lunedì 26 novembre 2018

Gli autunnali, Luca Ricci





C'è qualcosa di rozzo e così terribilmente umano, una poesia che non filtra la vita ma al contrario la dice, nel romanzo di Luca Ricci, Gli autunnali.
A un certo punto non riuscivo nemmeno più a stabilire se quello che stavo leggendo mi piacesse o meno, domanda sbagliata, forse.
Stavo chiedendo a me stessa cosa realmente mi stava lasciando addosso quella storia, cosa volesse dire tutto quel tran tran metropolitano e intimo, fatto di stagioni che come in un limbo circolare poi ritornano, identiche.
Come le abitudini, come l'intimità con l'altro che si cerca ostinatamente e poi si teme. Perché in fondo è proprio così e, riflettendoci su, ho iniziato a scoperchiare la superficie più ruvida e sporca di questo libro.
Quello che ci allontana è proprio l'intimità, l'affetto. 
Quando l'amore finisce, iniziamo a sopprimere tutte le domande, i dubbi ragionevoli, i sentimenti leciti e quelli non concessi, non moralmente.
Il disamore parte da qui, dal bisogno improvviso di un "terribile amore nuovo".
Terribile perché a metà tra il corpo e lo spirito, tra la vita e la morte, tra la luce ancora calda e mai invadente dell'autunno e la fiamma oscillante di una candela che rievoca i morti.

Ho pensato che l'autore di questo romanzo fosse un tantino misogino, un po' stronzo, persino. Perché fa parlare un uomo sulla cinquantina che è molto sicuro di sé, nonostante la sua vita sia uno straziante quadro, un astratto senza geometria realizzato su commissione, per dispetto, con il solo e unico scopo di alimentare i fantasmi che dimorano dentro le viscere.
Poi però ho fatto un passo indietro, ed è più che altro un'abitudine che mi concedo da lettrice di racconti, perché lì mi arrovello meglio su certi passaggi, su certi interrogativi, che prima o poi sono costretta a sbrigare. Meglio prima che poi, è la miccia che innesca la narrativa breve. La bellezza vera.
Luca Ricci sa meglio di me, cosa voglio dire.

Il protagonista de Gli autunnali è un uomo senza nome, un uomo risucchiato dai luoghi affascinanti ma illusori della Roma borghese, contemporanea e, come suggerisce il titolo, a un passo dal tracollo definitivo che segue l'autunno.

"Ci piacevano le panchine divorate dall'umido, con le assi saltate o sbilenche, talmente trascurate che avremmo dovuto essere noi a far sedere loro. D'altronde l'autunno era una primavera tetra, una lunga agonia delle cose, compresi noi, l'esercitazione annuale (la prova generale?) in vista del trapasso".

A parlare è un uomo che sa di piacere, uno scrittore ormai privo di ispirazione, ma non di malessere (che è prerogativa assoluta di chi scrive) che si sente finalmente "incombente".
La noia e il matrimonio alla deriva portano il protagonista a innamorarsi di Jeanne Hébuterne, la compagna di Modigliani, una donna morta suicida per amore di lui. Nonostante fosse incinta del suo secondogenito, al nono mese di gravidanza.
Questo dettaglio, che da un punto di vista narrativo può sembrare, forse lo è, discutibile e trascurabile, porta tuttavia il lettore a porsi certe domande, spietate, primitive.

"Quanto siamo disposti a fare per amore?"

Be', è una domanda terribile. Provate a pensarci.
Per fortuna che "adesso" è autunno, l'unica stagione che ti permette di essere ciò che realmente sei.
E che piaccia o meno, l'uomo de Gli autunnali è semplicemente questo.
Quello che è.
Un miserabile che si accontenta di soddisfare le sue voglie con una puttana, che si innamora di una morta, e poi di un suo doppio. Ma alla fine è l'amore che lui vuole. L'amore nuovo, terribilmente, due sconosciuti che ancora non si conoscono. 
Amarsi, non innamorarsi e basta.

Un maniaco dell'autunno.
Una foglia senza più clorofilla.


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