giovedì 31 maggio 2012

Grudge Match: Stallone e De Niro di nuovo sul ring.



Ormai è ufficiale la notizia che vede gli “ex-pugili” insieme in Grudge Match, ultima commedia del regista di “Agente Smart”,Peter Segal. A salire di nuovo sul ring infatti due delle più grandi icone cinematografiche del mondo del pugilato, Sylvester Stallone (Rocky Balboa) e Robert De Niro (Jack La Motta). 

Le riprese del film, prodotto dalla Warner Bros,  inizieranno il prossimo anno. La stesura del soggetto è stata affidata a Doug Ellin, autore della serie tv “Entourage”. Un’ennesima sfida che vede stavolta l’uno contro l’altro due vecchie glorie della boxe: Stallone italiano vs Toro Scatenato. 
I due attori che sembrano non resistere al fascino dei guantoni, sono entrambi impegnati in altri progetti, Stallone tornerà ne “I Mercenari 2” e in “The Tomb” insieme a Schwarzenegger. De Niro dal canto suo ha già firmato per la commedia “Last Vegas”, “Malavita” di Luc Besson e “The Comedian” di Sean Penn.

(Della serie: “Nonni” alla riscossa…)

mercoledì 30 maggio 2012

Google Art Project: l’Arte a portata di “click”.





Quante volte ci siamo chiesti se tutta una vita possa mai bastare per ammirare le opere d’arte più belle e importanti  del mondo? Beh, io me lo sono chiesta tante volte. Eppure, ho da poco scoperto che circa un anno fa Google ha realizzato un progetto in collaborazione con l’azienda di Mountain View e alcuni fra i più prestigiosi musei al mondo. Avete mai sentito parlare di Google Art Project?

L’intento del progetto è quello di permettere a chiunque di visitare ed esplorare “virtualmente” opere d’arte situate in varie parti del mondo, in formato digitale. Come? La tecnologia è la stessa di Street View, si clicca sullo schermo, si sceglie un museo e comincia il tour virtuale all’interno delle gallerie. Si può perfino scegliere un’opera d’arte nello specifico, e accedere a informazioni riguardo ad essa, all’autore o al museo che la custodisce. La modalità Artwork View consente di visualizzare le opere d'arte ad alta risoluzione (giga pixel), ingrandendone il livello di dettaglio. Il pannello laterale permette di scoprire ulteriori informazioni sul dipinto osservato e sull'autore del quadro, inoltre tramite questo menù si può passare direttamente a un'altra opera dell'artista, oppure si può guardare un video correlato su YouTube. Esiste inoltre una funzione chiamata Create an Artwork Collection, che permette di salvare le proprie inquadrature “personalizzate” creando una vera e propria (si fa per dire) collezione.

Ognuno dei musei coinvolti nell’iniziativa ha lavorato fianco a fianco allo staff di Google fornendo indicazioni sulle angolature per fotografare le opere, scegliendo quelle migliori, mettendo a disposizione le informazioni sulle stesse. Sappiamo benissimo che non può essere sostituito il godersi un’opera quando la si ha di fronte, poter coglierne l’essenza dal vivo. Però sapere che un semplice “click” possa portarci anche solo per un attimo così lontano, magari da un van Gogh o da un Botticelli… Insomma non si può certo nascondere che questa di Google Art Project ci sembra davvero una buona iniziativa.

Questi sono i Musei aderenti all’iniziativa:

Galleria degli Uffizi, Firenze – Italia

Alte Nationalgalerie, Berlino – Germania

Freer Gallery of Art Smithsonian, Washington DC - USA

The Frick Collection, New York City - USA

Gemäldegalerie, Berlino - Germania

The Metropolitan Museum of Art, New York City - USA

MoMA, The Museum of Modern Art, New York City - USA

Museo Reina Sofia, Madrid - Spagna

Museo Thyseen - Bornemisza, Madrid - Spagna

Museum Kampa, Praga - Repubblica Ceca

National Gallery, Londra – UK

Château de Versailles - Francia

Rijksmuseum, Amsterdam - Paesi Bassi

The State Hermitage Museum, San Pietroburgo - Russia

State Tretyakov Gallery, Mosca – Russia

Tate Britain, Londra – UK

Van Gogh Museum, Amsterdam – Paesi Bassi

Ultimo acquisto di Google Art Project, i Musei Capitolini.

Per i più curiosi e impazienti, questo il link per iniziare il vostro tour virtuale:

lunedì 28 maggio 2012

The Dark Knight Rises, Prometheus e ora Frankenweenie: Italia, basta posticipi!!!


Dopo la clamorosa decisione della 20th Century Fox di rinviare l’attesissimo Prometheus di Ridley Scott, arriva l’ennesimo incomprensibile posticipo. Ebbene, amici burtoniani, e non, il nostro Frankweenie slitta da ottobre a “gennaio 2013”. A rivelarlo Stefano Bethelen di Walt Disney sul Giornale dello Spettacolo. Vorremmo chiedere alla Walt Disney Pictures cosa ci sia di sensato in tutto ciò ma sappiamo già che la risposta non ci piacerà affatto. La storia di Victor e del suo fedelissimo amico Sparky, versione oggi stop motion e 3D dell’omonimo cortometraggio dello stesso Burton del 1984. Allora l’idea del regista non era quella di un corto. Anzi, era stato concepito un progetto per un lungometraggio animato in stop motion. Poi però a causa di ristrettezze di budget ne uscì un corto in live action. Non occorre sottolineare quali saranno le ripercussioni  sul pubblico italiano. Pensate che stanno provando a tenere a bada il nostro dissenso puntando sulla “strategica” mossa di anticipare al 20 luglio Abraham Lincoln: vampire hunter (Ci offrono il “contentino”?). E credono di alleviare la nostra rabbia solo perché a produrre il film di Timur Bekmambetov, sia proprio Tim Burton. Ma, non credo ci riusciranno…

(Perché?)

Prometheus che slitta dal già tardivo 14 settembre al 19 ottobre (in America esce l’8 giugno!!!), The Dark Knight Rises negli USA esce il 20 luglio, in Italia il “29 agosto”. Ultimo, sicuramente male minore, il sequel, G.I.Joe-La vendetta diretto da Jon Chu che slitta di ben 9 mesi,dall’iniziale 29 giugno a marzo 2013.
Tutto questo a noi non va.

E’ davvero così rischioso distribuire i film in contemporanea, almeno europea? 

Settimo piano,int.22: la drammatica cornice dell’Italia moderna


Ha debuttato il 17 maggio al Teatro Antigone di Roma, “Settimo piano, interno 22”, l’ultimo lavoro della regista e autrice teatrale Annalisa Rossi. In scena fino al 20 maggio, lo spettacolo ripercorre i fatti, drammatici e grotteschi, avvenuti in un appartamento elegante sfitto ormai da due anni. A introdurre la storia una piccola e misteriosa portinaia a un passo dalla pensione. Le vicende raccontate sembrano essere parallele a quelle del nostro paese. I vizi e i tic di un’Italia moderna alle prese con un drammatico confronto allo specchio. Sul palco Maria Stefania Pederzani, Sergio Mandato, Carmela Giannella, Tina Agrippino, Lino Pietroni, si calano nei panni di gente comune le cui vite si riconducono tragicamente a un destino già scritto. 

Fare la regia ad un proprio testo- spiega Annalisa rossi – insegna a capire quale sia la distanza tra scrittura e messinscena. Durante le prove mi sono trovata a scoprire sottotesti e significati nascosti e inaspettati, in un lavoro che io stessa avevo da poche settimane completato. Ed anche se era mia intenzione descrivere tre storie simili solo nell’epilogo finale, mi sono ritrovata a fare i conti con una comune visione dell’esistenza, del valore della vita, di uno sbigottimento di fronte al declino di noi italiani, intesi come somma di individui un tempo solidali e ingenui, poi ribelli e forse illusi, oggi immersi nella solitudine e nell’indifferenza reciproca. I ventidue anni che separano i racconti – conclude la scrittrice e regista –  sono in armonia con il 22 dell’interno da affittare: questo numero viene scelto come simbolo della morte, che danza con noi sempre, seppur con musiche costruite con armonie diverse. La morte è il nostro comune momento di verifica ed anche la chiave che, aprendo la porta di una nuova vita in un aldilà inconoscibile, chiude dietro di noi un’altra porta: quella di una esistenza nel mondo della materia, ormai risolta nei suoi molteplici e forse inutili perché.                                                                                                                       

Come la portinaia canticchierà nel finale… vita che finisce, vita che rinasce.

Annalisa Rossi è inoltre autrice di testi per adulti e bambini, insegnante di teatro e operatrice di teatroterapia (donne e minori a rischio, diversamente abili, stranieri) in associazioni di volontariato e cooperative sociali. E’ stata Presidente dell'Associazione Culturale Laboratorio Metropolitano fino al 2010. L’ ultimo lavoro portato in scena come attrice e regista, "La Cerimonia" di G. Manfridi al Teatro Agorà di Roma, a novembre 2010. A settembre 2011 è stato messo in scena il suo ultimo testo , L’isola stregata. Oggi Annalisa Rossi è Presidente dell’Associazione LiberLAB Onlus, e Direttore Artistico della compagnia LiberScena, entrambe impegnate nella diffusione del teatro come mezzo di integrazione, riabilitazione e riscatto sociale.



domenica 27 maggio 2012

Cannes 2012, Palma d’oro all’Amour di Haneke



Michael Haneke raddoppia con il suo Amour alla 65° volta del Festival di Cannes. Dopo il trionfo nel 2009 con Il nastro bianco, vince oggi il dramma del regista austriaco interpretato da Jean-Louis Trintignant (il quale tra l’altro festeggia il suo ritorno davanti alla macchina da presa)ed Emmanuelle Riva.

Sulla croisette finalmente anche l’Italia grazie al Reality di Matteo Garrone, a lui il Gran Premio della Giuria.

Il presidente della giuria Nanni Moretti , che non ha risparmiato le sue critiche al cinema Americano, ha concluso lasciando ai presenti queste dichiarazioni: “Mi sento molto bene perché ho otto nuovi amici. I festival devono sapere che, quando chiameranno uno di noi, arriveranno anche gli altri otto. Tutti andremo a Locarno, Venezia e perfino in Corea. Senza entrare nei dettagli, nessun premio è stato dato all’unanimità. Voglio ringraziare la sincerità di Ewan. Il buon umore di Jean Paul Gaultier, la determinazione di Diane, la dolcezza di Emmanuelle. La competenza e la cultura di Raul, l'enorme energia di Andrea.  E poi la nostra memoria storica cinematografica, Alexander Payne”.

Ecco a voi i premi in ordine di consegna:

Camera d'Or
Beasts of the Southern Wild” di Benh Zeitlin

Premio della Giuria
The Angels' Share” di Ken Loach

Miglior sceneggiatura
Beyond the Hills” di Cristian Mungiu

Miglior regia
Post Tenebras Lux” di Carlos Reygadas

Miglior attore
Mads Mikkelsen - “The Hunt” di Thomas Vinterberg

Migliore attrice
Ex aequo: Cosmina Stratan e Cristina Flutur – “Beyond the Hills” di Cristian Mungiu

Gran Premio della Giuria
Reality” di Matteo Garrone

Palma d'Oro
Amour” di Michael Haneke

sabato 26 maggio 2012

Cosmopolis (recensione)


Aggiustare il taglio”. Per il golden boy dell’alta finanza Eric Packer, non sembrano esistere controindicazioni. Avrebbe raggiunto il suo barbiere di fiducia dall’altra parte della città e attraversato Manhattan anche a costo di sfidare il caos nelle strade e sottovalutare un crollo improvviso del suo impero. Fare i conti con un presunto assassino pronto ad ucciderlo. Ma nulla è chiaro. Né dove, né come. Le 24 ore più importanti della sua vita. Una limousine bianca che fa da palcoscenico. Tra incontri erotici e filosofici in bilico tra la mente visionaria di Eric e un mondo in preda al caos.

L’elemento fisico che si intreccia con quello psicologico. Importanti tematiche sociali sollevate da intime e a volte inquietanti autoanalisi. L’uomo come punto cardine dell’universo. Con i suoi morbi, i suoi tic.
La poetica sconvolgente di uno dei geni del “body horror”, c’è. Si percepisce fin dai titoli di testa che di lì a poco avremmo assistito ad uno spettacolo travolgente e surreale. Forte, l’impatto visivo è quello che la nostra memoria rimanda a capolavori in linea con lo stile del regista canadese. Come l’horror fantascientifico del 1986, La Mosca (The fly). Le patologie che portano l’essere umano all’autodistruzione e a una visione distorta della realtà. Oppure Crash (1996), in cui un incidente d’auto è visto come “evento fertilizzante più che distruttivo”.

Eppure qualcosa in questo grottesco e visionario quadro “croneberghiano”, e mi duole ammetterlo, non va. Sarà che stavolta c’era in ballo una trasposizione letteraria davvero complessa. Il romanzo di Don DeLillo è quasi una visione profetica sulle sorti del mondo. Una visione tragica e infernale che vede l’umanità scivolare, senza via di scampo, nella catastrofe. Un romanzo che sembra tutt’oggi sorprendentemente al passo con i nostri tempi, nonostante sia passato un decennio dalla sua pubblicazione. Quel che stupisce e a maggior ragione ci porta a riconoscere merito al regista, è un adattamento dalle premesse impossibili. Tra le pagine del libro spiccano ricchi dialoghi impregnati di spunti filosofici ed esistenziali, che rimandano, ed era inevitabile, alla dialettica “marxista”. Le prime parole del manifesto comunista recitavano “Uno spettro si aggira per l’Europa”, nel film di Cronenberg  lo spettro invece si aggira per “il mondo”. E spunta un argomento mai affrontato prima dal regista, ovvero il denaro. Il potere che questo ha sugli uomini e come influenzi il mondo intero. Il Capitalismo che si espande a livelli incontrollabili, tanto da spingere gli individui a sentirsi alieni della società, solo perché rimasti “persone”. Significativo il finale del film. 20’ di dialoghi tra Eric Packer e Benno Levin. Una sequenza che sembra essere messa lì per tappare i buchi. Troppi. E non è bastata la maestria di un Paul Giamatti che pare un pesce fuor d’acqua. Costretto a fare da spalla a un “inspiegabile” Pattinson.

Lo stesso Cronenberg ha ammesso che portare sullo schermo  i dialoghi di DeLillo non sarebbe stato affatto semplice. Lo si avverte anche senza aver letto il libro. Lo spettatore è infatti catapultato in un vortice troppo confuso di dialoghi sparsi qua e là. Sembra che siano stati messi a casaccio senza un reale o giustificato filo conduttore.  Ma parliamo di Cronenberg. Uno che in passato ha avuto a che fare con romanzi complessi, ricordiamo  Il pasto nudo (Nacked Lunch) nel 1991, tratto dall’omonimo romanzo di William R. Burroughs. Il già citato Crash, di J.G.Ballard. Solo per citarne alcuni.

Le perplessità di fronte a questo Cosmopolis rimangono. Ci si chiede se davvero stavolta Cronenberg abbia fatto bene o meno ad imbattersi in questa impresa. E al di là della fotografia, affidata all’ormai inseparabile Peter Suschitzky e di una colonna sonora mai deludente realizzata dal maestro Howard Shore; ecco, al di là di questo, ci si chiede perché Cronenberg abbia voluto stordire il suo pubblico non più servendosi dei suoi inconfondibili escamotage cinematografici, bensì riservandogli senza preavviso, quell’insensato e indigesto ” vampiro”…

giovedì 24 maggio 2012

Piccoli musicisti crescono alla Casa del Jazz




La Casa del Jazz venerdì 18 maggio ha aperto le porte ai giovani delle scuole elementari e medie inferiori. Un progetto curato dalla maestra Sonia Costantini, in collaborazione con l’Assessorato alle Politiche Culturali, il Centro storico di Roma Capitale e il Municipio Roma XX.

A partire dalle 8 e 30 ha preso il via una serie di incontri con l’intento di far avvicinare i giovanissimi a un genere musicale diverso ma al contempo accattivante, da molti considerato d’elite, ovvero “il Jazz”. Il programma è stato suddiviso in più di due ore tra fruizione musicale e visita alla Casa del Jazz. Situata in viale di Porta Ardeatina all’interno di un grande parco, è punto di riferimento ormai dal 2005 per tutti gli appassionati del genere. Il progetto Casa del Jazz, fortemente voluto dal Sindaco Veltroni, nasce dalla confisca della Villa appartenuta al boss della banda della Magliana Enrico Nicoletti e, successivamente, assegnata al Comune di Roma. Una lapide posta all'ingresso, con i nomi delle vittime di mafia, realizzata in collaborazione con l'associazione "Libera" di don Ciotti, testimonia la vittoria rappresentata dalla sua restituzione alla città e ai cittadini.
I ragazzi hanno avuto l’occasione di esibirsi in una breve performance sotto la supervisione di musicisti professionisti e docenti di un certo livello. Alle 10 e 30 poi un vero e proprio concerto interattivo dei Next Stop Quartet (Carmen Folato sax soprano,sax tenore e voce, Paolo Tombolesi piano, Daniele Basirico basso e Emanuelle Smimmo alla batteria).

Dopo il concerto i giovani si sono spostati negli studi di registrazione della prestigiosa struttura, ascoltato incisioni con il supporto di tecnici e musicisti in grado di far percepire loro anche le differenze strumentali. A rendere il tutto ancor più magico i celeberrimi brani della Walt Disney, accompagnati dalla visione dei film. Dunque il ricco e memorabile repertorio che va dagli Aristogatti (“Tutti quanti voglion fare Jazz”) a Cenerentola, La Sirenetta fino alle avventure di Pinocchio. Gli artisti partecipanti all’iniziativa hanno inoltre raccontato ai ragazzi, attraverso la loro musica, le origini del Jazz, il significato della parola Swing e, soprattutto come questo sia la base di molti altri generi musicali come il Rock, il Soul e il Blues. Alternare il gioco alla didattica e offrire ai giovani la possibilità di un approccio consapevole a un linguaggio nuovo con una più ampia veduta del mondo musicale.



Una buona occasione per gettare una volta per tutte nel cestino tutto ciò che i giovani vedono come omologato. Proseguendo su questa linea possiamo e vogliamo credere che una figura importante come l’Istituzione scolastica abbia imboccato la retta via. La stessa che sappia davvero indirizzare i nostri figli, prepararli e incentivarli a divenire pubblico e, perché no, “protagonista” del proprio domani.

mercoledì 23 maggio 2012

Le controversie di Killer Elite, un romanzo al confine tra finzione e realtà.


Un’amalgama di realtà e finzione, così Sir Ranulph Fiennes, ex membro del britannico SASSpecial Air Service, descrive il suo ultimo lavoro The Feather Men. Il romanzo, nono per l’autore,  viene pubblicato nell’ottobre del 1991 dalla casa editrice Bloomsbury Publishing. Non poche le polemiche attorno al libro, e il tutto può essere ricondotto a una semplice domanda: realtà o finzione? La casa editrice appena pubblicato il libro lo descrive come “un’avventura vera”. Ma è davvero così? Lo stesso autore ha dichiarato che nel ’91, i Feather Men (gli uomini piuma) gli avevano fornito documenti e immagini reltive ai dossier e ai fatti realmente accaduti in quegli anni. Dunque prima di raccontare le storie di quelle vittime e dei loro assassini Fiennes si è accertato di avere il benestare dei diretti interessati, almeno questo è quanto afferma l’autore. In Italia l’uscita del libro è prevista per il 24 maggio con il titolo Killer Elite, 378 pagine edite Newton Compton Editori. Dal libro poi, il blockbuster Hollywoodiano diretto da Gary Mc Kendry, con Robert De Niro, Clive Owen e Jason Statham. Nelle sale italiane dal 1 giugno.

L’obiettivo era percorrere 66 km in un tempo massimo di 17 ore. Gli uomini di Mike Kealy, maggiore del SAS, non conoscevano come lui le aride cime nebbiose di Brecon Beacons, le peggiori del Galles soprattutto nel periodo invernale. La prova di resistenza era rivolta proprio alle aspiranti reclute del reggimento d’elite ed era nota come “La lunga marcia”. Combattere la strada nel mezzo della tormenta con difficoltà a distinguere un uomo da una roccia sporgente dagli innumerevoli mucchi di neve. Ad un tratto la sagoma di un uomo barcollante si diresse verso di loro, non vi furono dubbi. Debole il polso e già quasi privo di sensi, era il maggiore Mike.  Inutili i tentativi di rianimarlo. La sua morte nel 1979, aveva lasciato attoniti tutti gli uomini del reggimento.                 
Kealy era visto come una leggenda, l’esempio di un soldato il cui coraggio lo aveva portato a sfidare le montagne per l’ennesima volta. Nonostante la sua fama egli faceva sempre fatica a riconoscersi nell’eroe che i ragazzi più giovani vedevano in lui. Sei anni prima aveva combattuto una guerra clandestina contro i ribelli comunisti nel deserto dell’Oman. Stavolta aveva bisogno di mostrare a sé stesso che poteva ancora vincere l’ennesima sfida. Così non è stato.

La controversia del libro di Fiennes nasce proprio da qui. Della morte di Mike si parla a metà dell’opera. Ed è qui che la giovane vedova Kealy è entrata in scena, rivendicando il diritto di sottolineare che Killer Elite non è affatto cronaca di un fatto realmente accaduto, piuttosto, rivisitato e reinterpretato secondo le logiche narrative e personali dell’autore.  La versione della moglie lega la morte del marito a un terribile incidente avvenuto durante una prova di resistenza nel Brecon Beacons nel 1979. Il libro, dal canto suo, inserisce la morte del maggiore Mike, come pure quella di altri tre veterani del SAS avvenute in circostanze misteriose,  nel terribile piano di vendetta architettato da uno sceicco ed eseguito da un comando di suoi uomini chiamati “the Clinic”. La figlia di Kealy ha addirittura dichiarato “vergognoso” quel che l’autore ha fatto, considerato anche che, nel giugno 2010 durante il Festival di Hay, egli avesse confessato chiaramente che il suo libro era frutto della sua immaginazione. Sir Fiennes ha ribattuto in una dichiarazione fatta al Daily Mail dicendo che prima della pubblicazione, sia le famiglie delle vittime che i membri del SAS, hanno ricevuto una copia del manoscritto e,  lamentele,  in fase di pubblicazione non ce ne sarebbero state.

Al di la delle polemiche, concluderei dicendo che Killer Elite (libro), si possa descrivere come uno di quei thriller carichi di suspense che trae un notevole spunto dalla realtà, magari modellando qua e la determinati passaggi (Questo con certezza chi può dirlo?) E’ chiaro e lampante che, chi scrive è stato in passato coinvolto in storie molto similari e parallele a quelle dei protagonisti. La scrittura a tratti può risultare un po’troppo “militaresca”, ma nel suo complesso rimane un libro godibile e ben fatto, apprezzabile soprattutto, (o forse solamente) da chi, ama le avventure a sfondo militare.

martedì 22 maggio 2012

“Capolavori scomodi”, Cadaveri Eccellenti di Francesco Rosi


Francesco Rosi, napoletano, classe 1922, regista, autore e sceneggiatore, inizia a muovere i passi da cineasta nei primi anni ‘50. A lui dobbiamo il cosiddetto filone dei “film d’inchiesta”, film coraggiosi, di denuncia politica che ripercorrono la vita del malavitoso siciliano, dal capolavoro del 1962 Salvatore Giuliano passando per Le mani sulla città dell’anno successivo, con Rod Steiger, in cui viene denunciato lo Stato e lo sfruttamento edilizio a Napoli. Cadaveri Eccellenti viene distribuito nelle sale italiane a novembre del 1976 e presentato fuori concorso al 29° Festival di Cannes.

“In un luogo piuttosto vago, non specificato ma ben immaginabile (passiamo infatti dalla Sicilia a Roma), vengono uccisi alcuni magistrati. A prendere in mano le indagini l’ispettore Amerigo Rogas (Lino Ventura). I primi sospetti di Rogas ricadono su di un farmacista, condannato ingiustamente anni prima per un presunto avvelenamento e poi scomparso. Quando il misterioso assassino arriva però ad uccidere anche a Roma il capo della polizia ordina a Rogas di spostare le indagini sui gruppuscoli dell’estrema sinistra. L’ispettore non convinto decide di continuare per la sua strada finché non scopre un terribile complotto”.

Rosi sceglie di ispirarsi al romanzo di Leonardo Sciascia, Il contesto. Un compito non certo semplice, adattare per lo schermo un libro, parodia-denuncia di un’Italia fin troppo vaga, dai richiami e dai flashback però, così terribilmente in sintonia con la realtà. E parliamo degli anni ’70, quelli che il nostro paese ricorda come gli “Anni di Piombo”. Le forze occulte e i rapporti con lo Stato, le tentazioni golpistiche, le rivolte studentesche. Un arco temporale conclusosi sul sorgere degli anni ’80, anni in cui la dialettica della politica fu estremizzata e trasformata in violenza, lotta armata e terrorismo. Piccolo accenno per chi non lo sapesse, Il termine Anni di Piombo deriva dall’omonimo film di Margarethe Von Trotta del 1981, che ritraeva l’analoga situazione contemporanea presente nella Germania Ovest. 
Insomma, solo un genio dal cuore impavido poteva permettersi di dipingere un quadro così complesso. Parliamo di un uomo che ha fatto della macchina da presa l’arma più forte, la libertà d’espressione. La  stessa che gli ha permesso di aggiudicarsi un posto di primaria importanza nel panorama del cinema italiano.


Un autore disinibito e pungente ma altrettanto elegante e professionale che ha raccontato l’Italia agli italiani servendosi dei volti più noti del cinema di quei tempi, Gian Maria Volonté, Philippe Noiret e Lino Ventura.  Contribuiscono alla riuscita del film, un cast di altissimo livello: il già citato Ventura, Renato Salvatori, Max Von Sydow, Alain Cuny, Fernando Rey, Charles Vanel, Francesco Callari, Paolo Bonacelli, Tino Carraro. Ricordiamo in fase di sceneggiatura oltre a Rosi, hanno collaborato Tonino Guerra e Lino Iannuzzi. La splendida fotografia, che riporta alle sfumature neorealistiche, di Pasqualino De Santis. Montaggio, Ruggero Mastroianni, fratello di Marcello. Le musiche di Piero Piccioni e Astor Piazzolla. Per la scenografia e i costumi rispettivamente Andrea Crisanti e Enrico Sabbatini.

<<La verità non è sempre rivoluzionaria>>. Un epilogo drammatico, un film scomodo che ha suscitato non poche polemiche. Vincitore di due David di Donatello per miglior regia e miglior film. L’essenza di un’epoca, di una realtà messa a nudo davanti allo specchio.

Ecco perché,  Cadaveri Eccellenti, rientra a pieni voti nella lista dei titoli “assolutamente da vedere”.

lunedì 21 maggio 2012

La rivoluzione di Enrico Dini, l’uomo che vuole “stampare” le case



 E se davvero un’enorme macchina fosse in grado di stampare una casa? Assurdo, direte voi, eppure è così, e qualcuno vuole spiegarci perché. 

Forse pochi conoscono la storia di Enrico Dini, un ingegnere italiano nato nel 1962 in Toscana. Un bambino che amava costruire castelli di sabbia è arrivato oggi, a distanza di quarant’anni, a realizzare la prima stampante 3D, chiamata D-shape (a forma di “D”). Dini, esperto di robotica,  ha un intento ben preciso:  rivoluzionare il nostro modo di vedere e costruire le case. La tecnica della stampa in 3D è un metodo che realizza, partendo da un disegno digitale, qualsiasi forma, e lo fa modellando sabbia. Fino ad oggi la stampante 3D è stata utilizzata per realizzare piccoli oggetti di design ma Enrico ha un’ambizione più grande: realizzare delle vere e proprie case in 3D

Al di là dell’incredibile rivoluzione cui l’edilizia e l’architettura andrebbero incontro, c’è da dire che il materiale realizzato è in grado di sopportare anche le terribili conseguenze delle catastrofi naturali.  Le azioni sismiche ad esempio, e questo grazie all’aggiunta di fibre naturali che migliorano le caratteristiche della struttura. Questa tecnologia utilizza materiali ecologici e naturali e realizza forme curve che possono adattarsi all’ambiente circostante. I prodotti utilizzati infatti sono sabbia e mare.
Anzichè stampare su fogli di carta, D-shape stampa "fogli" di sabbia da 5 millimetri di spessore, miscelati ad un collante ecologico (a base di sali) brevettato con il gruppo Fedeli. Sovrapposti uno all'altro dal plotter stesso, i fogli di sabbia si trasformano in roccia, diventando un oggetto unico. «Ciò consente di realizzare forme impossibili da realizzare con altre tecnologie» sostiene Dini. Tra i suoi test, vi è pefino  una riproduzione in scala del tempietto di San Pietro in Montorio del Bramante, a Roma. «Per ora - spiega ancora l'ingegnere - le macchine che abbiamo possono costruire oggetti larghi massimo sei metri ma lunghi quanto si vuole perchè si muovono su un carrello. In teoria, basta realizzare un plotter più grande per poter produrre anche case di dimensioni superiori alla semplice villetta».

Il primo progetto di Enrico Dini, una struttura simile a un gazebo.

Intanto, nell’attesa che la rivoluzione D-shape arrivi anche a tutti gli effetti nell’architettura italiana, le vedute di Dini sono arrivate in diverse parti del mondo. In Medio Oriente c’è il progetto di barriere coralline artificiali, da New York potrebbe arrivare la richiesta di una sorta di panchina da collocare a Brooklyn o a Manhattan, mentre dall’Olanda arriva l’ordine di oggetti sacri per una cappella di Amsterdam. Certo applicare la filosofia del “pensare in 3D” richiede del tempo. L’Italia forse non è ancora del tutto pronta. Per il momento la ricerca va avanti, il progetto della Dinitech è sostenuto da Università di tutto il mondo.

Noi attendiamo curiosi, per il momento però lasciateci credere che, una stampante XXL, un computer , un po’di sabbia e voilà, una casa bella e fatta!

Lo dico con grande amarezza: ho sempre saputo di avere in mano una pepita d’oro e che la stavo offrendo qua e là. Ma nel nostro paese nessuno ha mai voluto aiutarmi. Neppure il Cnr, che si è presentato alla mia porta chiedendo soldi per fare la ricerca. A me? Mi bastano 50 milioni di euro per trasformare l’Italia nel leader mondiale del 3D printing in architettura. Potremmo spostare i numeri dell’economia nazionale perché questo è un progetto di filiera centrato sull’attività più comune dell’uomo: costruire. Di più, costruire il bello. E far ripartire il paese. Questa è una scienza tutta da inventare. Ci sono intere librerie vuote da riempire con studi e ricerche. E finalmente l’edilizia diventerebbe a impatto zero. La sabbia è molto abbondante sul nostro pianeta, si trova ovunque, è parte del nostro territorio. È come il ghiaccio per gli eschimesi o il legno per i canadesi. Un giorno tutto tornerà alla natura. Senza inquinare”. 
(Enrico Dini)

venerdì 18 maggio 2012

Negli Usa vince il sapore e la cultura del vino italiano




 Si svolge dal 14 al 19 maggio a Los Angeles la seconda edizione di Viva Vino LA, manifestazione dedicata alla promozione dei vini autoctoni italiani sulla costa Ovest degli Stati Uniti. L’edizione del 2011 ha avuto il suo culmine nel  Grand Tasting, giornata centrale per gli espositori, che ha visto la presenza di 142 aziende produttrici, rappresentative di tutte e 20 le regioni italiane. Quasi 2000 persone hanno partecipato agli eventi organizzati, con enorme successo. La manifestazione anche quest’anno prevede un Grand Tasting che si svolgerà mercoledì  16 maggio. Le aziende partecipanti avranno a disposizione un tavolo attrezzato per l’esposizione dei vini, gli assaggi e gli incontri con i buyers locali. La giornata dedicata al Grand Tasting sarà su invito per gli operatori del settore, stampa specializzata, opinion leaders e sarà aperta al consumatore finale la sera. Viva Vino LA prevede inoltre un intenso programma dedicato alla promozione dei vini autoctoni italiani – seminari, degustazioni guidate, cene tematiche, ecc. – che si svolgeranno durante il corso della settimana e vedranno il coinvolgimento di rinomati ristoranti italiani e importanti distributori  di vino e bevande alcoliche.

Le azioni saranno dedicate sia agli operatori del settore che al pubblico. Secondo recenti dati del Dipartimento del Commercio Americano, nel primo trimestre del 2011 la domanda di vini italiani è cresciuta del 26,73%, ad un ritmo superiore alla media di mercato. Infatti nell’ultimo decennio le importazioni americane di vino hanno registrato una crescita costante, fatta eccezione per il biennio 2008-2009. Gli Stati Uniti attualmente sono il più grande mercato di vendita per i vini e si prevede che, entro un paio di anni, diventeranno anche il primo consumatore al mondo raggiungendo un valore di mercato pari a 45 miliardi di dollari. Per questi motivi gli Usa rappresentano sempre più il mercato di riferimento per le esportazioni di vino dall’Italia. Attualmente l’Italia è il primo paese esportatore verso gli Stati Uniti, con una quota di mercato pari al 33,63%.

Se il consumo di vino negli Stati Uniti continua ad aumentare, ciò è dovuto a due categorie di consumatori: i giovani e le donne nella fascia di età compresa tra i 21 e 33 anni, i cosiddetti “Millennials”. Il vino viene considerato come un bene di lusso e di conseguenza criterio fondamentale di scelta risulta essere il rapporto tra qualità e prezzo. Inoltre il consumatore americano preferisce un vino italiano non solo per un determinato sapore, ma anche e soprattutto per la cultura e la tradizione che quella bottiglia trasmette. Le tendenze attuali dimostrano anche che il commercio di vini sul web si sta sempre più affermando. Infatti il 20% dei consumatori sotto i 30 anni comprano questo prodotto online. In questa ottica sono fondamentali la flessibiltà dei prezzi, la promozione di vini con caratteristiche particolari legate alla storia e al territorio e una continua analisi dei cambiamenti di abitudini d’acquisto e di gusto dei consumatori. Un viaggio al centro delle eccellenze nostrane dalla Toscana del Sangiovese e del Colorino alla Campania dell’Aglianico e della Falanghina, dalla Sardegna del Cannonau al Piemonte di Barbera e Barolo, fino al Catarratto siciliano, il Lambrusco emiliano e il Primitivo pugliese.

giovedì 17 maggio 2012

Moonrise Kingdom: l'avventura surreale di due giovani innamorati in fuga


Wes Anderson apre la 65°edizione del Festival di Cannes all’insegna del primo amore e delle atmosfere fiabesche. Nella giornata di sole di oggi attorno al regista texano il cast stellare di questo "Moonrise Kingdom" che sembra presentarsi innanzitutto come  un’esilarante commedia dietro la quale si avvertono però sfumature drammatiche.  Bruce Willis, Edward Norton, Bill Murray, Tilda Swinton e i giovanissimi Jared Gilman e Kara Hayward animano questa avventura surreale e romantica di due giovani in fuga, alla ricerca di un luogo perfetto dove potersi finalmente trovare.


“Il film racconta l’amore di due giovani dodicenni del New England che nell’estate del 1965 decidono di fuggire su di una piccola isola. La storia di un amore incompreso che va contro tutto e tutti”.

Distribuito dalla Lucky Red Moonrise Kingdom uscirà nelle sale italiane il prossimo autunno. Di seguito l’estratto di un’intervista fatta a Anderson:

Stasera Moonrise Kingdom inaugurerà il 65° Cannes Film Festival. Come vi sentite?    Wes Anderson: Per me è un grande onore. Non ero mai stato a Cannes, ma è qualcosa che ho sempre immaginato fin da quando ho iniziato a fare film. ovviamente c'è molta tensione perché ancora nessuno ha mai visto il mio film.

Il film narra una grande storia d'amore tra adolescenti. Com'è nata la storia? Da dove proviene l'idea?                     
Wes Anderson: Di solito i miei film nascono attorno ai personaggi. Dopo essermi immaginato un personaggio gli costruisco intorno un ambiente, ma stavolta le cose sono andate diversamente. Ho fatto un film tentando di ricreare un'emozione specifica, quella del primo amore. Questo sentimento è qualcosa che ricordo in maniera talmente forte da volerlo narrare in immagini.


Genere: drammatico, commedia
Regia: Wes Anderson
Sceneggiatura: Wes Anderson, Roman Coppola
Fotografia: Robert D. Yeoman
Montaggio: Andrew Weisblum
Musiche: Alexandre Desplat
Paese: Usa 2012
Durata: 94'







                                                         

mercoledì 16 maggio 2012

Marilyn Monroe spegne le 65 candeline di Cannes





Il Festival di Cannes quest’anno anziché partire l’8 maggio come da tradizione si posticipa di una settimana esatta. Onde evitare l’influenza delle elezioni presidenziali si darà l’avvio ufficiale oggi, mercoledì 16 maggio, all’insegna del nuovo volto François Hollande. Tutto è pronto per dare inizio alla kermesse, che si chiuderà il 27 maggio. Il budget stimato è di circa 20 milioni di euro e già le notizie si diffondono e si accavallano mentre spicca il manifesto in bianco e nero di Marilyn Monroe. C’è dunque una forte eco del passato poiché l’avvenimento è legato al cinquantesimo anniversario della morte della famosa diva. Bellissima l’immagine che la vede  intenta a spegnere le candeline di una torta, le 65 volte del Festival di Cannes. 
Il Presidente della giuria è il regista e attore italiano Nanni Moretti, molto apprezzato in Francia dove ha presentato ben sei film vincendo con La stanza del figlio, 2001,  il primo premio. Seduti in giuria accanto a Moretti le attrici Diane Krueger e Emmanuelle Devos, lo stilista Jean-Paul Gautier, il regista Raoul Peck e l’attore inglese Ewan McGregor. Presidente della giuria della sezione Un Certaine Regard sarà invece l’attore inglese Tim Roth. Apre la gara per il secondo anno consecutivo un film americano, Monrise Kingdom di Wes Anderson, dopo Midnight in Paris di Woody Allen. A chiudere invece il Festival l’opera postuma di Claude Miller, regista francese scomparso lo scorso aprile. Per l’Italia un solo film in concorso, Reality di Matteo Garrone, che se la dovrà vedere con i grandi autori del cinema internazionale, in gara infatti anche David Cronenberg, Andrew Dominik e Thomas Vinterberg. Fuori gara gli ultimi lavori di Bernardo Bertolucci e Dario Argento. 
Madrina del Festival la splendida Berenice Bejo.
                                                                                             
In concorso:
Moonrise Kingdom, di Wes Anderson
De Rouille et d’Os, di Jacques Audiard
Holy Motors, di Leos Carax
Cosmopolis, di David Cronenberg
The Paperboy, di Lee Daniels
Killing Them Softly, di Andrew Dominik
Reality, di Matteo Garrone
Amour, di Michael Haneke
Lawless, di John Hillcoat
In Another Country, di Sangsoo Hong
Taste of Money, di Sangsoo Im
Like Someone In Love, di Abbas Kiarostami
The Angels’ Share, di Ken Loach
Beyond the Hills, di Cristian Mungiu
Baad El Mawkeaa (Apres la bataille), di Yousry Nasrallah
Mud, di Jeff Nichols
Vous N’avez encore rien vu, di Alain Resnais
Post Tenebras Lux, di Carlos Reygadas
On the Road, di Walter Salles
Paradies: Liebe, di Ulrich Seidl
Jagten (The Hunt), di Thomas Vinterberg

Fuori concorso:
Io e te, di Bernardo Bertolucci
Une Journee particuliere, di Gilles Jacob e Samuel Faure
Therese Desqueiroux, di Claude Miller (film di chiusura)
Dario Argento’s Dracula, di Dario Argento (Séance De Minuit)
Ai To Makoto, di Takashi Miike (Séance De Minuit)
Madagascar 3, Europe’s Most Wanted, di Eric Darnell E Tom Mcgrath
Hemingway & Gellhorn, di Philip Kaufman

Special Screenings:
Der Müll Im Garten Eden, di Faith Akin
Roman Polanski: A Film Memoir, di Laurent Bouzereau
The Central Park Five, di Ken Burns, Sarah Burns And David Mcmahon
Les Invisibles, di Sébastien Lifshitz
Journal De France, di Claudine Nougaret E Raymond Depardon
A musica segundo Tom Jobim, di Nelson Pereira Dos Santos
Villegas, di Gonzalo Tobal
Mekong Hotel, di Apichatpong Weerasethakul

Un Certain Regard:
Miss Lovely, di Ashim Ahluwalia
La Playa, di Juan Andrés Arango
Les Chevaux de Dieu, di Nabil Ayouch
Trois Mondes, di Catherine Corsini
Antiviral, di Brandon Cronenberg
7 Dias en La Habana, di B. Del Toro, P. Trapero, J. Medem, E. Suleiman, J. C. Tabio, G. Noe And L. Cantet
Le Grand soir, di Benoit Delepine And Gustave Kervern
Laurence Anyways, di Xavier Dolan
Despues De Lucia, di Michel Franco
Aimer A perdre la raison, di Joachim Lafosse
Mystery, di Lou Ye
Student, di Darezhan Omirbayev
La Pirogue, di Moussa Toure
Elefante Blanco, di Pablo Trapero
Confession of a Child of the Century , di Sylvie Verheyde
11.25 The Day He Chose His Own Fate , di Koji Wakamatsu
Beasts of the Southern Wild, di Benh Zeitlin

domenica 13 maggio 2012

Dark Shadows



Sapevo che non sarebbe stato affatto semplice recensire Dark Shadows, e questa mia consapevolezza nasce per diversi motivi, molti dei quali però ancora oscuri a me stessa. Forse il mio più grande ostacolo, che incontro ogni volta io cominci a parlare di “Tim”, è rappresentato dalle critiche gratuite e spesso sconnesse di tanti (“ex”) burtoniani pronti sul tempo a puntare il dito appena sentono nell’aria il profumo di un nuovo lavoro diretto da Burton. Io so che questa premessa potrebbe, e magari lo è, suonare come insensata o addirittura fuorviante dal momento che il mio intento è (o meglio era…) quello di raccontarvi un film cercando di amalgamare un po’ di critica cinematografica, un po’ di giornalismo e, un po’ di “me”…

Negli anni ’60 la ABC trasmette una soap destinata a diventare un cult. Siamo in America, è il 1966 e Dan Curtis vede realizzarsi sullo schermo il “suo” Dark Shadows. Una serie melodrammatica, fatta di mostri e colpi di scena distribuita in circa 1200 puntate. Punto forte della serie era proprio Barnabas Collins, il cui personaggio tra l’altro subentra nel cast solo dopo una decina di puntate. Il vampiro di allora era Jonathan Frid, attore di cinema e teatro, spentosi proprio quest’anno all’età di 87 anni, un mese prima dell’uscita mondiale della release di Burton. L’interpretazione di Frid riuscì a dare all’icona terrorifica e malvagia del vampiro una sorta di aura positiva, tale da rendere il mostro dai denti aguzzi addirittura simpatico e a tratti divertente.
Insomma, le basi per una rivisitazione tipicamente burtoniana ci sono tutte…e dunque il nostro amato Tim non se la fa per niente sfuggire. In realtà l’idea di portare sul grande schermo la soap di Curtis è stata di Johnny Depp, il quale non ha mai nascosto il suo grande desiderio di vestire i panni del vampiro Barnabas, amato e seguito fin da bambino. Depp, interpreta e co-produce Dark Shadows ma non è l’unico fan accanito della vecchia serie televisiva, non perdevano infatti nemmeno una puntata la bella Michelle Pfeiffer e lo stesso Burton.

Il povero Barnabas Collins è vittima di una maledizione fatta dalla terribile strega  Angelique (Angie). Costretto a vivere come un vampiro per l’eternità, viene rinchiuso in una bara e sepolto vivo. Si risveglia dopo quasi due secoli e ad attenderlo c’è un mondo completamente nuovo, quello degli anni ’70...

Tim Burton rivisita la serie culto degli anni ’60 e la “burtonizza” a mestiere. Fin qui nulla da dire o da contraddire; Al di là delle fattezze visive del film, dunque prettamente dark e alle caratterizzazioni dei personaggi sempre entro i canoni più noti che vanno dal capolavoro di Edward mani di forbice, passando per La Sposa cadavere fino al più recente e (stra)discusso Alice in Wonderland. E parlare di canoni con Burton, significa parlare dell’ emarginazione, del diverso e di tutto quel che si lega ai problemi di inserimento e di accettazione da parte di una società e di un mondo poco aperto al confronto e a tutto ciò che non sia terribilmente omologato. Parliamo del concetto di “mostro”, di cosa realmente significhi avere paura o su cosa sia davvero mostruoso per un bambino che la notte a fatica riesce ad addormentarsi. In Dark Shadows non si perde l’occasione di marcare l’importanza della famiglia, del rispetto e della fiducia, e del fondamentale compito che un padre svolga all’interno di essa. Il piccolo David (Gulliver McGrath), un bambino diverso che vede cose strane come i fantasmi e che piange solamente quando capisce che il proprio padre non esita ad abbandonarlo quando Barnabas lo mette di fronte a una scelta. Chi è il vero mostro? Una creatura costretta ad uccidere per sopravvivere, condannato da una perfida strega, o due genitori che preferiscono rinchiudere la propria figlia in un manicomio perché parla con le bambole?

A questo punto potreste chiedervi cosa c’entri tutto questo con la critica cinematografica e penserete a me come a una povera pazza che pecca di soggettività. Ma io non voglio contraddirvi, non voglio nemmeno giustificare quel che le mie righe lasciano trapelare. Voglio soltanto urlare le mie emozioni e le mie ragioni, le stesse che mi portano a schierare nella cerchia dei “pro-Dark Shadows”.

Io non accetto il fatto che si dica che l’essenza di Burton sia morta dopo, o addirittura prima di, Sweeney Todd, non lo posso accettare perché chi conosce e ama la poetica di Burton non può considerarla morta anche dopo aver visto il film in questione.

Dark Shadows mescola al melodrammatico una buona dose di humor e fa del film una horror-comedy degna del nome che porta. I personaggi sono a mio avviso indovinati e messi lì mai a casaccio. Non parliamo di Depp, perché lui è terribilmente perfetto…ma Eva Green nei panni della strega Angelique Bouchard, ossessionata dall’amore non ricambiato di Barnabas è fantastica. Una delle poche volte in cui lo spettatore presti un attentissimo sguardo a qualcuno messo a ronzare attorno all’impeccabile Depp. Perfetta la Pfeiffer in veste di “capo-famiglia Collins”, Elizabeth Stoddard. Helena Bonham Carter è la dottoressa Julia Hoffman, Chloe Moretz, già vista in Hugo Cabret nei panni della giovane Isabelle, è Carolyn Stoddard. Bella Heathcote è Victoria Winters e Jonny Lee Miller interpreta Roger Collins.


Un vampiro impacciato e assetato di sangue, che vede nella M luminosa di McDonalds la personificazione di Mefistofele e che considera Alice Cooper la donna peggiore del mondo o la tv uno strano sortilegio…una strega spietata  dal corpo di porcellana che arriva a strapparsi il cuore poco prima dell’ultimo battito (una delle scene più significative del film).
Questo ho visto io in Dark Shadows…e il che mi basta per dire che Burton c’è…



Tim Burton parla di Dark Shadows...



Com’è stato trasformare la serie tv Dark Shadows in un film?
Beh, ho cercato di ricreare le sensazioni che avevo mentre guardavo la serie. Lo show è stato davvero un fenomeno unico, con un’energia tale che era difficile da riportare in un film. Quindi quello che ho cercato di fare è riportare le sensazioni che avevo provato. Ovviamente lo show era molto serio, mentre noi abbiamo cercato di metterci un po’ più di humour, basandoci sul fatto che il protagonista è rimasto chiuso in una bara per duecento anni. Ma abbiamo cercato di ricreare lo spirito della serie, quel modo di recitare tipico delle soap opera e le sensazioni che suscitavano.

Come hai deciso che Johnny Depp fosse l’attore giusto per interpretare Barnabas Collins?

A dire il vero, il progetto è partito proprio da lui. Ne avevamo parlato molti anni fa perché a entrambi piaceva la serie culto Dark Shadows. Solo dopo molto tempo, però, ho capito che il bambino che c’è ancora in Johnny aveva il desiderio di interpretare Barnabas Collins. Credo fosse uno dei suoi sogni. Di solito queste cose nascono in modo diverso, ma questa volta credo fosse una cosa importante per lui, un modo per riconnettersi con il passato.

E Michelle Pfeiffer come ha ottenuto la parte?
È stata una grande sorpresa, perché non lavoravo con lei dai tempi in cui interpretava (benissimo, tra l’altro) Catwoman. Ricordo che aveva fatto un grandissimo lavoro, improvvisando acrobazie sui tacchi alti, usando la frusta, facendo uscire uccelli vivi dalla bocca… Poi ho saputo che era anche una grande fan di Dark Shadows e ho preso l’opportunità al volo, perché insieme a me e a Johnny era l’unica all’interno del cast a conoscere veramente la serie nel dettaglio. Per questo è stato importante averla nel ruolo di Elizabeth. È davvero una grande fan della serie, tanto che si riguardava gli episodi tutte le mattine prima di iniziare le riprese.



Quanto tempo ci avete messo a creare un set così elaborato?
Un bel po’. I set erano molto elaborati, ma anche poco dispersivi, una cosa importante perché il film contava molto sulle interpretazioni degli attori. La casa ovviamente è una parte importante del film, ed era fondamentale che tutto il cast la conoscesse a fondo per entrare in sintonia con essa. Poi abbiamo cercato dei villaggi di pescatori, ma non ne abbiamo trovato, neanche in Maine, quindi alla fine abbiamo usato un’enorme struttura piena d’acqua a Pinewood. Sembrerebbe una cosa costosa, ma in realtà non abbiamo dovuto costruire niente, quindi abbiamo risparmiato molto. La cosa importante era lavorare con grandi artisti della scenografia, ed è quello che abbiamo fatto.
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