domenica 31 agosto 2014

Cinema/Edicola - Arriva la "007 James Bond Collection"



Dalla penna di Ian Fleming al grande schermo. Dal grande schermo all'edicola.
Eh già, l'agente doppio zero, la spia più nota al mondo cinefilo e non, torna ad essere protagonista. 
Dove? Come? Quando? Perché?

Ok, andiamo per gradi.
Dove - In edicola (In tutte le edicole del mondo!!!)
Come - Ma come "come"? Vestito da splendida ed elegante dvd collection, da gustare comodamente sul divano di casa in 24 "puntate". 
Quando - A partire da subito! Anche ora. Perché la collana è stata lanciata mercoledì 27 agosto, in allegato alla Gazzetta dello Sport e Corriere della Sera.
Perché - Be' questo è l'aspetto più interessante. Prendete me ad esempio. Ammetto con profonda vergogna di non aver mai visto per intero un film della longeva saga cinematografica, eccezion fatta per gli ultimi tre film con protagonista il biondissimo Daniel Craig (chiedo perdono!). 
Dunque, quale miglior modo di recuperare tutti i Bond possibili e immaginabili, se non con una bella e inaspettata collezione in dvd?

Andare in edicola ha sempre il suo perché. A partire dal rapporto che ormai esiste, con l'edicolante di fiducia, fino ad arrivare alle sorprese che spesso ci accolgono appena giunti davanti a quel piccolo chiosco fatto di carta e parole di ogni genere. Io non ho mai amato il genere jamesbondesco, ma sento che questa potrebbe essere la "volta buona", se non altro per provarci. Male che vada avrò qualcosa da lasciare in eredità ai miei bimbi, no?

Se andate in edicola ora, troverete la prima uscita dedicata a uno degli ultimi Bond cinematografici, ovvero Skyfall, film numero ventitré dell'intera saga nonché canzone straordinaria e da Oscar, interpretata da una meravigliosa Adele.


Io già so che m'innamorerò di Sean Connery, non so perché ma ho questo presentimento. Voi invece, voi maschietti intendo, vi riprenderete una bella cotta per ognuna delle Bond Girl che il tempo e il grande schermo vi hanno gentilmente concesso.

La seconda uscita non per niente è Missione Goldfinger...

Per maggiori info sulle uscite e i dettagli della collana, potete visitare il sito gazzettastore.it 


sabato 30 agosto 2014

Fred Uhlman - L'amico ritrovato



"Ora il problema fondamentale non era più la natura della vita, ma ciò che di questa vita, priva di valore e al tempo stesso preziosa, dovevamo fare. Come impiegarla? A che fine? E per il bene di chi, il nostro o quello dell'umanità? Com'era possibile, insomma, mettere a buon frutto quella brutta realtà che era l'esistere?".

A chiunque si chieda di questo libro, L'amico ritrovato di Fred Uhlman, la risposta resta identica e intatta, al di là di qualsiasi circostanza: "Un piccolo capolavoro".
Ed è davvero questo che si prova, che si pensa, che si immagina nella testa e che provano i nostri sensi. Perché diciamo "piccolo" pensando allo spessore, al suo essere così poco ingombrante, e non certo per quanto abbia lasciato alla letteratura, e a noi lettori. 

L'amico ritrovato ci riporta nella Germania dei primi anni '30, tra i banchi di un liceo di Stoccarda. 

"L'aula scolastica, con le panche e i banchi massicci, l'odore acre, muschioso, di quaranta pesanti cappotti invernali, le pozze di neve disciolta, i contorni bruno-giallastri sulle pareti grige in corrispondenza del punti in cui, prima della rivoluzione, erano appesi i ritratti del Kaiser Guglielmo e del re del Württemberg".

Credo non capiti tutti i giorni, di trovare la poesia più sincera, intima, incontaminata, in un romanzo che in sole 92 pagine, riesca a ripercorrere episodi vissuti in uno dei periodi più tristi della storia dell'uomo. Ecco perché penso a Fred Uhlman, e mi viene in mente un uomo divenuto avvocato solo perché qualcuno magari gli gridava nelle orecchie che la poesia è una sciocchezza, che rende gli uomini morti di fame e basta. E poi me lo immagino mentre dipinge, e mi vengono in mente solo i colori più tenui, puliti e caldi. Di quelli che solo a guardarli ti accendono il cuore, e ti fanno vedere tutto ciò che ti circonda con una nostalgia che in realtà non ti appartiene.

L'amico ritrovato è un po' come uno di questi dipinti, un olio su tela lavorato da mani affidabili e occhi attenti a non creare incompatibilità tra i vari pigmenti. Occhi che hanno vissuto e sentito sulla pelle la follia di un uomo che ha saputo plagiare troppi conterranei, troppi uomini. Un uomo salito al potere per disseminare morti e gettare sangue sulla bellezza che la storia e molti altri uomini hanno provato a lasciare ai posteri. La Germania che ci racconta Uhlman è la stessa di Goethe e Schiller, è la stessa terra che ha visto esplodere un'amicizia intensa, tra un ragazzino ebreo e un aristocratico figlio di nazisti.

La terra che conserva il meglio e il peggio della storia dell'umanità e, per nostra fortuna, anche capolavori letterari come questo. Un piccolo romanzo dedicato all'amicizia dal sapore fanciullo e romantico, messa a dura a prova dalla storia, quella con la S maiuscola. Quella che ti cambia anche se non vuoi. Che ti porta dove non vorresti.

Un testo da inserire obbligatoriamente nelle nostre scuole, nelle nostre vite.


venerdì 22 agosto 2014

L'arte e i suoi capolavori, con Il Corriere della Sera



Se dico "Italia" non dico solamente pizza e tarantella, no. Se dico Italia la mia testa inizia a girare come la pellicola di un vecchio proiettore che avvolge sguardi e sogni, districandoli in un susseguirsi di storie e capolavori destinati alla bellezza eterna. 
E se la bellezza è davvero negli occhi di chi la contempla, si potrebbe credere che questa si trovi ovunque, purché si sappia dove e come cercarla. 

In questo momento se dico Italia dico il mondo intero, perché oggi parliamo di Arte non con il fare del critico o dello storico, bensì come farebbe ognuno di noi, che la mattina magari è solito andare in edicola, per comprare il quotidiano di sempre e iniziare a sfogliarlo camminando, per poi finirlo seduto comodamente sulla prima panchina invitante, nel parco, o alla fermata dell'autobus.

Se dico Italia, se dico mondo, dico tutti I Capolavori dell'Arte che mi vengono in mente. E lascio fuori i luoghi comuni, dimentico il presente che mi scaraventa nell'era del 2.0, quella che grida attraverso i propri canali di comunicazione pur di salvaguardare qualcosa che le istituzioni, al contrario, vorrebbero ridurre, scalfire, restringere, tagliare, senza pietà come si affetta il pane la domenica a pranzo. 

Sì è vero, la storia dell'arte non verrà eliminata dalle scuole, solo ridotta con particolari "cure" negli istituti tecnici e professionali. Ma credo fermamente che la falsa notizia dilagata in rete attraverso i più noti canali social, abbia riacceso in noi una fortissima esigenza di conoscenza e di una identità precisa da ribadire, da ritrovare; un'identità  non solo geografica ma appunto artistica, che ambisca a vivere l'arte non più in maniera passiva. "La storia dell'arte non si tocca", questo è stato uno degli slogan più in voga nei mesi appena passati. 

Le fiamme della polemica ormai sono state spente, ma rimane da parte nostra quel desiderio incontrollabile di scoprire e imparare ad amare il mondo che viviamo, anche e soprattutto per ciò che è in grado di raccontare con le sue meraviglie artistiche.

Se dico Italia, se dico mondo, se dico I Capolavori dell'Arte, e con questa chiudo (ve lo prometto!), dico che in edicola, a partire da giovedì 28 agosto, con Il Corriere della Sera, parte una splendida e imperdibile collana dedicata alle opere d'arte. Una raccolta racchiusa in 35 monografie, curata e introdotta dal noto critico d'arte, nonché giornalista, conduttore televisivo e autore, Philippe Daverio (avete mai visto Passepartout?). 

La collana ha il pregio di risultare accessibile a tutti, scritta in maniera semplice e arricchita poi da una sezione antologica che vede il contributo di altri artisti, pittori, storici dell'arte e scrittori importanti (Giulio Argan, Ernst Gombrich, Carlo Levi e molti altri). Oltre a ripercorrere la vita degli artisti e il significato delle loro opere, la collana vuole avvicinare il lettore anche al contesto storico e artistico nel quale essi vivevano.

Insomma, un modo (non) come un altro, di raccontare persino a chi distrattamente è capitato in un istituto professionale, l'arte e i suoi capolavori.

Il primo volume, Nascita di Venere di Botticelli, sarà in edicola al costo lancio di 1 euro (più il prezzo del quotidiano). Si può acquistare la collana e consultare ogni singola uscita su CorriereStore.it


L'arte non è ciò che si vede, ma ciò che consenti agli altri di vedere. 
- Edgar Degas -

mercoledì 20 agosto 2014

Mystic Pizza



I film degli anni '80 sembrano essere stati concepiti tutti sotto il segno della delicatezza e degli sguardi innocenti. Be' non proprio tutti, parlo delle commedie e dei film d'avventura, siano essi fantastici o più drammatici. Quando penso ai film di quel pezzo di secolo, mi viene in mente Ritorno al futuro, I predatori dell'arca perduta, Stand by me - ricordo di un'estate, Harry ti presento Sally, L'attimo fuggente e tanti, tantissimi altri. Lo sguardo del bambino che pare essersi messo a girare lui stesso al posto del regista, dietro una macchina più grande di lui, e basterebbe ricordare un capolavoro a caso di Spielberg, E.T. L'extraterrestre.

Insomma i film degli anni '80, più li guardi e più li ami. E giusto ieri mi è capitato di recuperare un film del 1988, diretto da Daniel Petrie, con una giovanissima, e non ancora Pretty Woman, Julia Roberts (c'è anche un giovanissimoissimo Matt Damon, qui al suo esordio cinematografico).
Mystic Pizza è una commedia dolce amara, che affronta con delicatezza le prime vicende amorose e tormentate di tre giovani adolescenti.

Tre ragazzine che di giorno servono pizze al locale Mystic, da cui prende il nome lo stesso, un villaggio di pescatori nel Connecticut, e di sera vivono le loro storie, tutte diverse ma ognuna sentita e sincera come solitamente si tende a vivere ogni cosa in quegli anni. C'è la ragazza bassina e frizzante che vorrebbe continuare ad amare il proprio ragazzo senza doverlo necessariamente sposare. C'è la ragazza destinata alla carriera universitaria, baby sitter e futura astronoma. E poi c'è lei, la bella Julia nei panni della sorella ribelle, la più disinibita, la più difficile da "domare". 


E si parla d'amore che fa battere i cuori e strizzare gli occhi, perché va bene che io ormai piango con una facilità a dir poco "ridicola", ma qui si torna sui sentimenti semplici. Sulla gioia che si provava la sera con le amiche e quattro bibite fresche, proibite, destinate ad "altri", come gli amori che agli occhi di tutti non possono funzionare. Si vedono aragoste di un arancio acceso, tutti i giorni, e si sogna insieme a queste piccole donne di cambiare quel piatto, prima o poi. Perché l'aragosta è la metafora di una vita standard, non adatta ai cambiamenti. 

Mystic Pizza è la storia graziosa e commovente di tre donne alla ricerca della propria strada, condita da gesti umili e sinceri, riempita dai sentimenti di una piccola comunità di pescatori portoghesi e di ragazzine che sorridono ai clienti con una pizza in mano, e poi la sera piangono, chiuse in camera e incapaci di capire perché l'amore faccia così male.

Perché tutti ci siamo posti quella stessa domanda, almeno una volta nel nostro letto, solo che ora lo abbiamo dimenticato. 

domenica 17 agosto 2014

Anton Ego - Il mestiere del critico



Proiettare la mia immagine mentre scrivo, è una delle fatiche preferite dalla mia fantasia. 
Spiegare i come e i perché del critico, sia esso cinematografico, letterario, musicale, gastronomico e così via, non è mai facile.

Non lo è perché quella del critico, è una professione mai identica. Si evolve, cambia insieme ai tempi e agli spazi e agli stati d'animo di chi la professa. Poi c'è chi crede che un critico debba essere imparziale, estraneo ai sentimenti propri. Che grossa  menzogna è questa, la critica altro non è che un sintomo dell'arte e del mondo, per quello che è o che vorremmo che fosse. La critica è quell'attitudine di una mente mai stanca di lavorare, di occhi sempre puntati verso la scoperta, verso il rinnovamento. 

Ma io vi chiedo scusa, poiché in questo momento non avrei parole migliori di quelle di un critico ormai noto, "incallito" come direbbe qualcuno. La prima volta che vidi Ratatouille e conobbi Anton Ego, capii che in fondo la critica non è così diversa dalla moltitudine di ricordi che all'improvviso riaffiorano, mentre scrivo. Quando un film ti arriva dentro, è probabile che tu quelle immagini, quelle musiche, quella trama, le abbia associate a un momento preciso e fondamentale, della tua vita. E questo capita al di là del campo in cui si "opera".

Che sia di fronte a un grande schermo, un palco, o semplicemente un piatto povero, ma reso "straordinario" da un sentimento ritrovato. Il potere dell'arte è anche questo. 

Tu la contempli e l'assapori, convinto che la scoperta riguardi solo te, e che parta dalla tua posizione fino ad arrivare a ciò che hai di fronte. Ma il più delle volte è lei, a scoprire tutto di te.
E in quel caso, "tu" ti privi inconsapevolmente di ogni imparzialità.

Per molti versi la professione del critico è facile: rischiamo molto poco, pur approfittando del grande potere che abbiamo su coloro che sottopongono il proprio lavoro al nostro giudizio; prosperiamo grazie alle recensioni negative, che sono uno spasso da scrivere e da leggere. Ma la triste realtà a cui ci dobbiamo rassegnare è che nel grande disegno delle cose, anche l'opera più mediocre ha molta più anima del nostro giudizio che la definisce tale. Ma ci sono occasioni in cui un critico qualcosa rischia davvero. Ad esempio, nello scoprire e difendere il nuovo. Il mondo è spesso avverso ai nuovi talenti e alle nuove creazioni: al nuovo servono sostenitori! Ieri sera mi sono imbattuto in qualcosa di nuovo, un pasto straordinario di provenienza assolutamente imprevedibile. Affermare che sia la cena, sia il suo artefice abbiano messo in crisi le mie convinzioni sull'alta cucina, è a dir poco riduttivo: hanno scosso le fondamenta stesse del mio essere! In passato non ho fatto mistero del mio sdegno per il famoso motto dello chef Gusteau "Chiunque può cucinare!", ma ora, soltanto ora, comprendo appieno ciò che egli intendesse dire: non tutti possono diventare dei grandi artisti, ma un grande artista può celarsi in chiunque. È difficile immaginare origini più umili di quelle del genio che ora guida il ristorante Gusteau's e che secondo l'opinione di chi scrive, è niente di meno che il miglior chef di tutta la Francia! Tornerò presto al ristorante Gusteau's, di cui non sarò mai sazio.

Anton Ego

mercoledì 13 agosto 2014

Liberami, di Anna Piazza



In una Trieste calda e soffocante si muovono i personaggi del romanzo Liberami, scritto dalla giovane autrice friulana Anna Piazza

I toni grigi di un'estate che costringe a chiudersi in casa, all'oscuro, sono gli stessi che svelano i drammi interiori dei personaggi descritti dall'autrice. A parlare in prima persona è Eva, una giovane giornalista alle prese con un'inchiesta non facile, poiché guarda ai margini delle strade e racconta di vite spezzate, di corpi venduti per niente, di calze sgargianti e tacchi altissimi. 

Le vite di queste donne si dissolvono nel fumo delle loro sigarette, e lentamente si congedano, dietro i fari delle auto che vanno e vengono, dietro i piaceri effimeri e spesso violenti di uomini sempre diversi.

Eva crede ancora nel valore del giornalismo, e lo fa con tutta l'ingenuità e tutti i tormenti di una donna convinta di cambiare il mondo, se solo questo si fermasse davvero a riflettere su ciò che lo circonda. Così, attraverso l'inchiesta sulla prostituzione che investe le notti di Trieste, alla vita di Eva se ne congiungono delle altre. Quella di Stefano, il collega che passa le notti in redazione e sembra svuotato della propria esistenza. Amante occasionale e complicato, Stefano nasconde una verità che spiega la sua solitudine, il suo distacco dal mondo. Virginia, la migliore amica di Eva e donna ricca di entusiasmo e innamorata della vita. Emira, una donna albanese giunta in Italia alla ricerca della sorella, la cui tragica fine cambierà completamente la vita di Eva.

Liberami è un libro che sembra essere scritto con la pancia, con tutto ciò che smuove le viscere e vuole a tutti i costi portare a galla un male nascosto dall'ipocrisia generale. Un male moderno, che riguarda un po' tutti. Perché qui si trova non solo l'inchiesta sulla prostituzione, bensì il male di vivere legato ai pregiudizi che ledono la libertà di amare, di sentirsi parte di una società che non rida più di una donna che per campare vuole scrivere, e fare dell'informazione la propria missione per vincere le avversità dei tempi che corrono. Sempre più veloci, sempre più bugiardi e pericolosi. Pronti a condannare chi è diverso, chi resta indietro o si ferma per vedere meglio e oltre le apparenze.

Chi lo sa se poi alla fine vale così per tutti, ma nessuno può impedirci di credere che, trovare la forza di uscire alla luce del sole, per vivere serenamente ciò che siamo, come amiamo e "chi", sia davvero la sola possibilità che abbiamo di sentirci finalmente liberi.

martedì 12 agosto 2014

Robin Williams - Il sorriso dei giorni più brevi



Forse il dolore più grande, è quello che ci porta ad assorbire la morte ovunque essa si trovi.

Il dolore è la verità che ti grida alle orecchie che nemmeno il tuo mito di celluloide, è invulnerabile come credi. Come credono tutti. Finché poi un giorno non capisci cosa realmente si celi dietro quel sorriso. 
Dietro quel fare da piccolo Charlot che inciampa e poi vola a sconfiggere Capitan Uncino, e poi si rialza e con un naso rosso diffonde allegria, e poi diventa bambino che non resiste al suono dei dadi che corrono sul tavolo da gioco, e poi sale sulla cattedra e dona a tutti degli occhi nuovi, e poi...quanti "e poi" potremmo scrivere su di un uomo che ha prestato per anni, il suo volto e la sua contagiosa allegria, combattendo ogni giorno contro quella bestia oscura che se lo divorava dentro?

Io credo tanti. E credo che la vita a volte ci costringa a mantenere un ruolo, e lo fa solo per tamponare tutto il resto.

Per me, per molti di noi, tu sei stato il sorriso che avevano i giorni della spensieratezza, i pomeriggi passati davanti alla tv in famiglia con quei film che insegnavano e alleggerivano allo stesso tempo l'esistenza. I giorni più belli, i più brevi.

Perché la vita così vuole, devi capire che tutto ciò che ti fa esplodere il cuore e ti toglie il fiato, altro non è che un attimo, un puntino nel mare del tutto. 

"Cogli la rosa quand'è il momento,
ché il tempo, lo sai, vola
e lo stesso fiore che sboccia oggi
domani appassirà".

sabato 9 agosto 2014

La coscienza linguistica



Qualche giorno fa ho ripescato dalla libreria un piccolo "saggio" letto ai tempi dell'università. Non saprei dirvi perché, sapete no quando è il libro a "scegliere" voi e non viceversa? Come poi spesso, erroneamente, si crede.

Il libro in questione è Consigli a un giovane scrittore di Vincenzo Cerami, e sarebbe bello considerarlo fin da subito, come il frutto di tanti fogli stropicciati e magari invecchiati dal tempo, sui quali un allievo, prima di diventare maestro, appuntava ciò che piano piano apprendeva. E tra un appunto e l'altro egli imparava, e cresceva. Finché un giorno questi fogli sparsi hanno trovato una degna e pulita sistemazione, tanto pulita e ordinata da diventare un libro. 

Un saggio sull'arte del narrare, una raccolta di passaggi e di consapevolezze che ogni aspirante scrittore, sia esso nel campo del cinema, della letteratura, della radio o del teatro, deve possedere. 
Ma con questo post non vorrei dire tutto o troppo del libro di Cerami, al contrario, vorrei ripercorrere insieme a voi, passo passo, tutti questi consigli preziosi messi a nostra disposizione dallo scrittore. 
Oggi che ho riaperto il libro, ho avuto la sensazione di aver iniziato a frequentare un corso di scrittura creativa, e ogni capitolo che lascio è un splendida e illuminante lezione appena conclusa. 

Al termine di questo "corso", e solo allora, recensirò come si deve (be' uno ci prova) il saggio di Cerami.

Dunque immaginate che questa sia una lezione di linguistica, breve anzi brevissima, che non vada oltre i cinque minuti. Vi starete chiedendo: "sì ok, ma cosa imparo in soli cinque minuti?".
"A conoscere il linguaggio che utilizziamo" - vi dico io.

Noi, o molti di noi, scrivono tutti i giorni. Chi per gioco, per passione o per professione. Scriviamo, parliamo, leggiamo e tutt'intorno a noi è un mondo di segni e suoni linguistici. La lingua è ovunque, ne abusiamo talvolta (Potevo stare zitta? Potevo evitare di scriverlo?) e fatto ancor più grave, ignoriamo il modo in cui la utilizziamo, senza sapere quale sia il nostro linguaggio, come cambia e perché.

È un aspetto curioso e una riflessione interessante, questa della "coscienza linguistica", e me ne accorgo solo ora, grazie a quanto scritto da Cerami. Io ci credo alle coincidenze, soprattutto quando si tratta di incontri letterari. Era giunto il momento, io dovevo fermarmi un attimo a guardare meglio ciò che faccio tutti i giorni, o quasi. Dovevo conoscere il mio modo di scrivere, o almeno imparare a capirlo per quello che realmente è.

La storia della coscienza linguistica si potrebbe raccontare come la storia di un tipo che guida la sua bella automobile. E l'auto va, va e continua ad andare e il tipo alla guida continua a fare ciò che con buone probabilità gli viene naturale, facile. Ma pensate se quel tale guidasse senza nemmeno conoscere il modello della sua stessa automobile. Cioè la sua carissima e storica compagna a quattro ruote. Guidare e non sapere "cosa" si sta guidando, è un po' come lo scrittore che scrive e non conosce il proprio linguaggio.

Si conosce la lingua sì, ma la lingua e il linguaggio sono due cose ben diverse. La prima "comunica", la seconda "esprime", e c'è una bella differenza, Cerami docet!

Detto questo, non mi rimane che lasciarvi con un esempio pratico, molto pratico. Dopodiché, io spero davvero che voi possiate iniziare a interrogarvi su come parlate e scrivete tutti i giorni, perché è una ricerca interessante, si capisce molto di sé stessi ed è un bel passo in avanti.

#esempio
"La coscienza linguistica - Cos'è? Come la riconosco? Come ci lavoro per migliorarmi?"

Mettete caso che un tizio, in un giorno di ordinaria follia, vi mandasse a cagare, così, senza motivo. 
Solo perché gli va. La coscienza linguistica entra in gioco ora, per mezzo della vostra reazione a tale sciagura linguistica, e non solo. 
"Perché?".
Perché voi lo guarderete dritto negli occhi e gli direte: "Ehi tu, sei consapevole del mezzo espressivo che hai appena utilizzato per mandarmi a cagare?".

Ecco qua la coscienza linguistica.
Non è meravigliosa?


giovedì 7 agosto 2014

Dans la maison



La verità è che il titolo originale a volte è così bello, che tradurlo diventa atto oltraggioso, e tu non puoi, non ce la fai.

Dans la maison è Nella casa per lo spettatore italiano, un film del 2012 diretto dal regista francese François Ozon. Ispirato alla pièce teatrale spagnola El chico de la ultima fila, di Juan Mayorga, il film mette in scena o meglio "sviscera" tutto ciò che si crea nell'ambito del processo creativo che vede coinvolti, non solo l'autore e i suoi stessi personaggi, ma anche il pubblico, così come un ipotetico produttore o editore. Insomma, la casa di Ozon è l'anima dello scrittore, di colui che vive e vaga per il mondo alla ricerca di una storia che possa catturare l'attenzione di un lettore ideale, nonché la propria.

La casa è dove tutto ha inizio, dove l'autore vede per la prima volta i suoi personaggi e tutte le loro storie che inevitabilmente si legano e poi si slegano, incrociandosi e complicandosi l'una con l'altra, con il solo e unico scopo di portare lo spettatore a porsi la fatidica domanda: " che succederà?". 

E così mentre l'autore pianifica quella strada che va da A a B, chi osserva e legge l'evolversi dei fatti, finirà col non capire più se di finzione o di realtà si tratti, e quando questo accade, magari c'è da credere che la storia, funziona!


La vita al limite del bidimensionale, condotta dal professore di letteratura Germain/Fabrice Luchini, viene rianimata dall'incontro con un giovane studente dotato di un particolare talento nello svolgere i propri temi. Il professore è incuriosito da questa peculiarità del ragazzo, che lo vede concludere ciò che scrive, non con un punto, bensì con un "continua". Il giovane Claude, racconta a mo' di cronaca, il pomeriggio passato a casa di un compagno di scuola, Rapha Artole. Preso da quell'esperienza, che lo faceva in una volta sola spettatore e autore della propria storia, Claude, con la scusa delle ripetizioni di matematica, continua a frequentare la casa dei Rapha, alimentando così la sua stessa brama di voyeur e burattinaio, e al tempo stesso quel desiderio di "sapere" come finirà la storia. Desiderio che oramai ha invaso e travolto le giornate del professore e della moglie, Jeanne/Kristin Scott Thomas

Una storia che prende vita e lentamente si dipana all'interno di un'altra storia, una matriosca narrativa che sprigiona strategie di genere ovunque, partendo dalla commedia e arrivando al dramma, dal thriller carico di suspense, finendo poi nell'irreale e nel grottesco, tipici della commedia nera.

Viene fuori senza freno, il potere seducente e manipolatorio della scrittura, sì insomma l'arte comunica per mezzo di linguaggi di volta in volta differenti, e lo spettatore a un certo punto non è più in grado di tracciare un confine, tra ciò che è finto, inventato, immaginato da menti altrui, e ciò che invece è reale, vero, tangibile, di tutti.


Si ama questo film e se ne può godere appieno, se si è soliti perdersi nell'immaginazione più fervida, che porti il più vicino possibile a scrutare nella testa di uno scrittore. Nel momento in cui inizia a vedere la sua storia e si accinge a scriverla. Si ama questo film perché parla di tutti noi, sedotti e coinvolti in questo gioco macchinoso e poetico, talvolta brutale e senza pietà, chiamato cinema*.

*cinema, letteratura, poesia, musica, arte e così via...



martedì 5 agosto 2014

Charles Bukowski al cinema. Storie di sbronze e di pop corn.


Il 9 marzo del 1994 a San Pedro, Los Angeles, morì uno dei più grandi scrittori del Novecento, paladino della semplicità e di quel realismo sporco, fatto di sesso e di alcol, di eccessi e di vagabondaggio dell'anima. Con quella sua semplicità Charles Bukowski divenne uno dei pochi scrittori in grado di afferrare la realtà delle cose, senza abbellirle di fronzoli sontuosi o allettanti, solo raccontandola così com'è, bella o brutta che sia poco importa.

Oggi ricorre dunque il ventennale della sua scomparsa, e in libreria esce il saggio divulgativo scritto da Michele Nardini, Charles Bukowski al cinema. Storie di sbronze e di pop corn. Edito da Giovane Holden Edizioni, questo libro vuole raccontare il cinema e la poesia di Bukowski al tempo stesso. Anche se lui del cinema aveva un' idea ben precisa: "Il cinema, luogo del pop corn, del tempo sprecato e dell'impossibilità di bere un drink in santa pace".

Nonostante ciò, sono molteplici i punti di contatto con la settima arte, basti pensare a Storie di ordinaria follia, BarflyFactotum, portati sullo schermo da registi diversi, ognuno di importante rilievo nel panorama cinematografico mondiale. In ordine Marco Ferreri, Barbet Schroeder e Bent Hamer.
Al di là degli sforzi che un regista più o meno faccia, pur di rispettare lo spirito dell'opera originale, c'è da dire che anche in questo caso, rimane difficile riscontrare nei film, lo stesso filo diretto che lega la vita alla letteratura, rintracciabile solo e unicamente, nelle pagine scritte dall'autore statunitense.

Nel libro di Nardini, c'è l'analisi dei film ispirati alle opere dello scrittore, e allo stesso tempo la descrizione dei mondi in qui egli viveva e si muoveva. Catturandone il meglio e il peggio. 
C.B. cantore dei bassifondi urbani e della frantumazione dell'American Dream, per comprendere la sua poetica, bisogna partire da quella sua innata "tendenza" a far confluire l'arte nella vita e la vita nell'arte. 

A vent'anni dalla sua morte, Bukowski, non è solo un'icona nel mondo letterario e cinematografico, ma un punto di riferimento prezioso per chiunque voglia avvicinarsi al mondo della scrittura, sia essa letteraria o cinematografica.

I libri di Giovane Holden Edizioni sono in vendita in tutte le librerie.
On line all'indirizzo www.giovaneholden-shop.it
Prezzo di copertina 15,00 euro.


domenica 3 agosto 2014

Cinecittà World? - Parliamone...



Questo sabato sono stata al Cinecittà World, il nuovo parco a tema di Roma dedicato un po' al cinema, un po' al divertimento.
No, non siete finiti su tripadvisor.
Tuttavia...

Che dire? Partiamo dai "pro", dicendo che il parco gode di una struttura bella ampia, così come di una suggestiva scenografia per quanto riguarda le ambientazioni più (cinematograficamente) allettanti. Curato e pulito, attento e gentile il personale. Grande e promosso a pieni voti dal punto di vista dei servizi e della cordialità.


I "contro" sono tutti nell'oneroso biglietto d'ingresso, in rapporto poi ai servizi che "per il momento" il parco offre al pubblico pagante. Trenta euro soprattutto per una famiglia, iniziano ad essere un po' troppi. Ho trovato di pessimo gusto il fatto che una volta entrati, e una volta pagato un biglietto che mi permette di stare fino a chiusura del parco (ovvero alle 23:00), io non ho la possibilità di potermi allontanare e uscire dal parco per un qualsiasi motivo X, e poi tornare. Cioè, il parco ti permette di uscire solamente per arrivare alla macchina parcheggiata (nel parcheggio pagato ben 5 euro), tempo massimo consentito dieci minuti. 
Be', questa cosa è sbagliata.


Primo perché sei disonesto e mi stai privando del mio diritto a sfruttare un parco che mi è costato "mica due lire", secondo (e qui sei pure poco furbo) non riesci ad adeguarti alle linee degli altri parchi. Vedi Mirabilandia, per dirne uno. Io sono libera di andare in albergo a pranzare per poi tornare quando voglio. Non solo, torno il giorno dopo, e "a gratis". Poi c'è il discorso legato ai bambini. Al di sotto di un metro non si paga*. Però, la maggior parte dei giochi è consentita ai bambini non al di sotto di un metro e venti. 
Bella incongruenza, dico io! 
*Ridotto per i bambini alti più di un metro, dunque. E ridotto significa 21 euro...



Per concludere, di attrazioni vere e proprie il parco ne conta quattro. Padiglioni grandi offrono al pubblico spettacoli dal vivo che, lasciatemelo dire, potrebbero essere più eclatanti. Mica per niente, ma ti chiami "Cinecittà World" e come minimo io mi aspetto qualcosa di "più" di quanto non abbia già visto altrove. 
Alla fine, se mi dovessero chiedere: "ne vale la pena pagare trenta euro?", io direi .
Perché questo, pensandoci bene, è un biglietto che paghi una volta. Complice la curiosità, la tua passione per il cinema (qualora ve ne fosse), il fatto che abbia appena aperto un parco a tema a pochi chilometri da casa (nel mio caso specifico). Tornare ti costa troppo e, siccome l'esperienza insegna, ti dici che una volta in fondo, può anche bastare.


Spero che l'esperienza insegni anche agli addetti in prima persona, perché il parco potrebbe avere fortuna. Ha tutte le carte in regola per stare al passo con gli altri parchi italiani. Manca la strategia che sta nel rispetto completo del cliente, quel dettaglio che porta la gente a tornare di nuovo. Dettaglio che, per il momento, non c'è.

Ma magari è solo una questione di tempo, e noi il tempo per migliorare non lo neghiamo a nessuno.



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