo narrartelo, te lo lancia vivo addosso, e tu respiri appena, e lo vivi con lui.

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  2. Vero Franco, lo ammiro e lo invidio molto anche io, per questa sua dote unica. =)

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