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"In quel di Roma", per il Festival del Cinema. (Parte 2)


Prosegue il mio resoconto dal Festival del Film di Roma e torno oggi a parlarvi dei vari titoli in concorso (e non), che nello specifico hanno animato la mattinata di sabato 10 novembre.
Devo ammettere che seguire tutti questi film richiede un'energia e una preparazione fisica non indifferente. Correre da una sala all'altra pur di arrivare puntuale senza perdere nemmeno mezzo fotogramma ha dell'incredibile, altro che la Maratona di Roma...
P.S. Una maratona che mi farebbe correre anche per tutta la vita.


Mental | Fuori Concorso
Australia 113'
Di P.J. Hogan

Chi conosce Hogan può immaginare cosa si celi dietro Mental, già al solo guardare quest'immagine, credo io. Il regista de Il matrimonio del mio migliore amico riesce a tratteggiare attraverso le sue commedie tutte quelle irresistibili, divertenti ma anche drammatiche, sfumature della psicologia umana, o meglio, "femminile".  Dall'amore/ripicca di una giovane ma già affermata Julia Roberts che non accetta le nozze dell'uomo che l'ha amata per una vita, si passa oggi a una situazione più complessa, a turbe mentali più elaborate, e se vogliamo, più ben radicate nell'animo delle protagoniste disegnate da Hogan. Inizierei fin da subito a parlare al femminile...(perché?)

Le cinque sorelle Moochmore sono convinte di essere pazze. Questa loro pseudopazzia le porterà ad essere derise e umiliate dalle vicine di casa e da qualsiasi altra donna australiana che abbia sentito almeno una volta parlare di loro e delle grottesche abitudini familiari, (fin troppo) sotto gli occhi di tutti. Forse nessuna di queste donne ha mai pensato che alla base delle loro esilaranti stranezze potesse esserci un "responsabile", un vuoto, lasciato ogni sera su quella sedia a capo del tavolo. Barry, il (non)padre che dimentica perfino i nomi delle figlie, fa rinchiudere Shirley in un ospedale psichiatrico e per tenere a bada le ragazze si affida a una "insolita" baby sitter, Shaz. La potenza che questo personaggio sprigiona sullo schermo, reso alla perfezione da una sempre splendida Toni Collette, è devastante. Non c'è parola detta da questa donna in tutto il film che non scateni nello spettatore risate, attimi di riflessione e commozione. Una figlia dei fiori trapiantata ai giorni nostri che se ne va in giro a fare l'autostop con il fidato compagno a quattro zampe il cui nome la dice già lunga: Squartatore. Strampalata, ma coraggiosa. Soprattutto l'unica in grado di poter aiutare realmente le Moochmore, la ragazzina che vede gli alieni, quella convinta di essere autistica o la sociopatica che ha tentato di uccidersi a 13 anni. Shaz, con i suoi metodi anticonformisti, si batterà per vincere una volta per tutte la guerra contro i pregiudizi e contro un mondo convinto di avere sul comodino il manuale universale della vita, quello che in definitiva spiega ciò che è sano e ciò che invece è "malato". Lo stesso che però è affetto dai peggiori tic e fobie, quelle che portano gli individui omologati a credere che se canti in giardino mentre stendi il bucato, sei solo una povera svitata...
Il film che più ho gradito in questo Festival di Roma, da non perdere assolutamente. 
Un (quasi)musical spassoso, che fa riflettere e sorridere, con quella lacrimuccia pronta a scivolar via, proprio quando meno te lo aspetti.


Alì ha gli occhi azzurri | Concorso
Italia 94'
Di Claudio Giovannesi




Parliamo del primo dei due film italiani in gara visti al Festival. Giovannesi torna sul red carpet romano dopo aver presentato nel 2009 il film documentario Fratelli d'Italia, nella sezione L'altro cinema. La cosa che più mi  interessa dire è che in quel docufilm Giovannesi ci aveva raccontato senza filtri la realtà dei giovani stranieri che cercano di "integrarsi" nel nostro paese. Tra questi, ritroviamo il giovane Nader, ragazzino egiziano che pur di salvaguardare l'amore per la fidanzata italiana non fa che discutere con i propri genitori. Così come "ieri" in Fratelli d'Italia, anche "oggi" a far da sfondo c'è il litorale romano e un Nader più grande con i soliti problemi legati a una religione che non vuole accettare. L'occhio del regista/osservatore segue la vita di Nader e prova a raccontare ancora una volta la borgata romana, tra i banchi di scuola, tra i pomeriggi in discoteca e sulle panchine dei giardinetti che si improvvisano letti nelle notti più fredde. La macchina da presa si posa più di una volta sugli occhi di Nader, un giovane ingenuo ma al contempo ribelle che maschera con delle lenti il suo castano per un azzurro che fa sicuramente più "occidentale", più italiano. Tutto porta a credere che Nader abbia davvero la forza per cambiare qualcosa, di opporsi a quei fastidiosi paletti piantati da una religione che proprio non comprende. Tutto, o quasi. Almeno fino a quando il suo migliore amico Stefano non mette gli occhi su Laura, sorella più piccola di Nader. Scatta qualcosa, forse quel poco che bastava a mettere di nuovo tutto in discussione nella vita di un così giovane uomo alle prese con la propria identità culturale e sociale. Riesce nel suo essere il film di Giovannesi, proprio perché nel corso del suo Alì ha gli occhi azzurri esplode lentamente questa indecisa collocazione di Nader, uno che non vuole affatto essere un "Arabo"(come lo chiama scherzando l'amico), ma non controlla la ragione al solo pensiero che questi abbia potuto sfiorare la sorella più piccola. La naturalezza dei giovani attori (non attori),  e questi occhioni azzurri che ad un tratto "si staccano" dal volto di Nader per fare spazio alla fragilità, alle incertezze e alle lotte interiori che probabilmente tormenteranno senza sosta un ragazzino che fa di "tutto" pur di sentirsi "parte di", mi portano a credere che il film di Giovannesi sia un valido titolo da tenere in considerazione non solo nel contesto festivaliero, ma in quello ben più ampio del cinema italiano.


Pensando a Pier Paolo Pasolini
Profezia, da Alì dagli occhi azzurri. 1964.

Alì dagli Occhi Azzurri  
uno dei tanti figli di figli,  
scenderà da Algeri, su navi  
a vela e a remi. Saranno  
con lui migliaia di uomini  
coi corpicini e gli occhi  
di poveri cani dei padri 
sulle barche varate nei Regni della Fame. 
Porteranno con sé i bambini,  
e il pane e il formaggio, nelle carte gialle del Lunedì di Pasqua.  
Porteranno le nonne e gli asini, sulle triremi rubate ai porti coloniali. 
Sbarcheranno a Crotone o a Palmi,  
a milioni, vestiti di stracci  
asiatici, e di camicie americane.  
Subito i Calabresi diranno,  
come da malandrini a malandrini: 
«Ecco i vecchi fratelli,  
coi figli e il pane e formaggio!» 


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