mercoledì 31 ottobre 2012

Frankenweenie a Roma e Milano nella notte di Halloween. Il mistero delle iniziative "top secret".

Carissimi lettori e lettrici, oggi il mio umore è stato pericolosamente danneggiato dall'ennesima incomprensione verso quell'informazione che, a quanto pare, nel nostro paese vacilla sempre di più per non dire "non esiste affatto". In questi giorni, come avrete notato, schizzavano nel web le teorie legate a come perder peso guardando film horror, oppure questa storia della Disney che compra la Lucasfilm, eppure, nessuno si è preoccupato di diffondere con una certa premura la notizia dell'anteprima di Frankenweenie nella sera di Halloween, presso le sale Uci Cinema di Roma (Porta di Roma) e Milano (Bicocca). Scommetto che non lo sapevate nemmeno voi, eh?

La rabbia deriva dal fatto che solamente questa mattina, ovvero quando sul sito Uci era fin troppo evidente la scritta in sovraimpressione "Biglietti esauriti", sono venuta a conoscenza dell'iniziativa tenuta a quanto pare "Top secret". Questa dava la possibilità (dava...) a ogni possessore della tessera Skin Uci Card di ottenere due ingressi gratuiti all'anteprima in 2D (in lingua originale con sottotitoli in italiano) dell'ultimo e attesissimo lavoro burtoniano. Se vi dico che i fortunati sarebbero stati solamente 100 capite bene che le speranze di trovare ancora due poltroncine vuote alle 11 di questa mattina erano pressoché nulle. E infatti...

Bene, tutto questo per dire ancora una volta: ma in Italia, l'informazione, dov'è?
Perdonate lo sfogo, ma ne avevo assoluto bisogno. Comunque, questa serata all'insegna del Dolcetto o Scherzetto? non può andare in rovina. Lo scherzo me l'hanno fatto, non mi rimane che godermi il dolce e consolarmi sul divano con una bella "maratona Tim Burton". 

Voi invece, film per Halloween ne avete?


Ci tengo ad essere informata come si deve...la prossima volta potrei reagire male. Moolto male.



martedì 30 ottobre 2012

C'è un Muppet...(Mah-Nà Mah-Nà)


"Avete rapito Jack Black? Ma è illegale. Ma Kermit cos'è più illegale, importunare leggermente Jack Blaaaack o distruggere i Muppets per sempre"?

Lo storico Teatro dei Muppet rischia di essere raso al suolo. A volerlo è il petroliere Tex Richman (Chris Cooper). Per salvare il teatro Kermit, Walter, Gary (Jason Segel) e Mary (Amy Adams) partono alla ricerca dei Muppet, ormai sparsi in diverse parti del mondo, per vederli ancora una volta insieme e mettere in scena il  Greatest Muppet Telethon Ever.

Certo ne è passato di tempo dall'ultima apparizione di questi adorabili "pupazzi/marionette" sul grande schermo. Parliamo infatti del 1999, anno in cui uscì I Muppet venuti dallo spazio, sesto film interpretato dai protagonisti di gomma e il terzo realizzato dopo la scomparsa del vero padre, Jim Henson. Oggi, a distanza di anni, si ritorna ad assistere a una di quelle che io definisco "imprese" cinematografiche. Dico questo perché in ballo ci sono "creature" immaginate e realizzate da un uomo verso gli anni '50 e divenute celebri star di importanti programmi tv negli Usa, il Muppet Show (che andò in onda prima nel Regno Unito) e Sesamo Apriti. Dunque, le possibilità argomentative per noi cinefili-critici in questi casi non sono poi molte, anzi, sono due: film-evento dell'anno o grandissimo flop?. Ma io su questa tenera e divertente metafora della vita non ho certo dubbi, e dico che I Muppet si piazzano dignitosamente e fieri in vetta, tra i migliori revival cinematografici degli ultimi anni. 


Il film esce nelle sale italiane a febbraio 2012, dopo l'ennesimo posticipo, diretto dal britannico James Bobin, regista e scrittore di The 11 O'Clock Show e Da Ali G Show , il quale ha contribuito a creare i personaggi di Ali G , Borat e Brüno. Affidato alla Disney per la distribuzione (e lo avevamo capito), perché non sfugge agli occhi dello spettatore il cartellone luminescente nei pressi del Teatro dei Muppet con Saetta Mc Queen. Kermit, Gonzo, Miss Piggy, Fozzie e il resto della "ciurma gommosa (e non)" portano nel cuore del film grandi e piccini, guidandoli secondo quelle sfumature sempre meno percepibili oggi. Si assapora finalmente quel gusto un po' vintage, di un tipo di cinema semplice, senza troppi effetti speciali o espedienti narrativi a strizzare le meningi. Più che altro ci si diverte e si riflette, al ritmo di gag spassose e uscite senza senso tipiche dei protagonisti. Non dimentichiamo infatti che nel film di Bobin nulla è lasciato al caso o peggio ancora viene stravolto, e la psicologia dei Muppet ne è la prova più evidente. Si contesta la diversità, o meglio, l'idea che la nostra società ha oggi (e da sempre) della diversità,  e si promuove la tenacia, la voglia di venir fuori al di là di tutto ciò che ci circonda. Si parla della famiglia, dello stare insieme, della fratellanza, dell'avidità di denaro, il potere. 


A dare a tutto il quadro la degna cornice di un film assolutamente da non perdere, la presenza di una componente musicale diluita nei vari intermezzi a catturare lo spettatore in una maniera così semplice ma allo stesso tempo forte come uno "tsunami" di note. Sono circa una trentina i brani presenti in questo film, ricordiamo alla direzione musicale Christophe Beck Bret McKenzieDal più classico "recuperato" dal First Muppet Show "Mahna Mahna" fino ad arrivare al commovente Man or Muppet interpretato da Gary e Walter. Per non parlare di un Jack Black chiuso in un bagagliaio e degli altri camei Mickey Rooney, Mila Kunis, Danny Trejo, French Stewart, Neil Patrick Harris, Whoopi Goldberg, Jim Parsons, Sarah Silverman, Selena Gomez, John Krasinski, Wanda Sykes. 











lunedì 29 ottobre 2012

Il cinema italiano al Mumbai Film Festival



Si è conclusa lo scorso 25 ottobre, nella città del cinema indiano, Mumbai, la rassegna Celebration of Italian Cinema, ovvero trenta film italiani dal 1913 ad oggi. 

La rassegna è stata realizzata da Asiatica Film Mediale in collaborazione con l’Ambasciata d’Italia e l’Istituto Italiano di Cultura a New Delhi,  il Films Division Government of India, il National Film Archive of India di Pune, Cinecittà Luce e Cineteca Nazionale.

Trenta film a soggetto rappresentativi della storia del nostro cinema, compresi i più recenti: Mio fratello è figlio unico, Gangor, Mine vaganti, Sette opere di misericordia, Corpo celeste, L’Intervallo e si è chiusa con la Bella Addormentata di Bellocchio.
Nonostante in India si apprezzi il cinema italiano, questo, non era da tempo più al centro di rassegne di un così ampio respiro.L’ultimo forum aperto di discussione del Festival è stato il seminario sulla “Vitalità del Cinema Italiano” a cui hanno partecipato l’accademico indiano, commentatore culturale e scrittore, Suresh Chabria, il decano dei montatori italiani Roberto Perpignani, l’ex amministratore delegato di Cinecittà Luce, Luciano Sovena, il Direttore Artistico di Asiatica, Italo Spinelli, moderati dalla nota studiosa e critica cinematografica Aruna Vasudev, e dedicato agli scambi e alle collaborazioni tra le due cinematografie.


Nel corso del Mumbai Film Festival sono stati presentati  altri otto film italiani, quattro  nella sezione World Cinema: "Me and You" (Io e Te) di Bernardo Bertolucci,“Reality” di Matteo Garrone, “Diaz” di Daniele Vicari, “Un giorno questo dolore ti sarà utile” di Roberto Faenza; quattro nella sezione Classici restaurati: “Maciste” di Luigi Romano Borgnetto, “Inferno” di Francesco Bertolini, Giuseppe De Liguoro, Adolfo Padovan, “Il Gattopardo” di Luchino Visconti, “C’era una volta in America” di Sergio Leone.
 Io e Te è stato proiettato in prima extraeuropea a Mumbai nella sala del Jamshed Bhaha Theatre  il 23 ottobre.

Il XIV Mumbai Film Festival si è tenuto dal 18 al 25 ottobre presso il National Centre for the Performing Arts (NCPA) , I cinema Inox, Nariman Point e Liberty, e il Marine Lines, sedi principali della manifestazione. e inoltre le sale Cinemax, Andheri e Cinemax Sion.

venerdì 26 ottobre 2012

Jude Law "as" Alfie

C'è chi parla di questo film, come di "esperienza di puro packaging, dove tutto è apparenza e nulla è contenuto".
Ovvio che non citi né autore né sito, ma non avrete difficoltà a trovarlo dal momento che certe "sparate" da critico snob scoppiettano su uno dei portali più gettonati nel web, dunque...

Ho visto Alfie pochi giorni fa, quindi un po' tardino rispetto alla sua uscita nelle sale italiane nel 2005. Partiamo dicendo che il film di Charles Shyer (Il padre della sposa 1991, Il padre della sposa II 1995, L'intrigo della collana 2001) è un remake dell'omonima pellicola diretta nel 1966 da Lewis Gilbert e interpretata da un "certo" Michael Caine. E già questo fattore, come potete benissimo immaginare, porta una miriade di colpi ben prevedibili e a volte fastidiosamente inutili. Purtroppo, non avendo visto quella che immagino esser stata, la superba interpretazione di Caine, non ho i cosiddetti termini di paragone. Ma a me non importa sinceramente parlare di questo, preferisco sempre focalizzarmi sul film per quello che è, anche se delle volte ci troviamo di fronte a stravolgimenti gratuiti di film-capolavori e allora lì non possiamo certo redimerci dall'essere "dannatamente critici". Le accuse cui vi accennavo in partenza, andando ad analizzare la frase, o meglio, il termine (orribile e fastidioso a mio avviso) packaging, fanno riferimento al fatto che, il regista, abbia in qualche modo cercato di imballare un "pacco" puntando a un abbellimento efficacie dal punto di vista estetico ma, pessimo da quello del contenuto.

Allora, io non sono affatto d'accordo. Primo, odio queste sparate e questo sbrodolarsi in termini che nemmeno ci appartengono, ma dai, "packaging", ma cos'è? E poi, secondo, cosa ancor più importante, io non ho per niente avvertito questa sensazione, anzi. Il fascino di un attore tipicamente inglese (Dio mio quanto sei bello Jude - scusate, dovevo dirlo!!!) viene qui ad assumere una sottile sfumatura, la stessa che porta il bello Alfie/Jude Law a riflettere seriamente sulla propria vita, quella del Don Giovanni inglese trapiantato a New York. Quello che con la vespa "che sa di vintage" finisce per perdersi nella Grande Mela, tramortito dal pensiero, che lentamente si fortifica nel corso del film, di una vita sprecata a cambiare donne come calzini. Cinico, quasi ai limiti dell'immunità sentimentale. Lo si capisce da come si passa nel corso del film dalla affascinante mamma single Julie (Marisa Tomei), passando per la donna del migliore amico, Lonette (Nia Long), la stessa che per soffocare il dolore di una verità che nega al marito la paternità del figlio, andrà lontano da New York, lontano da Alfie. La ricca e attempata, quanto mai affascinante Liz (Susan Sarandon) fino alla ragazza un po'schizzata, Nikki (Sienna Miller) la sola con la quale proverà a condividere un pezzo di vita insieme, sotto lo stesso tetto.


Quel che a me personalmente ha colpito di questo film è stato il lento prendere atto del protagonista, uno "straordinario" Jude Law (e non lo dico perché madre natura gli ha dato "tutto"), della sua fondamentalmente triste e misera esistenza. Frivola, vuota, senza legami stabili, senza un punto di riferimento. Dall'inizio alla fine, e così era anche per l'Alfie di Caine, il bell'autista di limousine se ne va in giro per Manhattan spezzando di continuo il sottile confine tra l'obiettivo della macchina e lo spettatore. Teatralmente parlando si infrange la cosiddetta "quarta parete" e il protagonista vive la sua storia rivolgendosi alla macchina/spettatore. Gli occhi di Alfie cercano quasi una conferma dall'altra parte dello schermo e lo fa ponendo i suoi stessi interrogativi anche a chi sta solamente osservando la sua vita. Un personaggio che agli occhi forse più "pigri" può sembrare vuoto, meschino e immunizzato alla vita stessa appare in realtà come un'anima sofferente, fragile. Alfie capirà, a poco a poco, che la sua bellezza, la sua libertà, il suo essere estraneo ai vincoli di un rapporto stabile non sono affatto motivo di felicità. 


Gli occhi di Law tagliano la scena in più di un'occasione, in una New York frenetica, moderna così piena di luci, non si può fare a meno di perdersi in quegli sguardi astrali. Presuntuosi, strafottenti e arroganti. Anche provocanti e indifferenti. Poi però si gonfiano di lacrime e si spengono per la paura della vita, del male, della solitudine, dell'insoddisfazione. Cercano conferme e conforto in quelli di un vecchio sconosciuto, incontrato nella sala d'attesa di una clinica. Alfie è un uomo solo, perso in una metropoli infinita e, quando proverà a ritornare sui suoi passi dovrà affrontare il rifiuto delle donne "usate" in passato. Si riflette sulla pace con sé stessi, forse la sola cosa che sa riempirci la vita. Se non c'è quella, avrai come compagna fissa una sola sensazione, quella di una vita "vuota". Parola di Alfie...

martedì 23 ottobre 2012

Uno sguardo al Festival Internazionale del Film di Roma



Dal momento che posso (finalmente) annunciarvi che seguirò in "prima linea" il Festival di Roma, ho deciso di parlarne un po' e condividere con voi, poco alla volta, le emozioni e le novità che animeranno il Festival, da oggi fino all'apertura ufficiale del 9 novembre. 
Intanto diamo uno sguardo generale al Festival: "dove e quando".

La settima edizione del Festival Internazionale del Film di Roma si svolgerà dal 9 al 17 novembre presso l'Auditorium Parco della Musica. Anche quest'anno cuore del Festival sarà il complesso di Renzo Piano, con i 1300 mq di un viale che porta alla cavea e diventa una delle più belle passerelle al mondo. Il pubblico avrà a disposizione ben 8 sale (Sinopoli, Petrassi, Teatro Studio, Salacinema LOTTO, Salacinema 2, Auditorium MAXXI – Museo Nazionale delle Arti del XXI secolo, cinema Multisala Barberini, Casa Alice) e un ulteriore complesso di oltre 6000 mq, situato accanto all'Auditorium, il Villaggio del Cinema. Sarà coinvolta anche Via Veneto, strada/simbolo del cinema italiano che ospiterà il Mercato Internazionale del Film (Hotel Bernini Bristol, Auditorium di via Veneto e cinema Multisala Barberini).

La Selezione Ufficiale del Festival è formata da un Concorso internazionale, un Fuori Concorso che ospita proiezioni di gala del 2012, la linea di concorso CinemaXXI, dedicata alle nuove correnti del cinema mondiale senza distinzione di genere e durata, e Prospettive Italia che intende fare il punto sulle nuove linee di tendenza del cinema italiano. Sezione autonoma e parallela, Alice nella città dedicata ai film per ragazzi.
La settima edizione del Festival si tiene con l’Adesione del Presidente della Repubblica ed è prodotta dalla Fondazione Cinema per Roma. Paolo Ferrari è il Presidente della Fondazione, Lamberto Mancini il direttore generale. Marco Müller è il direttore artistico del Festival.
Ad aprire e chiudere il Festival l'attrice romana, Claudia Pandolfi.

I Film del Festival, dalla Selezione Ufficiale, in concorso:

  • A GLIMPSE INSIDE THE MIND OF CHARLES SWAN III di Roman Coppola, Stati Uniti, 2012, 86’
  • Cast: Charlie Sheen, Bill Murray, Jason Schwartzman, Katheryn Winnick, Patricia Arquette
    Opera seconda
  • AKU NO KYÔTEN / LESSON OF THE EVIL di Takashi Miike, Giappone, 2012, 129’
    Cast: Hideaki Ito, Fumi Nikaido, Shota Sometani, Kento Hayashi, Kodai Asaka, Erina Mizuno
  • ALÌ HA GLI OCCHI AZZURRI di Claudio Giovannesi, Italia, 2012, 100’
    Cast: Nader Sarhan, Stefano Rabatti, Brigitte Apruzzesi, Marian Valenti Adrian
    Opera seconda
  • E LA CHIAMANO ESTATE di Paolo Franchi, Italia, 2012, 89’
    Cast: Isabella Ferrari, Jean-Marc Barr, Luca Argentero, Filippo Nigro, Eva Riccobono, Anita Kravos
  • IXJANA di Józef Skolimowski, Michał Skolimowski, Polonia, 2012, 98’
    Cast: Sambor Czarnota, Borys Szyc, Magdalena Boczarska, Ewa Hornich, Łukasz Simlat
    Opera seconda
  • MAI MORIRE di Enrique Rivero, Messico, 2012, 84’
    Cast: Margarita Saldaña, Amalia Salas, Juan Chirinos
    Opera seconda
  • MAIN DANS LA MAIN / HAND IN HAND di Valérie Donzelli, Francia, 2012, 90’ 
    Cast: Valérie Lemercier, Jérémie Elkaïm, Valérie Donzelli, Béatrice De Staël
  • MARFA GIRL di Larry Clark, Stati Uniti, 2012, 106’
    Cast: Adam Mediano, Drake Burnette, Jeremy St. James, Mary Farley, Mercedes Maxwell, Indigo Rael
  • THE MOTEL LIFE di Gabriel Polsky, Alan Polsky, Stati Uniti, 2012, 95’ 
    Cast: Stephen Dorff, Emile Hirsch, Dakota Fanning, Kris Kristofferson
    Opera prima
  • NEBESNYE ŽENY LUGOVYKH MARI / SPOSE CELESTIALI DEI MARI DI PIANURA di Alexey Fedorchenko, Russia, 2012, 106’
    Cast: Julia Aug, Yana Esipovich, Vasiliy Domrachev, Daria Ekamasova, Olga Dobrina, Yana Troyanova, Olga Degtyarova, Alexandr Ivashkevich, Yana Sexte
  • UN ENFANT DE TOI / YOU, ME AND US di Jacques Doillon, Francia, 2012, 140’ 
    Cast: Lou Doillon, Samuel Benchetrit, Malik Zidi, Marilyne Fontaine
  • VEČNOE VOZVRAŠČENIE / ETERNO RITORNO di Kira Muratova, Ucraina, 2012, 114’
    Cast: Oleg Tabakov, Alla Demidova, Renata Litvinova, Sergey Makovetsky, Georgy Deliev
IL VOLTO DI UN'ALTRA di Pappi Corsicato, Italia, 2012, 83’
Cast: Laura Chiatti, Alessandro Preziosi, Lino Guanciale, Iaia Forte

Più due film-sorpresa

lunedì 22 ottobre 2012

Iron Man 3, preview del trailer e sinossi ufficiale


Sembra ormai andare alla grande la nuova moda americana del "quasi" trailer (preview, teaser trailer) ad anticipare quello ufficiale. Dunque, in attesa di vedere il "vero trailer" domani, martedì 23 ottobre, i numerosissimi fan di Tony Stark possono pregustarsi un assaggio di questi 17' del terzo capitolo diretto da Shane Black e scritto da Drew Pearce.

Iron Man 3 porta l’insolente ma brillante industriale Tony Stark / Iron Man a confrontarsi con un nemico la quale portata non conosce confini. Quando Stark trova il suo mondo personale distrutto dalle mani del suo nemico, intraprende una straziante missione per trovare i responsabili. Questo viaggio, in ogni momento, metterà alla prova il suo coraggio. Con le spalle al muro, Stark riesce a sopravvivere grazie ai suoi dispositivi, affidandosi al suo ingegno e ai suoi istinti per proteggere coloro che sono più vicini a lui. Lottando per tornare indietro, Stark scopre la risposta alla domanda che lo ha segretamente perseguitato: è l’uomo che fa l’armatura o è l’armatura che fa l’uomo?

Il film, che oltre ai due protagonisti principali Robert Downey Jr e Gwyneth Paltrow vede insieme Don Cheadle, Ben Kingsley, James Badge Dale, Guy Pearce, Rebecca Hall, Jon Favreau, Ashley Hamilton, Stephanie Szostak  sarà distribuito, negli USA, dalla Walt Disney Motion Pictures il 3 maggio 2013.


Fonte della news http://www.cineblog.it/

sabato 20 ottobre 2012

Gli scatti di Kubrick al Bramante di Roma


Chissà cosa avrebbe regalato Stanley Kubrick con la sua grande passione per la fotografia, se non avesse mai intrapreso la strada verso il cinema. E' una domanda che molto spesso mi sono posta e, credo la maggior parte di voi lo abbia pensato, almeno una volta. La prima fotografia per così dire "ufficiale" di Kubrick risale al 26 giugno1945, lo scatto ritrae un edicolante distrutto per la morte di Roosevelt. Fu così, grazie a questa fotografia, che un Kubrick ancora giovanissimo (aveva solo 17 anni), venne contattato dagli editor di Look Magazine, una delle più note riviste in America, i quali gli proposero di entrare a far parte della rivista come fotoreporter.
Il regista è riuscito, con stile inconfondibile, a immortalare l'America nelle sue abitudini, nella sua quotidianità ,negli anni del Dopoguerra.


Gli amici romani probabilmente già saranno a conoscenza dell'iniziativa che porta al Chiostro del Bramante le 160 fotografie di Kubrick scattate negli anni 1945-1950. Queste, ritraggono le Star di Hollywood immortalate nei loro gesti più comuni, nelle loro abitudini, ben lontani dagli occhi indiscreti dei riflettori. Il campione di pugilato Rocky Graziano sotto la doccia, Montgomery Clift nel suo appartamento, e le immagini di una America in corsa per affermarsi nuova capitale del mondo o della giovane borghesia universitaria della Columbia University.


Uno dei più grandi maestri del cinema a livello mondiale, bastano un paio di titoli a confermarlo: Arancia Meccanica, 2001: Odissea nello spazio, Shining, riesce oggi, a distanza di 13 anni dalla sua morte, ad affascinare il pubblico con la sua sorprendente "seconda vita" da fotografo.


C'è tempo fino al 25 novembre 2012 per ammirare dal vivo gli scatti di un regista straordinario, la sua incredibile voglia di raccontare il mondo attraverso le immagini, fisse prima, in movimento dopo. Era il 1953, l'anno del primo lungometraggio del regista Paura e desiderio. Così Kubrick avrebbe detto addio alla fotografia per dare allo spettatore di ieri e di oggi capolavori indiscussi destinati a riempire le pagine dei manuali di storia del cinema.



Il progetto espositivo è prodotto dal Chiostro del Bramante con GAmmGiunti, con il patrocinio dell’ Assessorato alle Politiche culturali e Centro storico di Roma Capitale, e realizzato grazie alla collaborazione con il Museum of the City of New York e con i Musées Royaux Des Beaux-Arts de Belgique.

venerdì 19 ottobre 2012

Poker Generation, un film finito nella fossa dei "preconcetti"



Sullo sfondo di un paesino siciliano c'è la famiglia di Tony e Filo. Un padre fallito, senza lavoro, con il vizio del gioco e della bottiglia in mano, una madre forte e coraggiosa e Maria, la più piccola della casa. La bambina è malata e la sua vita sembra ormai essere appesa a un "filo". Quando la notizia delle condizioni critiche della sorellina arriva ai fratelli, questi, decidono di partire per Milano, e puntare tutto su un tavolo da Poker.

Il film, lungometraggio esordio per il regista padovano Gianluca Mingotto, è ispirato a una storia vera, quella del noto player italiano Filippo Candio. Filo, interpretato da Piero Cardano, è infatti diminutivo di Filippo e, come il reale protagonista anche egli viene da un'isola italiana, Candio però è sardo mentre il film è ambientato in Sicilia. Al contrario del reale Filippo, il quale aveva l'appoggio della famiglia, Filo e Tony non avranno il benestare di "mamma e papà", Lina Sastri e Francesco Pannofino
La prima idea che ci si fa, complice inevitabile il titolo stesso del film, è quella di immaginare uno sport, disciplina, gioco (a voi la miglior definizione), come un fenomeno di massa. Ma, prima di addentrarci in questa delicata, a mio avviso, questione, cerchiamo di capire meglio la storia di Poker Generation, un film scaraventato nel vortice delle polemiche ancor prima di venire alla luce, fino a vietarne la visione al cinema. L'uscita nelle sale è datata 13 aprile 2012, distribuito dalla Iris Film nei circuiti multisala UCI e THE SPACE, ovvero, i due maggiori network che detengono più del 50% del mercato dei multiplex. Il polverone si alza esattamente qui. Il senatore Raffaele Lauro (membro della commissione Antimafia) si interroga sul fatto che il film possa, o meno, esser considerato come "promozione del gioco d'azzardo". Presentando la stessa al premier Monti, Lauro vuole andare in fondo alla faccenda, per capire se Poker Generation sia figlio legittimo della libertà artistica oppure, opera pubblicitaria propaganda del gioco d'azzardo. Crea suggestioni e getta ulteriore legna nel braciere il fatto che il produttore del film Fabrizio Crimi, sia proprietario di uno dei maggiori siti di poker on line. Questo però, non può e non deve condannare il film di Mingotto a una valutazione carica di pregiudizi, il che, per come la vedo io, risulta essere sempre la scelta peggiore. Andiamo per ordine e cerchiamo innanzitutto di capire Poker Generation per quel che è, non per i fatti parlamentari e burocratici di cui sinceramente, faccio volentieri a meno. Certo, questi arrivano per forza di cose a far discutere, dal momento che il film, oggi, è praticamente impossibile da recuperare ed è fuori da qualsiasi circuito di noleggio o vendita. 

Mingotto, giovane regista classe 1980 viene da una serie di videoclip musicali e spot pubblicitari. Oltre a questi un cortometraggio, documentari dedicati al Poker, una sit-com e la direzione della fotografia per altri corti. Poker Generation è sopra ogni altra cosa, la storia di due fratelli, l'uno l'opposto dell'altro, che si ritrovano sullo stesso tavolo da gioco in uno dei più prestigiosi tornei organizzati da Betpro.it, il Malta Poker Dream (evento celebrato proprio a poche settimane di distanza dalle riprese del film). Verrebbe da pensare, il fine giustifica i mezzi (giocare d'azzardo per salvare la sorella malata), ma a ben vedere non è affatto così. O meglio, è un discorso che non regge di fronte al film "imputato". Il gioco del Poker, l'azzardo, le cerchie composte da persone di un certo tipo, milioni di euro che girano tra i tavoli come fossero cartoline. Ma questo non può bastare a condannare un film la cui missione primaria è volta a "portare nelle case" degli italiani, almeno per quanti ancora non l'abbiano già fatto, il gioco del Poker come una disciplina sportiva che richiede ingegno, studio, carattere e un buon controllo dell'emotività. Chi scrive è lontana anni luce dalle dinamiche e dalla "filosofia del gioco", questo ci tengo a sottolinearlo. Ma non credo sia fondamentale al fine di una valutazione globale sul film. 

Dico questo perché Poker Generation punta tutto quel che ha sulla possibilità di essere una volta per tutte "esorcizzato" dal luogo comune che lo vede condannato nelle bische fumose e piene di alcol, dove niente è lecito eticamente e legalmente. Mingotto, nella sua ancora (evidente) acerba regia, scivola a tratti lasciando andare un po' la mano, soprattutto nel voler "appesantire" troppo il messaggio rivolto allo spettatore, mi viene in mente la sequenza della partita di poker seguita alla tv come fosse una partita di calcio o un incontro di boxe. Come si carica sulla caratterizzazione dei personaggi, Filo, ragazzo introverso genio semi-autistico ispirato teneramente al Raymond Babbitt (Dustin Hoffman) di Levinson. Tony invece, fanatico dei mafia movie, cerca "disperatamente" di somigliare ai "picciotti" per eccellenza, il più egocentrico dei fratelli quello che come apre bocca combina guai. Ed è inevitabile che lo spettatore si chieda: ma è davvero necessario che il povero Andrea Montovoli si cimenti in quella espressione fissa del siciliano circospetto col sopracciglio alzato? Siamo distanti anni luce da un Rounders (1998) di John Dahl che vede insieme Edward Norton e Matt Damon o dal più recente Le regole del gioco (2007) di Curtis Hanson, con Eric Bana, Drew Barrymore e Robert Duvall. Resta il fatto, che nei suoi 96', Poker Generation non manca occasione per sollevare temi importanti, come mettere a fuoco i contrasti tra il Nord e il Sud, oppure le famiglie rovinate a causa del gioco d'azzardo. 


Al di là della "défiance" nei confronti di una prima regia, che trova conferma in un microfono finito nel quadro o in un montaggio scattoso, forzato, rimane (e vince) la forte perplessità sulle motivazioni che abbiano spinto Poker Generation giù nel precipizio, fino a vietarlo non solo ai minori, come era stato chiesto inizialmente, ma addirittura bandirlo dai circuiti di noleggio e vendita. Io non gioco a Poker e non riuscirei nemmeno a tenere due chip in mano, però ho voglia di credere nelle intenzioni più intime di questo film, al fine di liberarmi da preconcetti o giudizi bigotti.

"Poker Generation si ispira a una storia vera, vuole dare voce a una comunità pulita di milioni di persone che ogni giorno si divertono anche con un solo euro nel nome di una disciplina sportiva paragonabile al calcio o a qualsiasi altra forma agonistica, diversa da quello stereotipo di poker da bisca ovvero quel gioco d’azzardo o altre forme compulsive che generano ludopatia. A conferma dell’assoluta buona fede del film destinato a una visione "per tutti", vi è la circostanza che la pellicola ha superato l’esame della commissione censura, di cui fanno parte anche le rappresentanze dell’associazione dei genitori, che nulla ha rilevato a proposito".
(La produzione)


mercoledì 17 ottobre 2012

Herzog presenta a Torino la miniserie sulla pena di morte "Death Row"


Ancora protagonista la città di Torino tra le news di oggi. Voglio infatti segnalarvi la serata di ieri, 16 ottobre, al Museo Nazionale del Cinema con Werner Herzog. In attesa della 30° edizione del Torino Film Festival il regista tedesco ha presentato la miniserie televisiva sulla pena di morte Death Row, girata per il canale Investigation Discovery (per gli amici torinesi ricordo la replica prevista per lunedì 22 ottobre, alle ore 16.30). Questa serie di quattro puntate, da 52' ciascuna, propone al pubblico le riflessioni di un uomo europeo di fronte al sistema giudiziario statunitense. I quattro episodi raccontano la vita dei detenuti nel braccio della morte e hanno in qualche modo l'obiettivo di far riflettere lo spettatore sull'umanità di questi assassini (o presunti tali).
Herzog ha incontrato i detenuti nel braccio, ha parlato con gli uomini e le donne destinati alla pena capitale. Utilizza inoltre i filmati realizzati dalla polizia sulle scene del crimine, estratti di servizi tv , fotografie e materiale di diverso tipo.

"Uno Stato non dovrebbe permettere - in nessuna circostanza - l'esecuzione di nessuno per nessuna ragione. Come ospite degli Stati Uniti, essendo io tedesco, sono rispettosamente in disaccordo con la pratica della pena capitale. Sono l'ultimo a dover dire agli americani come gestire la loro giustizia criminale" ha dichiarato il regista.


Il documentario racconta la storia di queste cinque persone condannate all'iniezione letale negli USA. C'è James Barnes, condannato per l'omicidio della moglie e per aver confessato un precedente, con violenza sessuale. C'è Hank Skinner, un uomo che si dichiara innocente e che, Herzog, ha accompagnato quasi fino all'esecuzione, per il presunto omicidio della ragazza e dei suoi due bambini. Joseph Garcia e George Rivas, fuggiti da un prigione texana per poi esser catturati di nuovo e condannati a morte per l'uccisione di un agente. Per finire Linda Carty, una donna di colore accusata di aver fatto uccidere la madre di un neonato per appropriarsi del piccolo.

Interessanti le parole del regista, il quale dichiara di aver pensato questa serie proprio per un pubblico femminile, vediamo perché: "Ho girato questo film e soprattutto il primo episodio per le donne: le Crime Series americane sono seguite da un pubblico composto al 70% da donne - lo si capisce dal tipo di pubblicità presente tra i vari blocchi - e questo mi ha incuriosito perché dovrebbero essere proprio loro le prime a temere uomini come James Barnes... Io ho voluto mostrare al mio audience la reale brutalità di questo uomo, ma al tempo stesso tranquillizzarle: ora è in prigione e non farà più male a nessuno''. 


La prima giornata alla View Conference di Torino


Come avevo accennato poche settimane fa, CriticissimaMente seguirà, da lontano (purtroppo) gli eventi che si terranno dal 16 al 19 di ottobre presso la tredicesima edizione della View Conference a Torino. Ieri dunque, martedì 16 ottobre è partita la conferenza tra una serie di incontri importanti, grandi registi e anteprime mondiali davvero "appetitose". Per i fortunati presenti vengono infatti proiettati i primi venti minuti del lungometraggio d'animazione, fatto di mostri in 3D, Hotel Transylvania, presentati dal regista della Sony Picture Animation, Genndy Tartakovsky (già autore della serie animata Il laboratorio di Dexter e Star Wars: clone wars).


Presenti alla conferenza il regista della spassosa trilogia Madagascar, Eric Darnell, il quale ha fatto rivivere al pubblico il dietro le quinte dell'ultimo episodio della serie. Accanto a Darnell una buona lezione sui media digitali tenuta dal primo consigliere della Dream Works e Premio Oscar Glenn Entis. Presenti anche Chris Perry, ex direttore tecnico Pixar, e il direttore della fotografia Tristan Oliver, specialista dello stop-motion e curatore delle luci in Galline in fuga, Wallace & Gromit e Paranorman (ora nelle sale). 

A chiudere la prima giornata della View Conference, Josh Holmes, direttore creativo di Halo 4,  con la sua anteprima mondiale dell'ultimo capitolo del gioco/saga epica per Xbox.


lunedì 15 ottobre 2012

C'era una volta in America torna al cinema con 26 minuti inediti


Avete capito bene, il capolavoro senza tempo di Sergio Leone torna nelle sale italiane grazie alla distribuzione di QMI e The Space Extra a partire dal 18 di ottobre. Il restauro di C'era una volta in America, finanziato da Gucci e The Film Foundation di Martin Scorsese, è stato realizzato dalla Cineteca di Bologna al laboratorio L’Immagine Ritrovata in collaborazione con Andrea Leone Film e Regency Enterprises.

Universalmente riconosciuto come uno dei cento migliori film di tutti i tempi, C'era una volta in America torna oggi al cinema arricchito da 26' inediti, già presenti nel montaggio "primo" effettuato dallo stesso regista. Questa versione restaurata, ricordiamolo, è stata presentata al 65° Festival di Cannes e, per l'occasione, il cast del film si è visto di nuovo insieme dopo quasi trent'anni, Robert De Niro, James Woods, Jennifer Connelly e Elisabeth McGovern. Ovviamente, non poteva mancare il Maestro Ennio Morricone, accolto da una più che doverosa ovazione da parte dei presenti.


Nella versione di oggi ritroviamo sei blocchi di scene tagliate: il dialogo tra Noodles (Robert De Niro) e la direttrice del cimitero Louise Fletcher, la scena in cui Deborah (Elizabeth McGovern) interpreta Cleopatra in teatro; la sequenza muta che vede l’auto con Noodles e Max (James Woods) affondare, il produttore del film Arnon Milchan nei panni dello chauffeur che dialoga con Noodles; la sequenza dell'amore a pagamento tra Noodles e Eve (Darlenne Fluegel) e il colloquio nel suo studio privato con il sindacalista.

C'è da dire che tra le più assurde iniziative che il nostro paese propone ultimamente (anticipi, posticipi, l'addio al venerdì "capostipite" del week end cinematografico etc.), questa, è senza ombra di dubbio, la più comprensibile, la sola forse, che mette tutti "cinematograficamente" (e non solo) d'accordo. 

Non perdiamo questa occasione, torniamo in sala per rivivere davanti a quel grande schermo l'emozione di un capolavoro che, come direbbe Noodles, "nemmeno il tempo può scalfire"...




sabato 13 ottobre 2012

Una moglie per papà. (Corrina Corrina)

Molly è una bambina che troppo presto ha dovuto affrontare il dolore per la perdita della madre. Il rapporto con il padre diventa sempre più complicato, la bambina si rifiuta di parlare chiudendosi in sé stessa. Poi però, qualcosa inizia a cambiare, poi, arriva "Corrina"...

Jessie Nelson esordisce nel 1994 con questa commedia sottile, dai toni drammatici e dalle sfumature più sensibili, raccontando una storia che si pone allo spettatore come chiaro messaggio di un mondo che vuole staccarsi dai pregiudizi e dalle discriminazioni. E lo fa puntando tutto sulla figura straordinaria di questa donna di colore, Corrina, che si guadagna da vivere facendo la domestica. Povera, ma padrona di una cultura e di una innata sensibilità che la porteranno a capire e ad aiutare la piccola Molly/ Tina Majorino come nessun altro avrebbe saputo fare. Arriva in casa di Manny Singer/ Ray Liotta nelle vesti della nuova governante, ma il ruolo della donna, una straordinaria e posata Whoopi Goldberg, avrà un bel più ampio spessore, fino a divenire "fondamentale" per il bene della famiglia. Corrina aiuterà Molly nel delicato percorso volto al recupero della serenità, comprendendo le sue difficoltà nel ritorno alla vita quotidiana, appoggiandola nel marinare la scuola anche all'insaputa del padre, portandola con sé al lavoro e nella casa in cui vive, con la sorella e i suoi tre nipoti. La bambina ritroverà in questo modo la voglia di sorridere, instaurando con Corrina un legame profondo, tanto da desiderare che il papà possa, prima o poi, sposarla. Credo che la Woldberg sia una di quelle attrici che, qualunque cosa le venga chiesto di fare, lei, non solo la fa, ma la rende incredibilmente straordinaria e unica. Certo sarebbe sbagliato accostare Corrina alla Whoopi che ci ha fatto piangere ed emozionare nel capolavoro epistolare diretto da Spielberg nel 1985, Il colore viola. Il film di Spielberg, tratto dal romanzo di Alice Walker, andava a scavare le brutture derivate dal razzismo e le lotte per l'emancipazione che animarono il periodo che va dai primi del 1900 fino al 1937, mettendo al centro del film l'amore di due sorelle di colore.


Il film di Nelson, che ricordiamo essere anche il "papà" di Mi chiamo Sam,  non ha certo le stesse "pretese", è più modesto e pondera bene la sua ragion d'essere concentrandosi di più sulla situazione emotiva e psicologica della bambina rimasta orfana di madre e di un marito, un uomo solo, alle prese con tutto ciò che, tragicamente, ne deriva. Ed ecco che si guarda Una moglie per papà con uno spirito e un occhio completamente differente. Almeno, io personalmente vidi questo film la prima volta quando avevo nove anni ed era inevitabile che Corrina mi conquistasse. Ma, quel che più di ogni altra cosa mi ha conquistata è stato il mettere a nudo il più primordiale dei bisogni dell'essere umano, avere qualcuno accanto. Forse oggi vedo le cose con occhio più "critico", e allora è normale che non mi sfuggano quei microfoni nel quadro che lasciano certo un po' perplessi. Il fatto è che nonostante questo, ancora oggi, quando ripenso a "Corrina Corrina", l'immagine che mi arriva diretta alla mente e al cuore non è quella di un microfono finito per sbaglio nel quadro, quanto quella di una bambina accanto alla nonna sulle scale, davanti casa, insieme, ad intonare una canzone..."This little light of mine"


martedì 9 ottobre 2012

Killer Joe



Chris Smith è un giovane spacciatore di mezza tacca nei guai fino al collo. La madre gli sottrae la merce da sotto il naso e non ha molte alternative se non quella di trovare al più presto 6.000 dollari. Ecco allora entrare in scena Killer Joe, l'uomo ingaggiato da Chris e dal padre/ex marito Ansel, per uccidere la donna e incassare i soldi della polizza sulla vita. 50.000 dollari avrebbero davvero risolto i problemi a tutta la famiglia. Le cose però, non andranno esattamente come previsto dal piano del "povero" Chris...

Joe Cooper è lo sceriffo del dipartimento di polizia di Dallas che, per "arrotondare", fa il killer a pagamento. E' un uomo metodico, dai modi piuttosto galanti, tipici del gentiluomo terribilmente affascinante che viene dal Sud. Non alza mai la voce, nemmeno una volta. Killer Joe sembra raccontarsi allo spettatore a poco a poco e in maniera del tutto imprevedibile, fuorviante. Guardiamo il film e non sappiamo mai in quale direzione si sta andando, se verso la commedia, la tragedia, se verso il lieto fine o l'epilogo più tragico. William Friedkin,  possiamo crederlo e affermarlo senza il rischio di venir contraddetti, gioca molto su questo aspetto, e da grande regista quale è, si diverte a seguire passo passo le evoluzioni/involuzioni dei personaggi a suon di piani sequenza, immortalando gli stati d'animo e le crisi psicofisiche degli stessi. Servendosi di un cast straordinario, il regista statunitense, quello che nel 1971 con Il braccio violento della legge, prende il "poliziesco" e ne fa un capolavoro d'arte cinematografica (vincendo ben 5 statuette), compie il miracolo che nessuno avrebbe mai immaginato. Assistere alla metamorfosi totale di un attore destinato a rimanere nei margini della commediola americana. Perché, parliamoci chiaro, Matthew McConaughey, con quella faccia pulita, pettorali da urlo e il visetto da bravo ragazzo che ogni mamma vorrebbe vedere accanto alla figlia, dove lo vuoi trovare? Che so, Prima o poi mi sposo, oppure A casa con i suoi, o Tutti pazzi per l'oro, questo era McConaughey, "era".

Ebbene si, Matthew McConaughey/Killer Joe

Dimenticatevi di lui...sarà solo un tenero ricordo che in un lampo getterete via. Perché non resisterete al fascino del sociopatico quieto e folle che toglie vite su commissione ma non resta indifferente all'innocenza e al fascino di una giovane condannata ad essere la vittima di una famiglia sconvolta e disastrata. Al contrario. Sente che deve salvarla. E' così che Joe si innamora di Dottie (Juno Temple), la sorella di Chris. La caparra che il padre e il fratello hanno "gentilmente" concesso a Joe in attesa di saldare i conti. Anche il personaggio di Dottie è complesso, si rivela lentamente e in particolar modo quando è accanto a Joe. 

Juno Temple/Dottie Smith

Al di là del curriculum di Friedkin, ricordiamo tra gli altri titoli, L'Esorcista (1973), Vivere o morire a Los Angeles (1985), The Hunted - La preda (2003), va il merito a questo regista anche per un adattamento non facile come quello di una pièce teatrale del Premio Pulitzer Tracy Letts. Così come va riconosciuto il doveroso merito a degli attori impeccabili a partire da Hemile Hirsch/Chris, Juno Temple/Dottie, Thomas Haden Church/Hansel Smith e Gina Gershon/Sharla Smith. Senza dover ribadire ancora una volta l'imprevedibile e "straordinario" McConaughey. Anche se, complice il mio debole per Hirsch, c'è da dire che Chris Smith è un personaggio fantastico, o meglio, è forse il più orribile perché a ben vedere l'idea di ingaggiare Joe è stata sua, così come non ha esitato neanche un istante a consegnare la sorella/oggetto di prostituzione a uno sconosciuto come caparra. Ed è straordinario come Friedkin abbia curato questo "curioso" aspetto di Chris (fate attenzione al cane, non dico di più...). E nonostante questo vi sto dicendo che è fantastico. Ma, come dire, al pubblico piace da morire il perdente e sfigato a vita che quel che tocca "sfascia", non è così? 
Hemile Hirsch/Chris Smith

In questa Cenerentola dei giorni nostri, dunque terrificante e senza alcun ballo al castello, si svela la reale natura dell'essere umano. Killer Joe, nel suo essere un pezzo di Noir in pieno stile Pulp che tanto farà impazzire i "tarantiniani d'oc", risulta essere un tragico ritratto di una società mossa da esseri riprovevoli. Così come i personaggi diretti da Friedkin, gli uomini si muovono cercando disperatamente il controllo delle proprie vite, "senza riuscirci". 

sabato 6 ottobre 2012

THE PATH - no way out. Il primo cortometraggio della BLACKDUCK movies


Ho avuto il piacere, e la fortuna, di vedere pochi giorni fa THE PATH - no way out, il primo cortometraggio della BLACKDUCK movies, diretto da Marco Lamanna. La BDm è una casa cinematografica indipendente fondata nel 2012 specializzata nella realizzazione di cortometraggi, film, serie e web series. Lo stile della BDm richiama i film di exploitation della tradizione americana e il cinema di genere italiano degli anni Settanta e Ottanta, spaziando tra horror, action-movies, fantasy e sci-fi, alla ricerca di un originale equilibrio tra mainstream e cinema d’autore, e di una riabilitazione nella cinematografia italiana di generi considerati di serie B e minori.

THE PATH è un lavoro dai toni sperimentali che attraversa generi cinematografici differenti, tra il thriller, l'horror e la videoarte, con una forte componente surreale e visionaria.
Il corto è una sorta di viaggio allucinato per la protagonista, ma anche per il pubblico, attraverso sensazioni discordanti che porteranno a poco a poco alla consapevolezza di una tragica fine. Un lavoro che non ricalca le logiche tradizionali dello sviluppo del cortometraggio, ma va alla ricerca di una esasperata tensione passiva.

Durante i suoi 9', il corto esordio di Marco Lamanna, convince e lascia immaginare che, per il giovane autore, questa "strada" a tratti verosimile, altri surreale, possa davvero portare lontano. I motivi che portano a un pensiero positivo e a uno sguardo così "lungimirante" già si manifestano durante i primi 2', nei quali si ha la sensazione di assistere alla intro di un film dei Manetti Bros. E sappiamo bene, come i due giovani cineasti italiani, si stiano aprendo la strada nell'horror made in Italy con un carattere e uno stile del tutto originale. Come pure la scelta di un thriller che molto "stuzzica" quelle sensazioni allucinate e fisiche, le stesse che, portano inevitabilmente a pensare alle suggestioni visive evocate dai film di Fincher
Ma, come dire, vedere per credere no? Vi invito a dedicare questi 9 minuti al corto della BDm e,magari, a lasciare qui sotto un vostro commento...



Biografia del regista Marco Lamanna

Vive e lavora a Milano.Si laurea nel 2004 in storia dell'arte, cattedra di museologia, presso l'Università degli Studi, dove ha modo di approfondire l'aspetto teorico dei diversi linguaggi della comunicazione visuale, dall'arte tradizionale, alla fotografia, al cinema e, in particolare, il rapporto tra le opere d'arte e il pubblico.Successivamente inizia a lavorare come videomaker freelance realizzando spot, videoclip musicali, lavori pubblicitari.
Parallelamente si dedica a sperimentazioni visive nel campo della videoarte, partecipando a mostre ed eventi in Italia e internazionali.
Nel 2012 fonda la Blackduck Movies, casa di produzione indipendente orientata verso il cinema di genere.
THE PATH – no way out è il primo cortometraggio autoprodotto da Blackduck movies

P.S. In bocca al lupo ragazzi!!!






venerdì 5 ottobre 2012

Bambini, all'Explora di Roma arrivano gli zombie!!!


Una bellissima iniziativa del Museo dei bambini di Roma, Explora. In attesa dell'uscita del film Paranorman, in Italia prevista per l'11 di ottobre, quale miglior programma per il week end se non questo? Sabato 7 e domenica 8 all'Explora in Via Flaminia 80/86,  i bambini potranno conoscere Norman e il mondo degli zombie che fa da sfondo al secondo film d'animazione in 3D, dopo Coraline e la porta magica, diretto da Sam Felle e Chris Butler. Ecco la locandina con tutte le info necessarie per non mancare a questo evento a misura di bambino (e non...)


Fonte della news: http://www.40secondi.com/

Icontroversy: lo shortmovie girato con un iPhone per dire BASTA alle discriminazioni


Oggi voglio parlarvi di Antonio Prisco, un giovane graphic designer per la moda e regista sperimentale. Antonio ha realizzato un corto, uno shortmovie/denuncia rivolto a un mondo che sempre più tragicamente annega nei pregiudizi, nelle discriminazioni e sempre meno è pronto a rapportarsi con "l'altro". Dando per scontato che "l'altro" non sia mai egli stesso...
Il giovane regista napoletano affronta con la stessa determinazione di un regista "maturo", tematiche forti, impregnandole di immagini che nel loro susseguirsi portano lo spettatore a scontrarsi con la realtà omofoba e ottusa, la stessa che troppe volte sfocia poi nella violenza e nelle barbarie di chi non è mai pronto ad accettare qualcosa di "non omologato". Protagonista del "piccolo" film è Lia Zeta, transgender che appare come la trasfigurazione di Gesù Cristo inchiodata al confine tra dea/santa e vittima da crocifiggere. Tra croci e passi del vangelo e fotogrammi rapidi sul volto ecclesiastico per eccellenza, Ratzinger, il messaggio pieno di rabbia di Antonio Prisco arriva e si prepara a raggiungere il nostro paese, puntando molto sulla diffusione tra i giovani e destinato a stuzzicare il destinatario "ideale".

Il film sarà in concorso nei Festival di cinema internazionali da novembre,
nell'attesa di sapere il riscontro che ha avuto l'anteprima italiana de Icontroversy facciamo ad Antonio il nostro caldissimo in bocca al lupo...

"Il mio piccolo film nasce dal desiderio di esprimere un punto di vista sul clima di ostilità nei confronti delle minoranze in un momento storico difficile per l’Italia. Leggo dovunque commenti imbarazzanti sulle priorità del paese e che dovremmo preoccuparci di sfamare le famiglie piuttosto che fare leggi contro l’omofobia o per il rispetto delle minoranze. Questo genere di cose mi lasciano molto perplesso. Mi irrita l’idea di sentire cose del genere nel 2012. Così ho preso in mano un iphone, ho cominciato a dire la mia anche io. E’ nato tutto per un desiderio di libertà, di esprimere un’opinione, di dire che non sono d’accordo. Nel cortometraggio ci sono molti simboli religiosi. In realtà non è una critica alla Chiesa, voglio solo dare una visone di ciò che ho letto nella Bibbia alternativa".
(Antonio Prisco)


giovedì 4 ottobre 2012

Parliamo di Burton e del suo Frankenweenie



Frankenweenie fu la terza esperienza registica per Tim Burton, un film di 25 minuti girato in un magnifico bianco e nero a partire dal Frankenstein di James Whale del 1931 e dal sequel La moglie di Frankenstein 1935. Il soggetto era di Burton ma venne sceneggiato da Lenny Ripp. Prodotto da Julie Hickson con un budget di quasi un milione di dollari. Burton aveva venticinque anni. Siamo nel 1984.

Chi conosce Burton, e chi ha letto almeno un paio di libri che raccontano il regista di Burbank, sa che, dietro ogni suo lavoro c'è "un'idea", o molte di più. Parlando di Frankenweenie in principio vi erano: qualche disegno e qualche sensazione. Burton da quelle sensazioni e da quelle idee sarebbe poi andato molto più avanti, fino a un vero e proprio lungometraggio, cosa che purtroppo non avvenne, perché non gli vennero concessi giorni in più per le riprese necessarie a completare il film.

La storia
In Frankenweenie ritroviamo la storia classica di Mary Shelley ambientata però ai giorni nostri, in un quartiere di periferia. Qui, un ragazzino di dieci anni, Victor Frankenstein, cerca ingegnosamente di riportare in vita il fidatissimo compagno a quattro zampe Sparky, rimasto ucciso in un incidente stradale. All'inizio del film vediamo il super8 di Victor mostrato ai genitori e intitolato "Monsters from Long Ago", in cui Sparky/mostro preistorico viene attaccato da una strana creatura. Dopo esser stato rianimato, ecco di nuovo Sparky girare con addosso punti e cicatrici e con due bulloni al collo.
Molti si saranno chiesti, bene, e l'idea di base?
Le idee di Burton
L'idea di base è questa: hai un cane che ami e vuoi che rimanga in vita. Burton parte da questo. Ed è incredibile sapere che, nonostante molte delle scelte fatte in fase di scenografia portino a credere che vi siano chiari riferimenti al Frankenstein di Whale, nell'immaginare il suo Frankenweenie, Burton altro non fa che ispirarsi al quartiere in cui è cresciuto. Ad esempio la barboncina che ricorda terribilmente la pettinatura di Elsa Lanchester ne La moglie di Frankenstein, in realtà nasce dai suoi ricordi nel Burbank. C'erano i minigolf con tanto di mulini in miniatura proprio come nel film di Frankenstein e c'erano tanti barboncini che se ne andavano in giro conciati esattamente in quel modo.
Elsa Lanchester nel film La moglie di Frankenstein
Burton e la sua prima volta con attori professionisti
Per la prima volta Burton si trova a lavorare con attori professionisti, ricordiamo Shelley Duvall Daniel Stern (i genitori) e il regista Paul Bartel nel ruolo dell'insegnante. Nonostante fosse la prima volta il risultato fu incredibile, con interpretazioni delicate e sensibili, in particolar modo il Victor di Barret Oliver.

Frankenweenie (così come Vincent), nasce dal bagaglio emotivo e più personale del regista, eppure egli affida a un altro la sceneggiatura del film. Perché?
"Penso che sia più facile e divertente chiedere a un altro di scrivere. E a volte mi serve anche a capire meglio le cose. Finché mi capiscono e capiscono quel che provo va tutto bene. Anzi, magari finiscono col metterci qualcosa di diverso, di personale. E' meglio così. Serve ad allargare gli orizzonti".
(T.Burton)
La barboncina, il vero amore di Sparky

In un periodo in cui la Disney stava assistendo a importanti cambiamenti e all'entrata in scena di grandi dirigenti, Frankenweenie, quel piccolo gioiellino racchiuso in 25', venne messo in archivio. E le perplessità, le frustrazioni di Burton non vennero mai a capo. Come accadde per Vincent, il film era splendido, dicevano, ma non avrebbero mai distribuito un film etichettato come PG ovvero Parental Guidance (per minori accompagnati dai genitori). Questo fu un grosso problema per la Disney, considerando che Frankenweenie avrebbe dovuto essere proiettato insieme alla riedizione di Pinocchio e, capite bene che non si può certo distribuire un film PG con uno G (General Audiences, cioè per tutti), cioè Pinocchio. (Le logiche distorte della Disney...)

Tim Burton aveva "TROPPO" a cuore il suo Frankenweenie, così, non soddisfatto delle risposte date da quelli della Disney si rivolse a quelli dell'MPAA (Motion Pictures Association of America, che stabilisce i divieti). Ora, il mio desiderio è lasciarvi con la risposta che diedero quelli dell'MPAA a Burton e lo faccio per una unica e semplice ragione: che non mi si venga più a dire che Burton ricorra all'Arte del riciclo perché ha esaurito le sue idee...

Burton: Cosa devo fare per ottenere una G?
Quelli dell'MPAA: non c'è niente da tagliare. Più che altro è l'atmosfera.
(Io: ahahahah...)


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