lunedì 26 novembre 2018

Gli autunnali, Luca Ricci





C'è qualcosa di rozzo e così terribilmente umano, una poesia che non filtra la vita ma al contrario la dice, nel romanzo di Luca Ricci, Gli autunnali.
A un certo punto non riuscivo nemmeno più a stabilire se quello che stavo leggendo mi piacesse o meno, domanda sbagliata, forse.
Stavo chiedendo a me stessa cosa realmente mi stava lasciando addosso quella storia, cosa volesse dire tutto quel tran tran metropolitano e intimo, fatto di stagioni che come in un limbo circolare poi ritornano, identiche.
Come le abitudini, come l'intimità con l'altro che si cerca ostinatamente e poi si teme. Perché in fondo è proprio così e, riflettendoci su, ho iniziato a scoperchiare la superficie più ruvida e sporca di questo libro.
Quello che ci allontana è proprio l'intimità, l'affetto. 
Quando l'amore finisce, iniziamo a sopprimere tutte le domande, i dubbi ragionevoli, i sentimenti leciti e quelli non concessi, non moralmente.
Il disamore parte da qui, dal bisogno improvviso di un "terribile amore nuovo".
Terribile perché a metà tra il corpo e lo spirito, tra la vita e la morte, tra la luce ancora calda e mai invadente dell'autunno e la fiamma oscillante di una candela che rievoca i morti.

Ho pensato che l'autore di questo romanzo fosse un tantino misogino, un po' stronzo, persino. Perché fa parlare un uomo sulla cinquantina che è molto sicuro di sé, nonostante la sua vita sia uno straziante quadro, un astratto senza geometria realizzato su commissione, per dispetto, con il solo e unico scopo di alimentare i fantasmi che dimorano dentro le viscere.
Poi però ho fatto un passo indietro, ed è più che altro un'abitudine che mi concedo da lettrice di racconti, perché lì mi arrovello meglio su certi passaggi, su certi interrogativi, che prima o poi sono costretta a sbrigare. Meglio prima che poi, è la miccia che innesca la narrativa breve. La bellezza vera.
Luca Ricci sa meglio di me, cosa voglio dire.

Il protagonista de Gli autunnali è un uomo senza nome, un uomo risucchiato dai luoghi affascinanti ma illusori della Roma borghese, contemporanea e, come suggerisce il titolo, a un passo dal tracollo definitivo che segue l'autunno.

"Ci piacevano le panchine divorate dall'umido, con le assi saltate o sbilenche, talmente trascurate che avremmo dovuto essere noi a far sedere loro. D'altronde l'autunno era una primavera tetra, una lunga agonia delle cose, compresi noi, l'esercitazione annuale (la prova generale?) in vista del trapasso".

A parlare è un uomo che sa di piacere, uno scrittore ormai privo di ispirazione, ma non di malessere (che è prerogativa assoluta di chi scrive) che si sente finalmente "incombente".
La noia e il matrimonio alla deriva portano il protagonista a innamorarsi di Jeanne Hébuterne, la compagna di Modigliani, una donna morta suicida per amore di lui. Nonostante fosse incinta del suo secondogenito, al nono mese di gravidanza.
Questo dettaglio, che da un punto di vista narrativo può sembrare, forse lo è, discutibile e trascurabile, porta tuttavia il lettore a porsi certe domande, spietate, primitive.

"Quanto siamo disposti a fare per amore?"

Be', è una domanda terribile. Provate a pensarci.
Per fortuna che "adesso" è autunno, l'unica stagione che ti permette di essere ciò che realmente sei.
E che piaccia o meno, l'uomo de Gli autunnali è semplicemente questo.
Quello che è.
Un miserabile che si accontenta di soddisfare le sue voglie con una puttana, che si innamora di una morta, e poi di un suo doppio. Ma alla fine è l'amore che lui vuole. L'amore nuovo, terribilmente, due sconosciuti che ancora non si conoscono. 
Amarsi, non innamorarsi e basta.

Un maniaco dell'autunno.
Una foglia senza più clorofilla.


giovedì 11 ottobre 2018

I film al cinema (con Cannibal Kid & Mr. James Ford)



Erano secoli che non parlavo dei film in sala, poi una mattina un vecchio amico, tale Cannibal Kid, mi fa la "proposta indecente".
Un post a tre, in cui ognuno di noi commenta i film in uscita al cinema.
Ah, il terzo è il compagno di bevute del saloon più frequentato nella blogosfera, Mr. James Ford.
Come potevo dire di no?

Ringrazio di cuore questi ragazzacci, per avermi invitata. Scrivere di cinema è sempre piacevole, farlo in buona compagnia, ancor di più!


1938 - Diversi

Valentina: 1938-2018, un anniversario di cui avremmo fatto volentieri a meno, ma la storia ci obbliga a ricordare, o meglio, ci dà questa grande opportunità, e il cinema corre sullo stesso binario sfruttando appieno il suo potenziale. Se fossi un’insegnante porterei senz’altro i ragazzi a vedere questo documentario di Giorgio Treves. Fosse solo per ammirare la grandezza di Roberto Herlitzka. Se penso alla mia prima volta al cinema con la scuola… be’. “Come te nessuno mai”, avete presente? Roba che Muccino (Silvio) era un bimbo, e aveva ancora la feppola, e okkupava le skuole. Bei ricordi, tutto sommato.

Ford: ho sempre adorato i documentari, spesso e volentieri portatori di storie e situazioni anche più "oltre" di qualsiasi pellicola. Il timore, in questo senso, è che il prodotto sia un pò troppo didascalico e scolastico, e in tal caso farò il cattivo ragazzo e salterò la lezione per andare a farmi un paio di birre e costringere poi i supersecchioni come Valentina a raccontarmi tutto per bene.

Cannibal Kid: Ho sempre odiato i documentari, ho sempre odiato la scuola, e ho sempre odiato i film che mi hanno fatto vedere a scuola. Pure quelli belli. Se fossi un insegnante credo quindi che non farei mai vedere delle pellicole ai miei studenti. Consiglierei loro di scaricarseli in rete e guardarseli a casa mentre fanno chiodo. E poi venire a scrivere qualche cacchiata su Pensieri Cannibali e fare un salto pure su WhiteRussian per massacrare l'opinione di Ford. Se infine vogliamo scoprire i veri significati del film, meglio che vadano su CriticissimaMente di quella secchiona di Valentina.



A Star Is Born

Valentina: Enniente, mi sa che stavolta mi innamoro di Bradley. Sul serio. Io che l’ho sempre detestato, almeno fino a Pat Solitano de “Il lato positivo”. Sarà quella barba a metà tra il filosofo greco e il naufrago, un po’ Cast Away, un po’ il musicista maledetto… (un po’ zingaro un po’ peones… cit.) saranno pure la bellezza e la voce di Lady Gaga…

Insomma torno al cinema dai tempi di Civil War con questo film.

Ford: ho diversi dubbi anche rispetto a questo film, nonostante Cooper mi stia simpatico dai tempi di Alias e questo suo look tendente al country rievochi un'attitude fordiana che potrebbe indispettire Cannibal. Quello che c'è da sperare, è che non sia la classica ciucciata amorosa a caccia di Oscar.

Cannibal Kid: Tra le mille uscite di questa settimana, l'unica davvero degna di nota. Da fan di Lady Gaga della prima ora, conto molto su questa sua prova senza trucco e senza inganno, in cui la popstar si trasforma in star del cinema, magari da Oscar. Punto molto su questo film, anche se temo l'esordio alla regia del fordiano Bradley Cooper, che spero non si limiti a scimmiottare lo stile classico del suo maestro Clint Eastwood, ma proponga qualcosa di più fresco e personale. Troverà la sua voce, o dovremo accontentarci di quella della Germanotta?



A-X-L: un’amicizia extraordinaria

Valentina: Fantascienza, un cane robot, un motociclista adolescente sfigato che combatte contro l’America militare affiancato dalla tipa di cui è timidamente innamorato? Scusate ma anche no. Non ce la faccio. Per quanto mi riguarda l’unico che può farmi piacere una roba del genere è zio Steven. Tutto il resto è noia.

Passo.

Ford: se dovessi fare una selezione ogni settimana e portare in sala solo i film che ritengo interessanti, credo che il risultato sarebbe simile a trovare la manciata di recensioni in cui Peppa Kid ha fornito un parere sensato. E di certo, questa roba non rientrerebbe tra i titoli prescelti.

Cannibal Kid: Questa rischia di essere una porcata davvero extraordinaria. Se ho del tempo da perdere, potrei spararmelo per avere un titolo assicurato tra i flop del 2018. Se Ford lo guarda, invece, scommetto che si esalta come un bambino.



Il banchiere anarchico

Valentina: Un potentissimo banchiere festeggia il compleanno nel suo palazzo. Ha un unico ospite che lo interroga sulla sua ascesa nel mondo della finanza (oddio, mi annoia già solo a nominarla: finaaanza). Il tizio ospite del banchiere a un certo punto dice di aver saputo che lui era un anarchico.

"Sono. Non 'ero' un anarchico" è la sua affermazione.

Che dire, l’idea di portare sullo schermo un racconto di Pessoa potrebbe far scattare nell’immediato qualche dubbio circa una troppa presunzione o un invidiabile coraggio. Ho visto il trailer e non mi convince (non c’entra “Valeria medico legale”, giuro), un’impresa simile secondo me si adattava meglio a tempi e spazi teatrali. Di Giulio Base regista ricordo con discreto entusiasmo il film Poliziotti, dopodiché boh. Tipo il nulla.

Ford: film italiano simil-pretenzioso? Giro al largo neanche fosse un teen movie consigliato da Cannibal!

Cannibal Kid: Già solo dal trailer, questo potrebbe essere il più serio pretendente al titolo di peggior film del 2018. Roba da farmi rivalutare persino A-X-L: un'amicizia extraordinaria.



Il complicato mondo di Nathalie

Valentina: Una donna alle prese con una vita che sta andando a picco. Divorzio, problemi con la figlia, e un’invidia di quelle autentiche, che la divorano dentro, ma che paradossalmente rendono amabili certi personaggi.

L’attrice che interpreta Nathalie, Karin Viard, l’ho conosciuta nel film “La famiglia Bélier”, un piccolo gioiellino francese. Quindi a pelle questo titolo mi ispira, mi commuove, persino.

Ford: altro titolo che mi pare una di quelle cose finto d'essai che in realtà sono ciucciate mortali. Lascio andare avanti i più radical Cannibal e Valentina, io valuterò con molta, molta calma.

Cannibal Kid: Pensavo che Valentina avesse deciso di raccontarci la storia della sua vita, invece è solo la trama del film. Meglio per lei.



Imagine

Valentina: Nel 1972, John Lennon e Yoko Ono si muovono tra Regno Unito e Stati Uniti per la registrazione dell'album Imagine.

Il film segue i due protagonisti durante le riprese di Imagine, sia nel Regno Unito che a New York come coproduttori del disco con Phil Spector. Credo che per gli appassionati sia una buona occasione da non perdere. Io per dire, la perdo.

Ford: grande rispetto per il genio di John Lennon. E grande curiosità, come sempre, per i documentari. Ma John e Yoko sono tra gli antesignani dei radical chic, quindi direi che per il momento mi dedicherò drughescamente ad un paio di white russians e una nuova visione de Il grande Lebowski.

Cannibal Kid: Grandi John e Yoko! Ce ne fossero ancora di radical-chic come loro in giro, a spazzare via – pacificamente ma comunque a spazzare via - tutti questi populisti paladini del pane e salame come Di Maio, Salvini e... Ford uahahah



Johnny English colpisce ancora

Valentina: La spia strampalata le cui fattezze ricordano inesorabilmente il nostro ex premier piddino, torna a fare danni e miracoli. L’umorismo inglese nella goffaggine di Johnny English non è il massimo, per quanto mi riguarda, ma lo ritengo un rimedio alla portata di tutti contro la noia e la bruttura di certi giorni no. Non vado al cinema a vedere questi film, quando lo becco in tv però lo vedo volentieri.

Aspe’, mi hanno detto che c’è Emma Thompson! Mi sa che vado. No vabbè. Ok vediamo…

Ford: ho sempre detestato Atkinson e le sue smorfie, così come Johnny English. A questo punto immagino che Cannibal lo esalterà e non vedrà l'ora di vederselo. Per quanto mi riguarda, è tutto suo.

Cannibal Kid: Detesto l'umorismo di Mr. Bean quasi quanto quello di Mr. Ford. Hey, un attimo... quale umorismo?



L’apparizione

Valentina: Jacques è un giornalista di un quotidiano molto diffuso in Francia. Tanto bravo da essere chiamato dal Vaticano, che decide di reclutarlo per un compito speciale: prendere parte alla commissione chiamata a verificare l'autenticità di un'apparizione religiosa in un piccolo villaggio.

Oddio mio! No, vi prego.

Guarda, mi tengo i miracoli di Alessandro Siani.

Che è meglio.

Ford: questo vecchio cowboy e la religione, si sa, sono due cose molto, molto distanti tra loro. Oserei dire più di questo vecchio cowboy ed il suo finto giovane rivale. Passo.

Cannibal Kid: Se mi mettessi a guardare questo film, potrei cominciare ad avere delle visioni mistiche. Tipo Ford che si mette a pregarmi in ginocchio di consigliargli qualche film teen di nuova generazione.



La fuitina sbagliata

Valentina: Hai presente quei titoli che solo a leggerli ti fanno dire: “Grazie ma… no grazie”?

Ecco.

Ford: di sbagliato c'è ben altro. Come distribuire film così.

Cannibal Kid: Hai presente quei titoli che solo a leggerli ti fanno dire: “Ma chi gliel'ha data a questi la licenza di dare titoli? Pensieri Cannibali?”.

Ecco.



La morte legale

Valentina: Un altro documentario in sala, bene!

Qui si racconta le genesi del film di Giuliano Montaldo “Sacco e Vanzetti”, condannati a morte per essere stati degli anarchici (oddio, il banchiere!)

ll 23 agosto del 1927 Nicola Sacco e Bartolomeo Vanzetti vengono giustiziati sulla sedia elettrica, diventando martiri di ingiustizia e simbolo di libertà. Nel 1971, Montaldo realizza un film sulla loro incredibile storia. Nel 2017, il film torna in una versione restaurata, nella quale il regista espone le sue motivazioni e l’intero percorso artistico e produttivo.

Io lo vedrei. Ragazzi, scuola, insegnanti… soprattutto voi.

Ford: qui vale lo stesso discorso fatto in apertura. Materia molto interessante, ma rischio altissimo di noia e didascalismo. Meglio, forse, riscoprire il film.

Cannibal Kid: Quando i titoli di cui parlare in questa rubrica li seleziono io, in genere faccio una scrematura levando filmetti inutili e documentari vari che escono in due sale, se no la rubrica non finisce più. Questa settimana però li ha scelti Valentina e quindi ve li beccati tutti. Proprio tutti. E andate pure a vederli al cinema, se avete il coraggio e se li trovate nei cinema.



La strada dei Samouni

Valentina: In una piccola comunità di contadini, la famiglia Samouni, si appresta a celebrare un matrimonio, la prima festa dopo la fine della guerra. Amal, Fouad, i loro fratelli e cugini hanno perso i loro parenti, le loro case. Il quartiere adesso è in fase di ricostruzione, si piantano gli ulivi e si lavora ai campi distrutti dai bombardamenti ma il compito più difficile è un altro: ricostruire le loro memorie (mi piace questo concetto del recuperare la memoria).

E poi ’idea di alternare sequenze di animazione a quelle del documentario mi piace molto. Sì.

Ford: film potenzialmente interessanti, di quelli da due o tre persone in sala che una quindicina d'anni fa mi sarei fiondato a vedere. I tempi, però, sono cambiati, quindi per il momento posso al massimo sperare di incrociarlo per caso e non essere troppo stanco per affrontarlo.

Cannibal Kid: Ford per una volta dice bene. Questi sono film da due o tre persone in sala. Anzi, se diserta pure lui, mi sa che sono da una persona unica: Valentina ahahah.



Quasi nemici - L’importante è avere ragione

Valentina: Quasi nemici, quasi amici… non so voi. Ma io mi sono quasi rotta le…

Eddai. Su.

Ford: hanno realizzato un film sulla rivalità tra me e Cannibal senza pagare uno straccio di royalty!? E' uno scandalo.

Cannibal Kid: Il titolo italiano direi di lasciarlo perdere, visto che l'originale è Le brio. Ora, io non so il francese, ma non credo proprio che significhi “Quasi nemici”. In ogni caso, direi che, a parte A Star Is Born, questa commedia francese è l'unica pellicola settimanale che quasi mi interessa.



Renzo Piano: L’architetto della luce

Valentina: Architettura, luce, cinema. Cose così… belle.

"Quando cresci con l'idea che costruire è un'arte, ogni volta ti sembra di assistere a un miracolo, qualcosa di straordinario che non ti lascia più": questa è l'opinione di Renzo Piano, architetto italiano tra i più celebri e prolifici del mondo. A raccontare il suo genio è il cineasta Carlos Saura, che segue Piano nella progettazione e nella realizzazione del Centro Botin a Santander, in Spagna. Il racconto delle varie fasi della costruzione del Centro diventa presto riflessione sul processo creativo e su ciò che hanno in comune l'architettura, il cinema e tutte le altre arti.

Ford: vabene che mi piacciono i documentari, ma cominciamo ad esagerare. Lascio dunque agli studenti di architettura e a chi è talmente radical da fare impallidire perfino il Cucciolo Eroico.

Cannibal Kid: Grazie Valentina per averci proposto tutti questi documentari ed aver fatto così cominciare a odiare il genere persino a Ford. 🙂



The Predator

Valentina: A pelle direi: Vedi sopra, A.X-L.

Però c’è da premettere che: A dirigere The Predator è Shane Black, regista, sceneggiatore e attore esploso giovanissimo come sceneggiatore grazie ad “Arma letale”, commedia d'azione diventata un cult.

Poi, Black ha scritto le sceneggiature di “L'ultimo boyscout. Missione: sopravvivere” (film che ho davvero apprezzato) e “Spy” prima di esordire nel 2005 alla regia, con “Kiss Kiss Bang Bang” (2005), con protagonista nientepopodimenoche Robert Downey jr.

Una commedia noir, che ha debuttato al Festival di Cannes del 2005 e ha sancito l'inizio di una felice collaborazione tra Black e Downey jr. fino ad Iron Man 3.

Gli eroi di The Predator sono chiamati Loonies (matti, svitati), un gruppo di svalvolati che si sono conosciuti a una terapia di gruppo.

Ci vedrei bene anche Ford e Cannibal… anche io mi ci vedrei, in effetti.

E alla fine salveremo il mondo! Ancora una volta.

Ford: Predator è da sempre un film di culto in casa Ford, e nonostante la presenza di Shane Black - che mi è sempre piaciuto - nutro ben poche speranze per questo reboot che tenta invano di rinverdire i fasti di uno dei mostri cinematografici più originali ed interessanti degli anni ottanta. Probabilmente lo vedrò, ma con aspettative basse e senza troppo pensare a quanto mi esalto ogni volta che passa su questi schermi l'originale.

Cannibal Kid: Il primo Predator è una delle merdacce più clamorose che abbia mai visto in vita mia. Le uniche consolazioni sono che qui almeno non c'è Schwarzenegger e che questo peggio di quello non può essere. Anche se, mai dire mai.



Titanic

Valentina: Era il 1997. Ho perso il conto sia delle ore passate a vedere il film, una roba interminabile, che degli anni passati da quella volta al cinema.

Quello di Jack e Rose è un film che non ha bisogno di commenti particolari. Rivederlo non cambierà nulla, però ci scommetto tutto quello che ho che molti di noi, compresi Ford e Cannibal, proveranno a dire per l’ennesima volta a Jack di salvarsi le chiappe. E, per l’ennesima volta, lui non lo farà. __Attenzione spolier!!!__ Schiatterà.

Ma sarà comunque incredibilmente romantico come la prima volta.

Ford: ai tempi avevo molto apprezzato Titanic, e nonostante fossi un adolescente stronzo la storia di Jack e Rose mi colpì parecchio. Non penso di averlo mai più rivisto per intero, ma avrò tempo, credo, anche per questo. Specie nel periodo d'adolescenza della Fordina, sempre che possano piacerle i film "dei vecchi tempi".

Cannibal Kid: Era il 1997. Ford era già più vecchio di Rose da vecchia. Io invece ero ggiovane dentro e fuori all'incirca come adesso. All'epoca il film mi era piaciuto abbastanza (a parte la tediosa parte iniziale), però non mi aveva fatto gridare al capolavoro e da allora non l'ho mai più rivisto. Bello, eh, ma DiCaprio ha fatto di meglio. James Cameron invece solo di peggio.



Zanna Bianca

Valentina: Ispirato al romanzo di Jack London, Zanna Bianca diventa un film d’animazione con la straordinaria voce di Toni Servillo… se penso alla mia visione da ragazzina con il film di Lucio Fulci e i due volti memorabili di Franco Nero e Virna Lisi (musiche di Rustichelli!) ancora mi commuovo. Magari in questa versione il trauma è ammorbidito, magari Cannibal e Ford si eviteranno di piangere come bambini, magari io pure.
O forse no.

Ford: sinceramente la trasposizione in animazione fredda e computerizzata di un classico di questo tipo mi attrae ben poco, voce di Servillo - che ormai è sovraesposto - compresa. Preferisco dare un morso a Cannibal con le mie zanne.

Cannibal Kid: Jack London? Animazione finto adulta in realtà per bimbetti? Checché ne dica, questa è la fordianata suprema della settimana e forse del secolo.
Cosa che significa: mettetevi in salvo!



giovedì 4 ottobre 2018

Miriam Toews, Donne che parlano




Una nota al romanzo

Tra il 2005 e il 2009, in Bolivia, in una remota mennonita chiamata colonia di Manitoba - dal nome della provincia canadese - a molte ragazze e donne capitava di svegliarsi tutte doloranti e con un senso di sonnolenza, il corpo sanguinante e coperto di lividi per via delle violenze subite durante la notte. Le violenze erano imputate a fantasmi e demoni. Secondo alcuni membri della comunità, erano Dio o Satana a infliggere alle donne tali sofferenze come castigo per i loro peccati; molti accusavano le donne di mentire per attirare l'attenzione o per coprire l'adulterio; altri ancora credevano che fossero frutto della sfrenata immaginazione femminile.
Alla fine si scoprì che otto uomini della colonia ricorrevano a un anestetico veterinario per rendere incoscienti le proprie vittime e stuprarle. Nel 2011, questi uomini furono condannati a lunghe pene da un tribunale boliviano. Nel 2013, mentre i colpevoli erano ancora in carcere, fu reso noto che violenze simili e altri abusi sessuali continuavano a verificarsi nella colonia.
Donne che parlano è insieme una risposta narrativa a questi fatti di vita vissuta e un atto di immaginazione femminile.

Miriam Toews

Mi sembrava doveroso partire da qui, dalle parole dell'autrice. 
Ho letto queste righe almeno dieci volte, prima di addentrarmi oltre. Mi fermavo, cercavo qualcosa, la ragione di quel piccolo e primo scompenso al cuore, credo.
Miriam Toews parla di un atto di immaginazione femminile, un concetto che racchiude una bellezza imponente, ma pure l'orrore.
E questo mi ha immediatamente paralizzata, perché io lo sapevo bene quello che avrei letto, quello che avrei trovato tra le righe, tra una pagina e l'altra. 
Una storia terribile, di violenze inaudite, di donne violate.
Lo sapevo.
Ma la letteratura a volte diventa un atto necessario, di responsabilità e urgenza a cui non puoi sottrarti.
Aspettavo questo libro con una certa ansia, esplosa dopo la segnalazione di una cara amica. Donna, madre, lettrice appassionata come poche altre.

Venivano narcotizzate con lo spray per le mucche, e poi stuprate nel sonno.

"Siamo donne senza voce, afferma Ona, pacata. Siamo donne fuori dal tempo e dallo spazio, non parliamo nemmeno la lingua del paese in cui viviamo. Siamo mennonite senza una patria. Non abbiamo niente a cui tornare, a Molotschna perfino le bestie sono più tutelate di noi. Tutto quello che abbiamo sono i nostri sogni - per forza che siamo sognatrici".

Riunite in un fienile, le donne di Molotschna decidono di parlare, riflettere su quanto accaduto, probabilmente per la prima volta, e capire insieme cosa fare.
Il capo della comunità, Peters, ha fatto arrestare gli uomini. Presto, però, questi torneranno in attesa del processo. E alle donne è stata data un'unica opportunità: perdonarli affinché possano andare in paradiso. Se non perdonano, le donne dovranno lasciare la colonia e uscire nel mondo, del quale non sanno nulla.
In quel fienile le donne devono decidere, votare. 
Le opzioni sono tre:
1) Non fare niente.
2) Restare e combattere.
3) Andarsene.
Il tutto, ovviamente, in pochissimo tempo.

La voce che racconta, è quella di August Epp. L'unico uomo presente durante le riunioni delle donne e responsabile di trascrivere i verbali.
Non è un caso che August sia un insegnante, un ex membro della colonia, espulso e poi riaccolto, un uomo capace di desiderare la vita e la morte con la stessa intensità, sinceramente.

"Vogliamo che i nostri figli siano al sicuro. Vogliamo conservare la nostra fede. E vogliamo pensare".

L'aspetto più sorprendente di questo libro, di queste donne, di questi verbali, è la maniera di affrontare tutta quella violenza, quel male inflitto dal potere, che è uomo, perché nella comunità vige il patriarcato e la donna conta zero. Da Dio, che è uomo, perché le donne non sanno leggere e nessuna di loro ha la più pallida idea di cosa sia la parola di Dio se non per bocca di un uomo che gliel'ha letta, imposta.
E nonostante queste privazioni, queste ingiustizie primitive, barbare, schifosamente vere e inopinabili, loro si preoccupano di preservare quella maledetta fede, quella parola che forse è di Dio, o forse del diavolo, in fondo chi può dirlo?
Nonostante i lividi sulla faccia, il sangue ancora caldo, le ossa rotte e le vite crepate per sempre, di donne, ragazze, BAMBINE, le donne di Molotschna cercano di preservare quelle qualità che un presunto Dio gli ha donato, perché di notte mentre Adamo dormiva qualcuno si è avvicinato, e gli ha staccato una costola, e poi l'ha data a "te", donna. E questo ti impone per forza di cose una vita di dolore, di sottomissione e privazione.

C'è un tempo per amare, e un tempo per odiare, dice la Bibbia. Queste donne hanno capito che per amare e odiare è necessario prima pensare. Averne almeno la possibilità.

Ho chiuso il libro e mi sono vista in quel fienile. Ho sentito la paglia sfiorarmi le gambe, ho raccolto i miei capelli in un fazzoletto bianco. Ho cercato di coprire un ematoma sul viso, ho sentito un dolore terribile corrermi lungo tutta la schiena. Mi sono sentita rotta, finita.
Poi una voce mi ha raccontato una storia, e poi un'altra, e un'altra ancora.
Queste storie parlavano delle profondità del Mar Nero, della possibilità della vita, nonostante le condizioni più ostili.
Di libellule che hanno sei zampe ma che non sanno camminare, però sanno volare.
Di un artista chiamato Michelangelo che prima di dipingere non era certo di quello che avrebbe realizzato, non ne aveva idea, aveva paura, ma alla fine ce l'ha fatta.
Di un gruppo di donne coraggiose ignare del mondo, della felicità, della dignità, di una vita alla pari, che alla fine hanno deciso di parlare.

Avevo una mappa in mano, c'era scritto "mondo".
Ho pensato.
Ho scelto di andare.
(Non)Siamo solo donne che parlano...


lunedì 24 settembre 2018

Dino Buzzati, Il segreto del Bosco Vecchio



È il 1935 quando Dino Buzzati pubblica il suo secondo romanzo, dopo un esordio poco apprezzato dalla critica del tempo con Bàrnabo delle montagne, 1933.
Un momento difficile per l'Italia, in guerra con l'Etiopia e isolata dal contesto mondiale, Hitler inaugura le Leggi Razziali, Mussolini accresce il suo consenso, la censura è ovunque.

Il Bosco Vecchio appare dunque un luogo necessario, rifugio dalle barbarie, uno slancio salvifico nel mondo immaginifico disegnato dall'infanzia.
Dino Buzzati muove la penna fino a rinvenire le viscere più profonde della letteratura fantastica, di una poesia ancora fanciulla, di una prosa semplice ma appassionante, perché viva.

Una trama per niente articolata, quella di un uomo ormai rimasto solo, tale Sebastiano Procolo, stretto nella morsa della vecchiaia, la cui unica fortuna sembra essere un'immensa tenuta boschiva, lasciata in eredità dallo zio. Il Procolo, a sua volta, avrebbe lasciato il Bosco Vecchio al giovane Benvenuto, un ragazzino distratto e gracilino, pieno di incubi e paure, ancora tanto ingenuo, ancora tanto autentico e puro come tutti i bambini.
L'avidità e la brama di potere, il voler possedere l'intera tenuta senza doverla spartire con alcuno, travolgono Sebastiano, lo obbligano a guardarsi davvero, a fare i conti con la propria coscienza, con quel male di uomo che lo stava divorando da dentro e lo condannava lentamente a un vita da eremita.
(Memorabile il volto di Paolo Villaggio nel film omonimo di Ermanno Olmi).

Il segreto del Bosco Vecchio è il luogo incontaminato per eccellenza, il mito dell'infanzia, le pagine più belle della nostra vita che avremmo voluto leggere ancora, e scrivere, ancora.
Dino Buzzati si dimostra subito maestro indiscusso nell'arte di fondere due mondi per loro natura diametralmente opposti, realtà e fantasia.
Il Bosco è animato e custodito da creature fantastiche, geni e gazze guardiane, scoiattoli e gufi, i venti soffiano e parlano agli uomini (solo a pochi, sia chiaro) diventano loro complici, talvolta nemici.
Ed è sorprendente come l'autore sia riuscito a inventare una struttura narrativa che vive di elementi surreali, i cui protagonisti più veri sono non-uomini.
Commoventi i momenti in cui Sebastiano parla con il vento Matteo, suo confidente, nonché alter ego in un mondo parallelo che probabilmente non c'è, perché non è reale, non è vero, ma che un tempo è esistito.
Tutti lo sanno.

Non si può spiegare la magia del Bosco Vecchio, di come il tempo si arresti dinanzi alla bellezza, alla felicità che non ha ragioni. Nel Bosco Vecchio i topi disturbano il sonno, il vento ci salva e poi ci condanna, si prende gioco di noi.
Nel Bosco gli uomini abbandonano per sempre la loro innocenza, la lasciano lì, come un'ombra ormai stanca e disillusa, come un vecchio burbero disabituato all'amore, al bene, alla possibilità di un'anima buona.
Nel Bosco Vecchio un carrettiere arriva e si trascina dentro una bara le anime ormai perse, farfalle bianche invadono gli alberi, cinque incubi terrificanti bussano alla porta.

Nel Bosco Vecchio si susseguono le stagioni, i venti cambiano, gli uomini pure.

"E' inutile", disse il vento, "devo andare sul serio. Del resto, questa forse è la notte famosa in cui tu finirai di essere bambino. Non so se qualcuno te l'ha detto. Di questa notte i più non si accorgono, non sospettano nemmeno che esista, eppure è una netta barriera che si chiude d'improvviso. 
Capita di solito nel sonno. Sì, può darsi che sia la tua volta.
Tu domani sarai molto più forte, domani comincerà per te una nuova vita, ma non capirai più molte cose: non li capirai più, quando parlano, gli alberi, né gli uccelli, né i fiumi, né i venti. Anche se io rimanessi, non potresti, in quello che dico, intendere più una parola. Udresti sì la mia voce, ma ti sembrerebbe un insignificante fruscìo, rideresti anzi di queste cose. 
No, forse è meglio così, che ci separiamo al punto giusto".

Esiste un momento, nella vita di ogni lettore, in cui si avverte qualcosa.
Uno strappo nel cuore, nella carta.
Credo voglia dire semplicemente una cosa.

Che quel libro, resterà aperto dentro di te, per un tempo infinito. 


venerdì 14 settembre 2018

Sulla mia pelle



Ho iniziato a vedere il film con una bomba ad orologeria nello stomaco, pronta ad esplodere.
Nonostante già sapessi l'epilogo, mi sono resa conto dopo pochi minuti che quella storia, vera, brutta, così dannatamente reale, mi avrebbe fatto stare male, malissimo. Mi avrebbe messo in difficoltà, perché prima di un occhio critico, c'è quello di madre, di sorella, di essere umano.
E certe storie ti lasciano addosso solamente un silenzio profondo.

La storia di Stefano Cucchi ha scosso duramente l'opinione pubblica, l'immagine di Ilaria con le foto del fratello ormai privo di vita sono entrate nelle case di tutti gli italiani. Tutti, chi più chi meno, hanno avuto almeno un'occasione per riflettere su quanto accaduto.
Ecco, partirei da questa premessa che è un dato di fatto, il punto nevralgico da cui si snodano milioni di pareri e interpretazioni.

Quella di Stefano è una storia vera. Realmente accaduta.
La responsabilità, nella scelta di portarla sul grande schermo, di farne comunque un prodotto cinematografico, è davvero tanta.
Alessio Cremonini realizza un'opera realmente complessa (e lo fa con rigore di cronaca, in maniera del tutto oggettiva), un travaglio estenuante che lo spettatore è costretto a vivere insieme al protagonista. Il corpo di Stefano, e quella pelle livida che giorno dopo giorno si trasforma, cambia colore, viene sbattuto da una cella all'altra.
La tensione cresce, con fare vorticoso inizia a toccare ogni cosa, e poi la smantella, sradica le coscienze, scompensa gli sguardi e i cuori di chi sta lì, inerme, composto e al tempo stesso smembrato, davanti allo schermo che ti seduce e ti condanna.

Le pareti delle celle, di tutti gli istituti penitenziari che Stefano ha "abitato" prima di morire, riflettono la poca vita rimasta al protagonista.
La bravura sconfinata di Alessandro Borghi è racchiusa in un corpo smagrito e destinato a finire, nel tono di una voce sottile, nel peccato di un giovane che ha fatto tanti errori e vorrebbe redimersi. Ci prova, nell'atto di una preghiera, che non è tanto fede quanto "speranza". Nell'abbraccio di un padre, nella voce che attraversa la cella e diventa compagna, confidente, una presenza comprimaria che potrebbe non esistere, eppure c'è, perché parla, si sente ma non si vede.
La prova fisica di Borghi, che ricorda molto l'uomo senza sonno di Christian Bale, è l'elemento che rompe lo schermo, la mano che affonda la lama. La tensione parte dai suoi occhi, da quel corpo adagiato su un letto rigido, dai respiri che cambiano e si spezzano e graffiano le pareti buie.




E ci spezziamo anche noi, insieme a quella schiena livida. Chiediamo perdono e cerchiamo un po' di pace, nelle mani grandi di un padre (notevole e commovente la compostezza e la drammaticità di Max Tortora nei panni del padre di Stefano), nell'amore severo di una sorella maggiore, negli occhi smarriti di una madre.

Sulla mia pelle è un film che annienta la critica, perché non c'entrano gli applausi e le stellette sulle riviste cinematografiche, non c'entra il gusto e nemmeno il giudizio.
Questa storia, che è brutta, e che fa male, è solo un motivo in più per riflettere, per guardare i propri figli negli occhi e dire loro: "Non fate cazzate, non fate cazzate vi prego!"

Alla fine la bomba è esplosa. Mio figlio Luca, dieci anni, durante i titoli di coda mi ha visto piangere. Si è avvicinato come il cavaliere al cospetto della principessa.

"A ma', ma che piangi? E' solo un film".


giovedì 13 settembre 2018

Rosella Postorino, Le assaggiatrici



Ho deciso di leggere questo libro non appena mi è giunta la voce di una storia ambientata nella campagna tedesca, più precisamente nel quartier generale di Hitler, durante la Seconda Guerra Mondiale. Una storia molto al femminile, a partire dal titolo e dalla copertina.
Un libro che parla di un gruppo di donne recluse in mezzo alla foresta, in una mensa forzata a mangiare cibo che potrebbe essere avvelenato, e che potrebbe uccidere il Führer.
La sua ossessione, la paura di morire avvelenato, fa da trama narrativa a un romanzo storico del tutto atipico, poiché scardina in un certo senso gli archetipi del genere.

Ispirandosi alla vera storia di Margot Wölk, assaggiatrice di Hitler nella caserma di Krausendorf, l'autrice indaga soprattutto le pulsioni più intime della protagonista e delle altre donne coinvolte in questa parentesi storica che, sempre di più dalla prima all'ultima pagina, diventa emblema della coscienza umana. 
A differenza del classico romanzo storico, infatti, il libro di Rosella Postorino, riesce a trascinare il lettore in un dramma che da intimo e personale finisce col travolgere tutti.
La storia, quella che siamo abituati a studiare sui libri (c'è da dire inoltre che di questa vicenda se ne è parlato pochissimo, almeno per quanto riguarda la mia cultura), ad un certo punto vuole mettersi da parte per dare spazio alla fragilità dell'essere umano, delle difficoltà che travolgono l'anima e la mente in situazioni estreme, tragiche, come lo è appunto quella del libro in questione.

Rosa Sauer, la protagonista, riesce a sopravvivere alle brutture della storia, ma il suo profondo senso di colpa, legato ai suoi tre pasti al giorno mentre il resto del mondo moriva di fame, legato all'amore tradito nei confronti di un uomo disperso in guerra, a un desiderio che nonostante tutto il male e l'orrore intorno, ancora la smuove, la tiene in vita, fanno sì che la sua "fortuna" diventi al contempo condanna.

"Ma chi avrebbe mai preferito la vita eterna alla sua vita qui sulla terra? Io no di certo.
Ingoiavo il boccone che avrebbe potuto uccidermi come fosse un fioretto, tre fioretti al giorno per ogni giorno della novena natalizia. Offri al Signore la fatica dei compiti, la tristezza per il pattino che si è rotto o il tuo raffreddore, diceva mio padre, quando la sera pregava con me.
Guarda quest'offerta, allora, guardala: offro la mia paura di morire, il mio appuntamento con la morte rimandato da mesi e che non posso annullare, li offro in cambio della sua venuta, papà, della venuta di Gregor.
La paura entra tre volte al giorno, sempre senza bussare, si siede accanto a me, e se mi alzo mi segue, ormai mi fa quasi compagnia".

Sono numerosi i momenti in cui Rosa si interroga sul complicato ruolo che la vita le ha riservato, e che la storia ha portato poi allo stremo, a una condizione esistenziale che ha del paradosso.
E nonostante ciò, la vera luce che traspare da queste pagine, da questa miscela perfetta di storia e invenzione, proviene proprio dai momenti più intimi della protagonista, dalla sua autentica bellezza concepita nel desiderio e nella giovinezza, nell'attaccamento alla vita e alle passioni.
Quelle che, ancora oggi, potremmo definire le armi più potenti per vincere la guerra.
Qualunque essa sia.


sabato 17 marzo 2018

Oriana Fallaci, La rabbia e l'orgoglio



"Il massacro e l'orgoglio", le aveva suggerito Ferruccio de Bortoli.
Ma lei non era convinta. Tuttavia rimase in silenzio, per un po'. Poi si accese una delle tante sigarette di quella mattina e, all'improvviso, scattò dalla sedia.
"La rabbia..."
Tutta quella che aveva dentro.
La rabbia e l'orgoglio.

La mattina dell'11 settembre Oriana Fallaci era lì. Nel suo appartamento nel centro di Manhattan, sulla 61esima.
La ragazzina che faceva la staffetta da una sponda all'altra dell'Arno, durante la Resistenza. 
La giovane corrispondente di guerra in Vietnam, la giornalista quasi morta ammazzata a Città del Messico. La "guerrafondaia" di cui molti parlano, a suon di accuse immeritate, spesso meschine.
Era presente nonostante il silenzio di quel periodo, di esilio, lontano dall'Italia, dalle "cicale di lusso", come amava definirle lei.
Gli italiani, sì. Gli uomini che contano e quelli da niente, e poi la gente. Quelli che all'indomani dell'11 settembre gridavano: "Gli sta bene. Agli americani!"
Per questa e tante altre infinite ragioni, Oriana Fallaci decise di allontanarsi da Firenze, dalla sua patria. Era convinta che ormai gli italiani non volessero più ascoltare, né sapere, né vedere. E il principio fondante di quella professione che oggi è morta, insieme a lei, dopo di lei, muore di conseguenza.
A nessuno importa che siano vere, le storie che si leggono sui giornali. 
E poi Oriana aveva questo brutto vizio. Ti obbligava a riflettere...

La rabbia e l'orgoglio, in principio, era una pila di fogli raccolti in una cartella rossa. Erano i pensieri esplosi dopo l'Apocalisse, tutto ciò che Oriana aveva tagliato al fine di rispettare le volontà dell'editore del Corriere della Sera, Ferruccio de Bortoli.
Lui le chiese un articolo, la sua testimonianza di quella tragedia. 
Lei lo accontentò.

Sai, io credevo d' aver visto tutto alle guerre. Dalle guerre mi ritenevo vaccinata, e in sostanza lo sono. Niente mi sorprende più. Neanche quando mi arrabbio, neanche quando mi sdegno. Però alle guerre io ho sempre visto la gente che muore ammazzata. Non l' ho mai vista la gente che muore ammazzandosi cioè buttandosi senza paracadute dalle finestre d' un ottantesimo o novantesimo o centesimo piano. Alle guerre, inoltre, ho sempre visto roba che scoppia. Che esplode a ventaglio. E ho sempre udito un gran fracasso. Quelle due torri, invece, non sono esplose. La prima è implosa, ha inghiottito se stessa. La seconda s' è fusa, s' è sciolta. Per il calore s' è sciolta proprio come un panetto di burro messo sul fuoco. E tutto è avvenuto, o m' è parso, in un silenzio di tomba. Possibile? C' era davvero, quel silenzio, o era dentro di me? 

La prima edizione de La rabbia e l'orgoglio arriva nelle librerie italiane il 12 dicembre 2001. Tre mesi dopo l'11 settembre e dopo la pubblicazione sul Corriere della Sera del 29 settembre.
Tante polemiche, un dibattito che ancora oggi si accende non appena si fa il suo nome: Oriana Fallaci. 
La matta, la fascista, quella che preferisce la rabbia al "volemose bene" sempre e comunque.
Eppure la rabbia ci rende così terribilmente umani, come si può sostenere il contrario?
Tiziano Terzani, in una lettera alla Fallaci, parla del suo articolo come di invettive pregne di rabbia, e di quanto egli sia rimasto sbigottito dinanzi alla evidente perdita della ragione di lei.
Di lei che vedeva la gente ammazzarsi, bruciare viva. Di lei che vedeva le torri fondersi come un panetto di burro. Di lei che la guerra l'ha sempre vissuta in prima linea.
Ma è politicamente scorretto incazzarsi, sputare addosso agli uomini cattivi, alle barbarie. Ed è scorretto dire le cose come stanno, è scorretto lasciarsi divorare dalla rabbia e dall'orgoglio.
Sarebbe meglio lasciare che sia Dio a decidere, a intervenire dinanzi alla violenza, alla morte.
Sarebbe meglio contemplare dalla finestra un filo d'erba e sorridere, "Peace&Love". 

Tiziano Terzani, così come molti altri colleghi e non, trascurava però un dettaglio affatto trascurabile. Lui ad esempio esortava la Fallaci a starsene sulla sponda del fiume, a vedere la corrente. Stare buona, non sputare, non incazzarsi, non parlare male.
Ma come si fa, se si conosce davvero questa giornalista scrittrice, a dire alla Fallaci di starsene buona e sulla sponda del fiume?

La sua mano è feroce ma si muove solo dopo aver toccato l'anima. Senza nemmeno chiederti se lo vuoi o meno, lei ti obbliga a ragionare. Sull'Italia, sull'America, sul mondo Islamico.
La bellezza che non trovo altrove è tutta in questo libro, e in tanti altri, che si muove entro i cardini del giornalismo, attaccato alla verità, e poi si stacca e prende il volo. 
Un libro è soprattutto un sentimento che esplode. Non necessariamente "corretto".
Certo, devi saperlo raccontare.
E Oriana sapeva farlo.
Mostruosamente bene.



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