Sono tutti giorni che incombono, uno dopo l'altro, inesorabilmente, quelli che Antonella Lattanzi racconta nel suo ultimo libro, bellissimo, implacabile, Questo giorno che incombe.
Nella prefazione l'autrice accenna al suo passato, scava dentro la sua vita, la sua anima di bambina e di figlia, facilitando al lettore quel passo indietro che separa i tempi e rende nitidi i ricordi.
Tutti abbiamo dei ricordi.
Un esercizio doloroso, ma necessario.
Si può scrivere per vendetta?
Per perdonare o condannare qualcuno, per amore o per odio?
Io credo che si scriva per andare avanti, e si legga, poi, per imparare a non guardare indietro.
Questo giorno che incombe è la storia di una famiglia che si traferisce a Roma, da Milano. La storia di Francesca, che è la protagonista e colei che parla (con se stessa, con la casa), spesso, che si mette a nudo, che si confessa e si redime. Donna piena di vita e ambiziosa, moglie di Massimo, madre di Angela e Emma.
Madre.
"Perché Francesca era una madre. E le madri - glielo aveva insegnato sua madre, ne era certa - le madri amano. Le madri fanno sacrifici. Le madri sanno cosa è giusto e cosa è sbagliato. Le madri ci sono momenti che essere madri gli prende tutto il corpo, e il tempo. Ma sono momenti, solo momenti Francesca, fidati di me. (Quanto spesso parlava tra sé, sempre più spesso ad alta voce? Quanto spesso non ricordava cos' aveva fatto solo un momento prima, o in tutta la giornata? Quanto spesso aveva vuoti di memoria, e si ritrovava in un posto senza ricordare com'era arrivata fin lì?) Le madri sono felici di essere madri.
E tu?"
Ho preso la matita esattamente qui, a pagina 67. Ed è stato il momento in cui ho capito che questo libro, mi avrebbe scavato dentro, più che dentro, in una profondità in cui mai nessuno avrebbe potuto osare spingersi.
Perché la Lattanzi non ha scritto semplicemente un bel libro. Un prodotto bello e confezionato in maniera impeccabile.
No.
Non è un bel giallo, nemmeno un thriller psicologico di quelli che puoi definire "introspettivi" perché fa tanto chic.
La Lattanzi ha scritto un libro coraggioso, perché dietro la tragica storia di una bambina scomparsa sotto gli occhi di tutti, in un cortile bello e pieno di sole, tra il mare e la metropoli, esplode il dramma della maternità.
Ho detto dramma?
Sì, e lo dico con una naturalezza che qualche anno fa non avevo, sono una madre di tre bambini che amo, ma sono soprattutto una donna.
Un essere umano.
Mentre leggevo non ero più io, ero Francesca. Ero terribilmente io?
Io/Francesca, che passo le mie giornate da sola in casa, mio marito che esce la mattina presto e torna la sera tardi. Del resto lui lavora, ha un lavoro importante, è per questo che siamo venuti a vivere qui, a Roma, in questo bel quartiere. Io invece ho tutto il tempo che voglio, sto a casa, con le bambine, il mio lavoro è scrivere libri per bambini e illustrarli, la mia editor dice che ce la posso fare, che ce la devo fare. In realtà pensa che se non ci riesco sono una fallita. Anche mio marito si meraviglia del fatto che non riesca a fare nulla, io sto a casa, con le nostre meravigliose bambine, perché dovrei essere stanca?
"Tu sai quanto possono essere lunghe le giornate? Tu sai perché uno ha paura quando è solo?"
Cazzo, lo so tantissimo. Lo so, lo so!
Nient'altro che una madre. Mi ci sono sentita così tante volte, e le giornate incombevano tutte, e io mi sentivo sola, stanca, con un unico grande e inconfessabile desiderio. Quello di sospendermi da tutto e tutti.
Dal mio ruolo di madre, da quel compito eterno.
Come se io - noi donne, noi madri - una volta diventata quello, quella cosa lì, quel "ruolo", venissi avvolta da una nuvoletta soffiata apposta da Dio, accompagnata dalla voce inoppugnabile di un angelo che ti guarda, sorride, e ti dice: "Ora non puoi più sbagliare, sei una madre".
Le madri amano, smisuratamente.
Ma le madri sbagliano, anche.
Il condominio che ci descrive l'autrice incarna la società, nel pieno rispetto dei luoghi comuni, dei pregiudizi, occhi vitrei e feroci, pronti a distruggerti.
Una scrittura che non stanca mai, che fa esplodere angoscia e rabbia, pagina dopo pagina. Che ti sbatte in faccia la realtà nuda e cruda, senza fronzoli.
Che ti fa malissimo, ma ti perdona. Ti perdona se ami ancora, se senti il desiderio ancora crescere in te, se pensi che la tua vita valga qualcosa al di fuori del tuo essere madre, donna, ruolo. Anche se torni dal supermercato e ti accorgi che tutte le cose importanti non le hai comprate, ma le hai dimenticate...
(Dio quante volte l'ho fatto!)
Questo libro è una denuncia all'ipocrisia, un atto di coraggio e solidarietà.
Vorrei averlo scritto io, tantissimo.
Che bello averlo letto, però.
Il male esiste, intorno a noi e ovunque.
Fuori le mura della nostra casa, e dentro la nostra anima.
Ma qualcosa di dolce resta.
Resta sempre.