Un film di cui si potrebbe quasi dire che, "vale la pena vederlo, o
meglio ascoltarlo", e non ci vuole molto ad afferrare il senso di questa
premessa se solo ci limitiamo a pronunciare un nome: Danny Elfman.
Non parliamo certo di
uno di quei film che lascia col fiato sospeso o sorprende lo spettatore con
qualche trovata da esemplare thriller psicologico. Eppure qualcosa Haggis in
questi 122' ( remake del francese Pour elle
(2007) di Fred Cavayé) ci mette, a partire da un soggetto che sembrerebbe a primo
impatto quasi "paradossale" e a tratti ridicolo. A primo impatto
però, perché nel suo compiersi poi il film tenta la sua salvezza e in linea
generale io direi che ci riesce.
La storia è fondamentalmente quella di un uomo che per la donna che ama è disposto a tutto, anche se questo tutto significa infrangere l' equilibrio di una vita vissuta fino ad' ora all' insegna delle regole e della tranquillità. Un uomo infatti fin troppo tranquillo, "normale", quale era il John Brennan professore di letteratura e padre di famiglia, diventa l' artefice di un piano praticamente perfetto in grado di far evadere la moglie dal carcere della contea di Pittsburgh. Un inno alla fiducia e all' amore coniugale se consideriamo il fatto che John mai ha dubitato dell' innocenza della moglie, accusata del' omicidio del suo capo e condannata al carcere a vita.
L' esistenza di John inizia a vacillare, soprattutto la speranza che egli riservava per un eventuale rinvio d' appello che poi non ci sarà, e che porterà il protagonista a quella che diverrà invece la sua "giustizia privata".
Un' altra denuncia che scotta e che ha la sua eco nel cinema di Haggis se pensiamo ai suoi precedentiCrash- contatto fisico (2004) e Nella valle di Elah (2007) i cui temi affrontati dal regista erano rispettivamente quello delle difficoltà dei rapporti umani spazzati via dal razzismo e l' antimilitarismo con tanto di dichiarata polemica contro l' intervento di Bush nella guerra in Medio Oriente. Insomma questioni importanti che in entrambe le pellicole bene si intonano con la regia e la penna di Haggis. A proposito di "penna", non dimentichiamoci le brillanti sceneggiature da lui firmate, una su tutte Million dollar baby(2004)per Clint Eastwood come pure, per lo stesso Eastwood, Flags of our fathers (2006).
Tornando al film in questione, in America già si parla del classico "flop" che troppo promette e poco mantiene; questo The next three days dà veramente l' idea del tipico film che inizi a vedere e già ti sembra che non funzioni. Questo accade (almeno a me è successo questo) perché già pensiamo di aver anticipato le mosse dello sceneggiatore e immaginiamo che quello che accadrà di lì a poco sarà esattamente ciò che abbiamo in testa. Invece le dinamiche di Haggis non vanno a finire nelle banali o comunque scontate e prevedibili mosse dell' action movie che vede un protagonista buono e tranquillo trasformarsi nel più terribile e astuto giustiziere "fai da te".
Non una brillante sceneggiatura, questo è certo, ma colpisce, e non poco, il fatto che quest' uomo sarà aiutato dal suo incondizionato amore per la moglie, questa fiducia assoluta che egli nutre verso la donna sarà infatti la stessa che gli darà la forza e l' ingegno del perfetto stratego.Il tutto, però, ed è qui che credo Haggis abbia la meglio, condito da una equilibrata e sana "verosimiglianza" che mai stona (eccezion fatta per la particolare scena sull' autostrada, troppo alla Die hard, che io avrei sicuramente "eliminato") con la credibilità di una storia che vede come protagonista "un uomo assolutamente comune", (quasi circostanza Hitchcockiana azzarderei).
Dunque il film vacilla al' inizio per poi riprendersi a ritmi sempre più convincenti verso la fine.
Abbiamo sullo schermo infatti un uomo che porta avanti il suo piano senza mai aver avuto conferma dell' innocenza della moglie, nonostante questo neanche una volta egli si è chiesto se lo fosse o meno. Apprezzabile più che mai l' idea del regista di rivelare soltanto verso la conclusione del film la "vera" dinamica dell' omicidio che ha portato Lara Brennan in prigione.
La fiducia incondizionata e assoluta rimane dunque la protagonista di quest' ultimo film di Haggis che secondo me, come ho anticipato nella premessa, vale comunque la pena vedere. Non solo per l' infallibilità di un attore che difficilmente delude come Russel Crowe perché sarebbe riduttivo e banale limitarsi a questo sottovalutando invece quella che è in conclusione la chiave di interpretazione del film: la colonna musica. Ciò che in certi casi è fin troppo una garanzia, un nome, un semplice nome: Danny Elfman.
Io concluderei dicendo a coloro che ancora non hanno visto il film e hanno intenzione di farlo: sedetevi sulla vostra poltrona "preferita" e una volta lì, come la sala si fa scura, provate a chiudere gli occhi e a seguire il film più con lo spirito da ascoltatore che da spettatore...qualcosa, fin dai titoli di testa, io già sò vi catturerà...
La storia è fondamentalmente quella di un uomo che per la donna che ama è disposto a tutto, anche se questo tutto significa infrangere l' equilibrio di una vita vissuta fino ad' ora all' insegna delle regole e della tranquillità. Un uomo infatti fin troppo tranquillo, "normale", quale era il John Brennan professore di letteratura e padre di famiglia, diventa l' artefice di un piano praticamente perfetto in grado di far evadere la moglie dal carcere della contea di Pittsburgh. Un inno alla fiducia e all' amore coniugale se consideriamo il fatto che John mai ha dubitato dell' innocenza della moglie, accusata del' omicidio del suo capo e condannata al carcere a vita.
L' esistenza di John inizia a vacillare, soprattutto la speranza che egli riservava per un eventuale rinvio d' appello che poi non ci sarà, e che porterà il protagonista a quella che diverrà invece la sua "giustizia privata".
Un' altra denuncia che scotta e che ha la sua eco nel cinema di Haggis se pensiamo ai suoi precedentiCrash- contatto fisico (2004) e Nella valle di Elah (2007) i cui temi affrontati dal regista erano rispettivamente quello delle difficoltà dei rapporti umani spazzati via dal razzismo e l' antimilitarismo con tanto di dichiarata polemica contro l' intervento di Bush nella guerra in Medio Oriente. Insomma questioni importanti che in entrambe le pellicole bene si intonano con la regia e la penna di Haggis. A proposito di "penna", non dimentichiamoci le brillanti sceneggiature da lui firmate, una su tutte Million dollar baby(2004)per Clint Eastwood come pure, per lo stesso Eastwood, Flags of our fathers (2006).
Tornando al film in questione, in America già si parla del classico "flop" che troppo promette e poco mantiene; questo The next three days dà veramente l' idea del tipico film che inizi a vedere e già ti sembra che non funzioni. Questo accade (almeno a me è successo questo) perché già pensiamo di aver anticipato le mosse dello sceneggiatore e immaginiamo che quello che accadrà di lì a poco sarà esattamente ciò che abbiamo in testa. Invece le dinamiche di Haggis non vanno a finire nelle banali o comunque scontate e prevedibili mosse dell' action movie che vede un protagonista buono e tranquillo trasformarsi nel più terribile e astuto giustiziere "fai da te".
Non una brillante sceneggiatura, questo è certo, ma colpisce, e non poco, il fatto che quest' uomo sarà aiutato dal suo incondizionato amore per la moglie, questa fiducia assoluta che egli nutre verso la donna sarà infatti la stessa che gli darà la forza e l' ingegno del perfetto stratego.Il tutto, però, ed è qui che credo Haggis abbia la meglio, condito da una equilibrata e sana "verosimiglianza" che mai stona (eccezion fatta per la particolare scena sull' autostrada, troppo alla Die hard, che io avrei sicuramente "eliminato") con la credibilità di una storia che vede come protagonista "un uomo assolutamente comune", (quasi circostanza Hitchcockiana azzarderei).
Dunque il film vacilla al' inizio per poi riprendersi a ritmi sempre più convincenti verso la fine.
Abbiamo sullo schermo infatti un uomo che porta avanti il suo piano senza mai aver avuto conferma dell' innocenza della moglie, nonostante questo neanche una volta egli si è chiesto se lo fosse o meno. Apprezzabile più che mai l' idea del regista di rivelare soltanto verso la conclusione del film la "vera" dinamica dell' omicidio che ha portato Lara Brennan in prigione.
La fiducia incondizionata e assoluta rimane dunque la protagonista di quest' ultimo film di Haggis che secondo me, come ho anticipato nella premessa, vale comunque la pena vedere. Non solo per l' infallibilità di un attore che difficilmente delude come Russel Crowe perché sarebbe riduttivo e banale limitarsi a questo sottovalutando invece quella che è in conclusione la chiave di interpretazione del film: la colonna musica. Ciò che in certi casi è fin troppo una garanzia, un nome, un semplice nome: Danny Elfman.
Io concluderei dicendo a coloro che ancora non hanno visto il film e hanno intenzione di farlo: sedetevi sulla vostra poltrona "preferita" e una volta lì, come la sala si fa scura, provate a chiudere gli occhi e a seguire il film più con lo spirito da ascoltatore che da spettatore...qualcosa, fin dai titoli di testa, io già sò vi catturerà...
Di Valentina Orsini
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