domenica 15 novembre 2015

Donato Carrisi - La donna dei fiori di carta

 
 
"Quando la nave è salpata solo un matto può continuare ad insistere. Ma la verità è che io sono sempre stato un matto!"
 
E questo era Edward Bloom, nella meravigliosa versione cinematografica firmata Tim Burton, ispirata all'omonimo romanzo di Daniel Wallace.
Perché Big Fish?
Per la nave, per il matto che insiste, e perché io ci credo davvero, che a dare sapore alle cose siano le storie.
Conosco Donato Carrisi nella sua veste insolita, e scopro un narratore in grado di prendere la storia e farne un dato di fatto, credibile e imprescindibile. Come la guerra e il Monte Fumo, gli italiani e i tedeschi e le trincee. Ma Carrisi è anche quello che, una volta chiuso il libro, ti porta a inseguire mete orientali alla ricerca di una montagna che canta.
Così è, se non ci credete allora leggete La donna dei fiori di carta, e poi ne riparliamo.
Ah, mi raccomando. Se avete intenzione di smettere di fumare magari meglio di no, fidatevi di me. Datevi giusto il tempo di riuscirci e, quando avrete superato la prova, ricordatevi di questo romanzo.
 
Pare che Carrisi abbia deciso di scrivere La donna dei fiori di carta, per dimostrare di essere in grado di spogliarsi dei panni dell'autore "un sacco giallo, un sacco thriller". E che siano benedette le provocazioni! Dico io. Perché questo libro è una pietra pregiata, lavorata da mani impeccabili e di velluto. Con fare che è tipico del vero narratore, il racconta storie, Carrisi si muove di pagina in pagina come una Circe ammaliante, alla quale non puoi sfuggire. Il lettore infatti si perde nel fumo che sa di tutto ciò che il protagonista sfiora, e lo rende credibile. Sapore di donna, sapore di rimpianti e solitudini. Di continua ricerca e poi l'attesa.
 
Tutto ruota attorno all'attesa, almeno per come ho letto io questa storia. Il dottore austriaco non cura i soldati. La guerra non gli dà nemmeno più quella possibilità. Jacob Roumann è lì che aspetta il loro ultimo respiro, e per non dimenticare quelle vite spezzate, annota su un'agendina quelle ultime parole appena sussurrate. Aspetta.
Il prigioniero italiano deve tirar fuori un nome, il suo. O verrà fucilato dal nemico. E il nemico, ironia della sorte, è l'ultimo uomo con il quale ha condiviso l'epilogo della sua vita.
 
Questo romanzo breve vive nell'attesa e, per mezzo di essa, compie le sue gesta. Sono le storie nella storia a dare poesia e una, anche una soltanto, possibilità di "vero", alla vita di Guzman, personaggio misterioso che sembra esistere come l'Agilulfo di Calvino, che esisteva eppure non c'era. Ma la volontà di essere a volte supera tutte le ostilità, persino la guerra, un amore impossibile, un nome sconosciuto e uno strumento che deve per forza improvvisare una musica nuova. 
Oltre le sette note che tutti conoscono, oltre la storia che si impara a scuola.
Le storie migliori sfruttano il dubbio che attanaglia l'ascoltatore. "Sarà tutto vero? Guzman è esistito sul serio? E quell'uomo che fumava sul Titanic poi..."
 
Non c'è una risposta. Ce ne sono infinite altre.
Fiori di carta e fumo avvolgono la fantasia del lettore, trascinandola nella ricerca - sfiancante e romantica, nonché surreale - della verità. Con essa prende vita un ballo proibito e, più letterariamente parlando, un noir dal sapore di fumo che si consuma nell'attesa. Il talento dell'autore poi, è sorprendente.
Gli scrittori sono i nostri ultimi aedi. E poi la verità non fa per noi.
 
Le storie... preferiamo di gran lunga le storie!

lunedì 9 novembre 2015

Due righe scolorite e un tulipano

 
 
 
I libri hanno quella dote innata di smistare storie. Le portano con sé, perché non potrebbero fare altrimenti. Chi le incontra non può certo sottrarsi a questo scambio di anime e sangue, perché anche quello si scalda o si gela.
 
Al mercatino dell'usato ho preso questo libro, La donna dei fiori di carta. A pagina 82 ho trovato una lettera sigillata. Sarà una trovata editoriale?
Me lo chiedo, mica sarebbe surreale.
Però non credo...
Presa dalla curiosità la apro.
Mi sento un po' ladra, in fondo non sono io la destinataria, ma chi sarà? E chi può dirlo, ormai?
Apro, e una trama a fiori semplice in fondo alla lettera già tocca il mio cuore morbido.
Due righe scolorite e un tulipano.

"Cara mamma, sappi che ti voglio bene".
 
 Ripongo la lettera nella busta e la metto esattamente dov'era. A pagina 82.
Quanta tristezza in quella dichiarazione d'amore mai arrivata, penso.
Per rimediare mi fingo la mamma di quel bambino, e lo ringrazio con tutto il cuore.
Poi guardo i miei figli, e vorrei che nessuna busta restasse chiusa tra me e loro.
 

domenica 8 novembre 2015

Dietro la scena del crimine - Morti ammazzati per fiction e per davvero

 
 
"Si fa presto ad ammazzare un personaggio", dice Cristina Brondoni, giornalista, criminologa e dipendente seriale. Be', ha anche un debole sfacciato per Kiefer Sutherland, ma questa è un'altra storia... Diciamo che Cristina è soprattutto l'autrice di questo piccolo gioiello dal colore giallo. Una guida pratica, può sembrare folle (e un po' lo è!), su come rendere credibile un povero morto ammazzato - per fiction, sia chiaro - e su come evitare le solite sviste.
 
Dietro la scena del crimine - Morti ammazzati per fiction e per davvero, edito da Las Vegas Edizioni, analizza la fiction con sguardo esperto, appassionato, e offre al lettore spunti di scienze forensi senza cadere nella noia di un discorso troppo tecnico o esoterico. Voglio dire, il rischio di risultare pesanti, quando si parla di robe come tanatologia, algor mortis, rigor mortis e livor mortis (c'entra Harry Potter? Ehm... NO!) è dietro l'angolo. Ma l'autrice si muove con una tale dimestichezza e ironia, da far sembrare tutto incredibilmente "normale". Certo, io non ho in cucina il manuale "Veleni ed avvelenamenti" di un tale Ferraris, ma non nego di subire un certo fascino quando si parla di scena del crimine, prove, indagini, detective andati a male e quant'altro. Ovviamente parliamo sempre di fiction, nella realtà tutto questo fa veramente schifo!
 
Ciò che rende Dietro la scena del crimine, un testo sfizioso e intelligente, nonché di natura ossimorica (visti i contenuti e il mio entusiasmo), è la sua semplicità nell'esporre i modi e i tempi della morte. Comincia con il mettere il lettore a suo agio (dopo averlo un po' tramortito), perché lo interroga.
"Senza morte, del resto, che vita sarebbe?"
(Intendevo questo per tramortito).
Ecco, qui avviene il miracolo. E avviene solo a pagina 12. L'autrice ha già tutta la mia fiducia. Io pendo dalle sue labbra, io le credo. Desidero leggere Simone de Beauvoir, Tutti gli uomini sono mortali, manco fosse un inedito di Virginia Woolf...
Ma questo è il primo sintomo di un libro autentico e affilato, che fa della morte e della fiction, una passione insana sì, ma necessaria.
 
Così come diventa necessario questo testo, se vuoi scrivere un thriller e vuoi che signora morte la faccia da protagonista. Se vuoi che il tuo detective sia impeccabile, andato a male sì, ma almeno credibile. Che non si fuma sulla scena del crimine, lo devi sapere... le statistiche sono importanti, la macchina che guida il tuo protagonista pure. James Bond insegna. La scelta del dove si compie il delitto, il movente. Se c'è l'arsenico di mezzo devi aver letto, come minimo, il manuale che io non ho in cucina (vedi sopra) e pure quel capolavoro di Flaubert, Madame Bovary. Ma una raccomandazione sopra ogni altra, te la devo fare: "Lascia stare i morti impiccati, fidati!"
 
"Il cadavere per sua natura non fa un granché. Sta lì morto (a meno che non stiate scrivendo di zombie, allora no, non sta lì morto). Il cadavere non è che sia interessante per le cose che fa. Anzi, dopo un po' inizia a diventare molesto. Alcuni da vivi sono brave persone, altri meno. Da cadaveri si diventa tutti molesti in un amen, se non c'è qualcuno pronto a infilarci in una qualche bara, cella frigorifera, forno crematorio, tubo per la criogenia".
 
Capitolo 2, Oddio! C'è un cadavere in biblioteca!

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