Passa ai contenuti principali

Sei proprio un tetragono!



Dopo aver discusso di meritocrazia, torna la nuova rubrica di CriticissimaMente, "La parola di oggi è".

Per questa seconda puntata ho pensato di dare spazio a un vocabolo scoperto da pochissimo tempo, utilizzato al fine di soddisfare svariati scopi, siano essi letterari, geometrici o botanici. Ma io trovo questo termine assai versatile, di quelli che stanno bene un po' dappertutto.

tetràgono agg. e s. m. [dal gr. τετράγωνος, comp. di τετρα- «tetra-» e -γωνος «-gono»]. – 

1. In geometria, sinon. raro di quadrangolo e, in passato, anche di parallelepipedo rettangolo e di cubo. 

2. In botanica (solo come agg.), di fusto o di altro organo allungato che presenta quattro spigoli, come nelle labiate. 

3. fig. Fermo, costante, resistente a ogni urto e contrarietà; irremovibile: è un uomo t.; ha un carattere t.; si dichiarava t. a ogni tentativo di corruzione; era un’idea fissa, radicata, t. a qualunque esperienza (Soldati); questo sign. deriva dai noti versi di Dante avvegna ch’io mi senta Ben tetragono ai colpi di ventura (Par. XVII, 23-24), e il concetto della stabilità, della fermezza viene alla parola dall’accezione, che ebbe anticam., di «cubo, figura cubica».

«mentre ch’io era a Virgilio congiunto 
su per lo monte che l’anime cura 
e discendendo nel mondo defunto, 
 dette mi fuor di mia vita futura 
parole gravi, avvegna ch’io mi senta 
ben tetragono ai colpi di ventura» 
(Par. XVII, vv. 19-24) 

Tetragono è anche il tetrágonos  dell'Etica Nicomachea di Aristotele. Se guardiamo la derivazione letterale, traducendo dal greco, è semplice: tetra/quattro e gonos/angolo. Trattasi di figura piana con quattro angoli. 

Ma in botanica tutto prende forme assai più curiose. "Che ha quattro spigoli". E per come la vedo io, avere quattro spigoli, non è proprio il massimo...

Quindi io propongo di metter da parte per un attimo l'accezione piuttosto carina di tetragono, come un tipo solido, fermo sulle proprie idee (anche se, per come la vedo io, più sei fermo meno ti muovi!), inviolabile  e incorruttibile. Pensiamo invece a quanto potrebbe tornarci utile questa parola...


Prima considerazione: quando "spari" paroloni la gente già di suo si sente messa all'angolo. E' in difficoltà, non sa come reagire.
Seconda considerazione: io ho un debole per il suono delle parole. E mi affascina il loro potere semantico, soprattutto se rafforzato da quello fonetico.

Dunque immaginate di dover concludere una conversazione per nulla simpatica, anzi, una palla al piede come poche altre. E se il tipo o la tipa che avete di fronte proprio non vi va a genio, e se volete liquidarlo/a nel migliore dei modi, senza però macchiare la vostra classe, io propongo uno stucchevole e inaspettato: "Sei proprio un tetragono!".

Vorrei vedere la sua faccia in quel momento. Già me la immagino. 
Anzi, facciamo così. Chiunque sperimenti il "tetragono", deve come minimo tornare qui, e raccontarmi il fatto.
Promesso?
Non siate tetragoni, suvvìa.



Commenti

  1. Il mondo è pieno così di tetragoni, sfortunatamente...

    RispondiElimina
  2. Vero Baol...è di quei tetragoni lì che parlo io infatti! ;-)

    RispondiElimina
  3. Articolo geniale Valentina! E poi le citazioni tra Dante e Aristotele...è meraviglioso! Io ho un debole per queste cose da vecchio classicista quale sono!

    RispondiElimina
  4. Ahah, grazie caro Peppe! Sei un classicista straordinario... ^_^

    RispondiElimina
  5. Sottolineo: io ho un debole per il suono delle parole. E mi affascina il loro potere semantico, soprattutto se rafforzato da quello fonetico

    Ribatto con tetrade! La mia preferita ;)

    RispondiElimina
  6. Letizia beh Tetrade "suona" davvero bene! =)

    RispondiElimina
  7. Marco eh, il mondo ne è pieno. Spetta a noi individuarli e gridarglielo in faccia: Tetragono!!! =D

    RispondiElimina

Posta un commento

Post popolari in questo blog

Quel mostro di me

Certi giorni mi vanno stretti, ci sto dentro a metà. Altri mi sembrano grandi come l'oceano. Sguazzo, mi perdo, sto serena. Scrivere Madrepàtria - Racconti dell'umana sorte ha significato molto per me.  Fin dal principio ho capito che quello, era il mio modo di esorcizzare i mostri più radicati nell'anima. Forse scrivere è davvero un atto terapeutico ancor prima che creativo. Ma certi mostri non li puoi cacciare via definitivamente, devi imparare a conviverci.  Questi racconti hanno avuto la forza di tenerli lontano da me, quei mostri, almeno per un po'. Di guardarli con scherno, prima da dentro e poi a distanza di sicurezza. Ma quali sono davvero questi mostri? Cos'è che sto allontanando? Ho paura che si tratti di me.  Di un ruolo sbagliato (così dicono), che ho rincorso a fatica, che poi ho cambiato, che poi ho abbandonato. Mi adatto continuamente, e continuamente non mi ritrovo. Scrivo, metto da parte, allontano i mostri, allont...

Dylan Dog, il film. Ogni cinefilo ha il suo incubo.

Licantropi e vampiri , direi che ne abbiamo fin sopra ai capelli di queste trovate alla Meyer , almeno nel mio caso, il primo pensiero finisce inesorabilmente lì. Non so quanto e come poi, questo abbia influenzato il mio giudizio. Solamente posso dire che, quando decisi di vedere Dylan Dog, il film , non immaginavo (al di là delle comuni perplessità) che avrei avuto a che fare con quello che, a tutt'oggi, io considero: il peggior film della mia vita!!! Abbandoniamo il rimando al film di Giovannesi , che qui a confronto è una boccata d'ossigeno per ogni cinefilo, e torniamo al film di Kevin Munroe . Il regista canadese aveva esordito nel 2007 con TMNT  (Teenage Mutant Ninja Turtles), dopo aver scritto e coprodotto nel 2001, un altro film d'animazione del regista Tony Shutterheim , Donner . Non è chiaro, tuttavia, quale malsano meccanismo sia scattato nella mente di Munroe quando, nel 2010, decise di portare sullo schermo la storia di un personaggio tanto popola...

Joker, La verità è che ci finiamo tutti.

Credo che il cinema a volte diventi davvero uno stato d'animo che non puoi descrivere.  Come la musica un rumore che non sai cos'è, né da dove provenga, eppure lo ascolti, ti piace, perché ti seduce e ti uccide, e ti salva. Il Joker di Joaquin Phoenix è esattamente questo, una lacrima che scende insieme al trucco, davanti allo specchio. Una risata disperata, che copre il dolore, il male di vivere. La paura di essere derisi, umiliati, e da lì l'esigenza di costruire una grande  menzogna, dove rifugiarsi, accettarsi oppure non farlo mai. Chi lo sa se poi è una scelta, oppure è solo una malattia. "Come ci si finisce qui?" Ci finiscono gli svitati, chi non sa cosa vuole, chi non sa se essere felici o tristi. La verità è che ci finiamo tutti. Perché nessuno sa cosa vuole realmente, e chi lo sa, è destinato ad assaporare il fallimento. Joker è solo l'ennesima vittima del gioco dei ruoli che è la vita. La follia il prezzo da p...