Passa ai contenuti principali

Before Midnight - Prima della fugacità




Alcuni film funzionano solo se visti sotto la luce della loro palese finzionalità. L'assurdo eppure così ovvio non collimare con la realtà, la consapevole abitudine che tutti abbiamo, o almeno dovremmo, a tracciare un confine tra la nostra vita e lo schermo. 

Quando vedo film come Before Midnight, torno a rifletterci, mi ci spremo fino a non poterne più. E il risultato è evidente e netto, come il rumore dei tasti in questo momento violentati dalle mie dita. Mi fanno incazzare quei film che si spacciano per realistici, drammi veri - ma veri cosa? 
Al di là della trilogia che può riuscire o meno, soprattutto in funzione di un genere a metà tra il dramma e il romance dal sapore teatrale, ma lo sfarzo e l'abbellimento di una sceneggiatura (che lo è, è brillante, piena di ironia, di sofferenza, di sentimenti a un passo dal baratro), non fanno la vita vera. Non sarà mai così, almeno così non sarà, finché più nessuna donna affidi il proprio futuro all'idea di una vita da concepire in un "noi". In una cosa sola, nella fugacità dei ricordi che proiettano il volto del compianto marito morto dopo settant'anni di matrimonio, che svanisce dietro le nuvole, come il tramonto, come l'alba. 
Ma di cosa parliamo? 

La fugacità nell'arte non esiste, tutto rimane in eterno. 
Nella vita vera invece ogni cosa è condannata alla fugacità.

L'uomo non può credere ancora nell'ideale della donna remissiva e che scassa i coglioni per la storia del trauma post parto, e non può sentirsi infelice e martire a causa delle sue fisiologiche/antropologiche inettitudini. E la donna, noi donne, dobbiamo smetterla di credere che prima o poi arrivi l'uomo dal futuro, che ha la macchina del tempo in camera sua, e che ci ascolti come fosse il suo unico scopo, e che ci capisca, come fosse venuto al mondo per non fare altro. No, no non è così e non lo sarà mai. 
(La passeggiata più lunga con un uomo, che sappiamo ricordare, è quella che va dal nostro portone alla sua macchina, o lato est - lato ovest del centro commerciale e non si parlava, piuttosto si aggiornavano status su facebook).
La finzione cinematografica è affascinante e allo stesso tempo dannosa. Quegli scambi tanto seducenti e pieni di vita e quella voglia di capirsi a vicenda, nella realtà spariscono. 
La realtà e l'arte sono per natura incompatibili. 
Il silenzio e la pigrizia, nella vita reale, invadono lo schermo.
E quasi sempre, quando si viene colti da un' improvvisa forza e voglia di fare, di correre verso l'altro/a, è troppo tardi.

-Fine.

Commenti

  1. Secondo me, invece, sono estremamente compatibili. E quando lo sono, è sempre più intenso ed interessante rispetto a quando non lo sono.

    RispondiElimina
  2. Che siano più interessanti quando coincidono non lo metto in dubbio, è che mi mancano le prove Ford. ;-)

    RispondiElimina
  3. Concordo con Ford, realtà e arte a mio avviso possono essere compatibili.. forse nella trilogia di Linklater come dicevo anche prima su FB non lo sono, vedo il tutto più come "un concentrato" di quello che c'è di potenziale e possibile in un rapporto d'amore messo in scena in modo teatrale, ma proprio per questo i dialoghi sono così brillanti, affascinanti e drammatici.. arte e realtà possono essere compatibili e coincidere ma non sempre nel cinema e nell'arte io cerco la realtà quanto, piuttosto, una trasposizione artistica che prenda la realtà e la plasmi, trasfigurandola in qualcos'altro, in grado di coinvolgermi più di quanto la rappresentazione puramente realistica riuscirebbe a fare (e che magari mi faccia sognare, riflettere, piangere, etc)
    :-)

    RispondiElimina
  4. L'arte ruba dalla vita per costruirci un film, e la vita a volte prende svolte drammatiche e surreali come un film... ;-)

    RispondiElimina
  5. Elisa io alterno il desiderio di verosimiglianza a quello di uno stravolgimento totale della realtà. Non so come spiegarti, so solo che in questo caso specifico, mi ha fatto male.
    =)

    RispondiElimina
  6. Vero Ale, si ispirano a vicenda. Solo che a volte è un disastro. Anche per le sole illusioni che ti dà il cinema, quando spiffera a tutti di aver parlato prima a quattrocchi con la vita. ;-)

    RispondiElimina

Posta un commento

Post popolari in questo blog

Quel mostro di me

Certi giorni mi vanno stretti, ci sto dentro a metà. Altri mi sembrano grandi come l'oceano. Sguazzo, mi perdo, sto serena. Scrivere Madrepàtria - Racconti dell'umana sorte ha significato molto per me.  Fin dal principio ho capito che quello, era il mio modo di esorcizzare i mostri più radicati nell'anima. Forse scrivere è davvero un atto terapeutico ancor prima che creativo. Ma certi mostri non li puoi cacciare via definitivamente, devi imparare a conviverci.  Questi racconti hanno avuto la forza di tenerli lontano da me, quei mostri, almeno per un po'. Di guardarli con scherno, prima da dentro e poi a distanza di sicurezza. Ma quali sono davvero questi mostri? Cos'è che sto allontanando? Ho paura che si tratti di me.  Di un ruolo sbagliato (così dicono), che ho rincorso a fatica, che poi ho cambiato, che poi ho abbandonato. Mi adatto continuamente, e continuamente non mi ritrovo. Scrivo, metto da parte, allontano i mostri, allont...

Dylan Dog, il film. Ogni cinefilo ha il suo incubo.

Licantropi e vampiri , direi che ne abbiamo fin sopra ai capelli di queste trovate alla Meyer , almeno nel mio caso, il primo pensiero finisce inesorabilmente lì. Non so quanto e come poi, questo abbia influenzato il mio giudizio. Solamente posso dire che, quando decisi di vedere Dylan Dog, il film , non immaginavo (al di là delle comuni perplessità) che avrei avuto a che fare con quello che, a tutt'oggi, io considero: il peggior film della mia vita!!! Abbandoniamo il rimando al film di Giovannesi , che qui a confronto è una boccata d'ossigeno per ogni cinefilo, e torniamo al film di Kevin Munroe . Il regista canadese aveva esordito nel 2007 con TMNT  (Teenage Mutant Ninja Turtles), dopo aver scritto e coprodotto nel 2001, un altro film d'animazione del regista Tony Shutterheim , Donner . Non è chiaro, tuttavia, quale malsano meccanismo sia scattato nella mente di Munroe quando, nel 2010, decise di portare sullo schermo la storia di un personaggio tanto popola...

Joker, La verità è che ci finiamo tutti.

Credo che il cinema a volte diventi davvero uno stato d'animo che non puoi descrivere.  Come la musica un rumore che non sai cos'è, né da dove provenga, eppure lo ascolti, ti piace, perché ti seduce e ti uccide, e ti salva. Il Joker di Joaquin Phoenix è esattamente questo, una lacrima che scende insieme al trucco, davanti allo specchio. Una risata disperata, che copre il dolore, il male di vivere. La paura di essere derisi, umiliati, e da lì l'esigenza di costruire una grande  menzogna, dove rifugiarsi, accettarsi oppure non farlo mai. Chi lo sa se poi è una scelta, oppure è solo una malattia. "Come ci si finisce qui?" Ci finiscono gli svitati, chi non sa cosa vuole, chi non sa se essere felici o tristi. La verità è che ci finiamo tutti. Perché nessuno sa cosa vuole realmente, e chi lo sa, è destinato ad assaporare il fallimento. Joker è solo l'ennesima vittima del gioco dei ruoli che è la vita. La follia il prezzo da p...