Beata Ignoranza, quinto film da regista per Massimiliano Bruno, è un po' la grande guerra contemporanea. A guidare i due fronti ci pensano Marco Giallini e Alessandro Gassmann, protagonisti e contrapposti nel senso più letterale del termine.
Il primo, professore di lettere e piuttosto restio a farsi travolgere dalla modernità. Prof. vecchio stampo, che preferisce un bel romanzo e un bel disco ai post condivisi ininterrottamente da Tizio e Sempronio su Facebook. Uno che crede ancora nelle istituzioni, che si chiede cosa sia normale e cosa non lo è più. Il secondo, professore di matematica che insegna con lo smartphone e sfrutta le app., vittima della tecnologia, dei selfie, dei follower, della solitudine, del suo ruolo tanto ridicolo che gli è stato assegnato.
Perché Beata ignoranza è un film nel film, o meglio, un documentario nel film. Gli attori parlano alla macchina e infrangono la quarta parete. All'inizio si soffre, nel senso che lo spettatore non fa che chiedersi: "Ma Giallini e Gassmann si sono rincoglioniti?"
Si ha la sensazione, disturbante, che i due protagonisti abbiano seri problemi ad adeguarsi al copione. Imprevisti del mestiere, si direbbe, soprattutto se si è un attore con la A maiuscola. E gli attori scelti da Massimiliano Bruno lo sono, eccome!
Alla fine si capisce, cioè, un po' prima della fine.
A muovere tutto, infatti, in questo docu-film improvvisato e realizzato in poco tempo, con pochi mezzi e due nemici per la pelle per niente addomesticabili, è la dipendenza dai social.
La malattia odierna, chiamiamola così.
Per quanto mi riguarda, il documentario non gode del fascino che può avere un film hollywoodiano, per dire.
Massimiliano Bruno, dopo il drammatico Gli ultimi saranno gli ultimi (ingiustamente male criticato a mio avviso) torna dietro la macchina per documentare la realtà. Senza ricorrere alla bellezza e ai trucchi della narrazione, che è fantasia, immaginazione, una sceneggiatura da infiocchettare, sistemare, abbellire.
Beata ignoranza è un documentario, che noi lo vogliamo o meno.
Non è la commedia che ci aspettavamo da Bruno, vero.
Capirai, con quei due mostri di Gassmann e Giallini come minimo avrei voluto sbellicarmi o piangere fino allo sfinimento. E invece no.
E invece qualcuno ha voluto semplicemente riportare, non raccontare, ciò che siamo diventati.
Incapaci di vivere e stare al mondo senza il supporto di una applicazione che ti dice come fare, come amare, dove andare.
Disabituati alla bellezza delle cose semplici, come una poltrona in casa e un bel romanzo da leggere, come un bel pomeriggio all'aria aperta, come il colore del cielo.
Beata ignoranza non è un bel film, perché ci sono padri che non sanno comunicare con la propria figlia, che non sanno amare, perdonare.
Beata ignoranza non è un bel film, perché ci siamo noi.