mercoledì 23 dicembre 2015

Quell'angolino tranquillo a sinistra - Mehdi Rabbi


 Un progetto editoriale davvero interessante, quello della casa editrice Ponte 33: “Portare in Italia la letteratura contemporanea iraniana”. L’idea nasce a Tehran, nel 2008, grazie a Felicetta Ferraro e Bianca Maria Filippini.  Il nome Ponte33 richiama il persiano Si-o-se pol, bellissimo ponte di Isfahan fatto di 33 arcate, dove da sempre giovani e meno giovani si incontrano, parlano, discutono, recitano versi e leggono libri.
Credo sia doveroso partire dal principio, perché quando si scopre un mondo nuovo e fitto di storie, ci si deve se non altro interrogare. L’Iran è una realtà complessa, che arriva da noi attraverso leggende stereotipate, storie filtrate dal mezzo cinematografico e mediatico.
Ma la letteratura riesce sempre a compiere quel miracolo sottile, che incontra i luoghi più intimi e li riporta, così come sono. I racconti di Mehdi Rabbi svelano i rapporti giovani e disillusi della società iraniana. “Nel Khuzestan disseccato dal sole”, lontano dalla capitale Tehran, i personaggi descritti da Rabbi confessano i legami di genitori e figli, uomini e donne, come se questi si muovessero con passi leggeri da una sponda all’altra del fiume, passando sotto i ponti, incrociando alberi esotici e mercatini delineati dalle sagome di donne accovacciate. Gli uomini corrono e si contendono le donne, le più belle, quelle che non possono “appartenere” ad uno soltanto. Le donne bambine devono imparare a superare gli sguardi accesi e penetranti di tutti, e le mani raggrinzite delle vecchie invidiose.
Eppure anche qui molte donne preferiscono il silenzio (Lasciami dormire), temono l’invidia e il giudizio. Anche qui, si va al cinema e si cerca l’angolino più tranquillo, due poltrone magari a sinistra. E nel mezzo tutto ciò che non serve. Quell’angolino tranquillo a sinistra porta il lettore in un “posto davvero strano”, come suggerisce l’incipit di uno dei racconti che ho amato di più, Malihe.

Malihe era grazioso come nome. Le brutte vecchie vestite di nero del villaggio, quando vennero per vederla, presero a deglutire e a sospirare dicendo: “A Dio piacendo! A Dio piacendo! Ah, quant’è bella; ah, quant’è bella!” Per quanto fossi  poco più di un bambino, già da quei primi sguardi avvertivo l’invidia e la gelosia di quelle donne. Invidia millenaria. Quando la presero in braccio con quelle mani rinsecchite, nere e rugose, piene di braccialetti d’oro, sembrava che volessero spremerle per berne il succo e farsi gonfiare le ossa e diventare giovani di nuovo.
C’è l’amore inconsapevole in queste pagine, come se fosse sbagliato pensarlo, averne un’idea ben precisa. Tanta è la tristezza, “come il pensiero del ritorno all’inizio di un viaggio affascinante”.
 
L’autore si esprime attraverso una prosa semplice, i racconti appaiono slegati dal punto di vista narrativo, ma pregni della stessa materia emotiva. I sentimenti muovono la mano e l’anima di Rabbi, e lasciano il lettore in sospeso, senza un finale che sappia mettere davvero un punto a questo viaggio intimo.  Questa scelta stilistica conferisce al libro il dubbio e il fascino dell’indefinito e, seppur confuso e ingenuo, talvolta, Quell’angolino tranquillo a sinistra ha in sé il pregio di essere tanto incerto quanto autentico.
 

2 commenti:

  1. Belli questi tentativi di avvicinare le culture *__* Segno sia il titolo che la CE!
    Preziosa segnalazione, ciao Valentina ^^

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  2. Vero Glò! Ammiro questi progetti editoriali, davvero. E ti consiglio di leggere il libro, questa casa editrice oltre a vantare di un'iniziativa unica nel panorama italiano, ha delle copertine davvero straordinarie. Fammi sapere... un abbraccio e a presto! :-*

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