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Il rosso e il blu



Quando la macchina da presa entra nelle aule scolastiche, a me capita spesso di indossare occhi diversi. Mi capita ad esempio di ricominciare a guardare quegli alunni e quei professori, come se stessi ancora vivendo gli anni della scuola. I miei periodi difficili, quelli in cui il futuro si poteva ancora maneggiare con cura e fantasia, come si fa in cucina con la pasta di zucchero. A quei tempi, nonostante la paura di sbagliare spesso aveva la meglio sulla nostra sfrontatezza e tenacia, tutto ci appariva grande e ancora possibile. Era bello.

Ecco perché tornare su quei banchi, talvolta è necessario. C'è sempre da imparare, recuperare qualche lezione persa, tornare a prendere appunti. E chi impara non è mai soltanto l'alunno, perché "imparare" deriva da uno scambio prezioso che esiste a partire da un numero mai inferiore a due. Questo immagino sia alla base del "credo" di ogni insegnante, almeno quelli che insegnano davvero.

E un regista come Giuseppe Piccioni ha il dono di quella intercambiabilità negli occhi, nel respiro dei sensi, e Il rosso e il blu, né è la straordinaria conferma. Il liceo diventa un pezzo di mondo a sé stante, un universo intimo in cui le debolezze e i punti forza dell'essere umano si esibiscono in performance del tutto trasparenti, non artefatte, come il cinema spesso vorrebbe. Dalla preside impeccabilmente rispettosa del suo ruolo, quella che deve avere bene a mente che, la scuola, è da vivere come un "luogo" ben preciso, e che chiede agli insegnanti di mantenere quel confine che divide il dentro dal fuori. Il rosso e il blu è anche questo. Giuliana/Margherita Buy è in perfetta sintonia con il suo modo di vivere, non solo la scuola, perché lei è una donna che vuole a tutti i costi mantenere le distanze. Significativo il rapporto con Brugnoli, il ragazzo trovato in palestra e portato in ospedale, in preda alla sola preoccupazione che poi, in caso contrario, avrebbe rischiato pure un'accusa di omissione di soccorso. Ma Giuliana è una di quelle che si impone divieti e allontana gli affetti, poiché convinta di farcela solo in questo modo. La felicità fino in fondo non le riguarda. Lei è il blu, la parte del mondo in cui fa più freddo. Il suo ruolo le impone questo. E nessuno deve sapere delle volte in cui si chiude in bagno per piangere, delle lacrime, che poi asciuga in fretta.


Riccardo Scamarcio è il professore giovane e sognatore, quello che ancora crede nel suo ruolo, e che vuole a tutti i costi trovare la salvezza ad ognuno dei suoi studenti. Anche se i sogni rimarranno tali, pregni di quell'aura magica che vede recitar sonetti da uno dei più scapestrati degli alunni, e dove la ragazza condannata a una vita non facile già a diciassette anni, tiene in mano Jane Eyre, e sorride. Eppure questo giovane supplente fa da perno all'intero film. La spinta verso il ritorno alla speranza, arriva da lui, nel momento in cui il professore vecchio e stanco, un grande Roberto Herlitzka, gli chiede perché abbia deciso di fare questo mestiere, lui infatti risponde così:"perché mi piace e nessuno mi hai mai impedito di farlo". In questa risposta io trovo la speranza.


Affrontare le storie che riguardano insegnanti e allievi, non è mai facile. Qualcosa che potrebbe risultare banale e già visto, diventa con Piccioni una poesia mai scritta e di conseguenza mai ascoltata. La scuola è uno dei momenti fondamentali della nostra vita, ancor prima che istituzione. Le regole spesso sono quelle che infrangi, un programma non rispettato e lezioni improntate su ciò che appassiona ragazzi e insegnanti. Per trovare uno scopo è necessario provare lo spaesamento dell'oblio. Quello che ci separa dall'arte, da tutto ciò che non conosciamo.

"Cerchiamo regole, forme, canoni, ma non cogliamo mai il reale funzionamento del mondo. La vera forma di tutto ciò che è fuori di noi, come di tutto ciò che è dentro di noi, è per gli uomini un eterno mistero. L'incapacità di risolvere questo mistero ci terrorizza, ci costringe ad oscillare tra la ricerca di un'armonia impossibile e l'abbandono al caos. Ma, quando ci accorgiamo del divario che c'è tra noi e il mondo, tra noi e noi, tra noi e dio, allora scopriamo che possiamo ancora provare stupore, che possiamo gettare uno sguardo intorno a noi, come se fossimo davvero capaci di vedere per la prima volta".
Sono le parole del professor Fiorito/Herlitzka.


Non è il programma che conta, ma ciò che si prova nel passaggio che ci porta da dentro a fuori. Come quando tenevamo in mano quella matita più spessa delle altre, passandola tra le dita e poi sulle labbra o sulla punta del naso. 
Quella che all'inizio era rossa, e poi diventava blu.


Commenti

  1. Lo vedo come "La Scuola" del 1995, ma rivolto a questi tempi moderni....

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  2. Marco ma lo sai che devo ancora vederlo? Di Luchetti vero? Lo farò presto però. ;-)

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