venerdì 24 agosto 2012

Fernaldo Di Giammatteo. Il mestiere del Critico Cinematografico


Oggi, nel tentativo di fare ordine e togliere i mucchi di polvere dalla mia libreria, ritrovo dei vecchi "libricini" della collana "tascabili economici Newton". Entrambi questi libri sono scritti da Fernaldo Di Giammatteo, storico e critico cinematografico. Rappresentano una sorta di Dizionario del cinema e questi due nello specifico si occupano di dare uno sguardo a "Cento grandi attori"  uno, e "Cento grandi registi", l'altro. Ha catturato la mia attenzione oggi quest'uomo, in particolar modo la sua biografia, il suo stile, il suo modo di "intendere" la critica cinematografica. Una saggistica esaudiente ma semplice al tempo stesso. Piena di nozioni fondamentali di critica e storia del cinema ma accessibile anche a chi non ha alcuna competenza in materia. Tutti possono leggere i suoi saggi e tutti, possono rimanerne affascinati...
Quando penso al mestiere del critico, io, voglio dire esattamente QUESTO!!!

Fernaldo Di Giammatteo (1922-2005) critico e storico del cinema, ha progettato, dirigendone la redazione della sezione autori, il Filmlexicon degli autori e delle opere (Edizioni di Bianco e Nero, Roma 1957). Dal 1969 al 1975 è stato vicepresidente del Centro Sperimentale di Cinematografia. Nel 1974 ha fondato la collana monografica “Il Castoro Cinema”. Dal 1982 al 1993 ha diretto la Mediateca Regionale Toscana. Fra le sue opere: Dizionario universale del cinema (con C. Bragaglia, Editori Riuniti, Roma 1985 e 1994); Lo sguardo inquieto. Storia del cinema italiano 1940-1990 (La Nuova Italia, Firenze 1994); Storia del cinema (Marsilio, Venezia 1998); Milestones. I trenta film che hanno segnato la storia del cinema (Utet, Torino 1998). Per la Bruno Mondadori ha pubblicato Introduzione al cinema (2002), Che cos’è il cinema (2003 e 2006) e Dizionario dei capolavori del cinema (2004 e 2008).
Quando con 1000 lire ci si comprava qualcosa di "prezioso"

CONSIGLI DI SCRITTURA
di Fernaldo Di Giammatteo

“Odio i cinefili, non sopporto chi non sa scrivere, chi scrive oscuro, chi usa gerghi, chi non si prende la briga di spiegarsi semplicemente, chi non racconta pianamente le storie del film, chi si nasconde dietro l’autorità (e i crittogrammi) altrui, chi si abbandona ai piaceri dell’apologia, dell’entusiasmo, del delirio trionfalistico. Amo chi ha l’umiltà di trascrivere in termini accessibili anche i problemi critici più ardui”.

“A me della seriosità non frega proprio niente. A me interessa la chiarezza e, insieme, il pepe dello stile: le due cose evitano la noia. Non tutti gli autori sono chiari, pochissimi hanno il pepe. Pazienza. Io ci provo, rompo i coglioni. Soprattutto con quelli che partono sicuri, baldanzosi, catafratti e arroganti. Perché di certo costoro sbagliano, se è lecito dirlo, in perfetta umiltà”.

“Il perfetto autore deve immaginare che il lettore non sa nulla. Occorre fornire notizie esaurenti. Occorre spiegare ogni problema di critica, di teoria. Occorre far comprendere film per film di che cosa esattamente si tratta e si racconta. Occorre essere semplici e non “cinefilici” nella scrittura per farsi capire da tutti, sapendo che, appunto, nessuno sa nulla”.

“Anche l’ordine è chiarezza e la chiarezza è il segreto dei buoni saggi”.

“Ricorda il tono (semplice, accessibile), la necessaria scientificità del saggio (i film vanno analizzati a fondo, nei loro meccanismi narrativi e figurativi), gli indispensabili e puntuali riferimenti biografici, passo per passo nel corso del saggio, il quadro sociale e culturale [...]. Tieni presente che tutti i termini specialistici e tutti i problemi critici vanno sempre spiegati, mai dati per noti”.

“Quando capita fate cenno della recitazione, parlate degli attori che interpretano le parti maggiori, entrate un poco nel meccanismo del rapporto uomo-personaggio e sue tecniche”.

“La scelta dei temi, la loro organizzazione in un discorso attraente e il “panorama” culturale che ne scaturisce meritano di essere travasati in un linguaggio il più possibile limpido (senza perdere nulla della sua “concettosità”)”.

“Quando leggo “attorno a film del calibro…”, mi appare il fantasma minaccioso del becero linguaggio degli intrattenitori televisivi e non posso non ribellarmi in nome della lingua italiana. Perché non scrivere “attorno a film dell’importanza, o del prestigio, o della fama”?”.

“Si tratta di semplificare ovunque possibile (mi domando, ad esempio, se sia indispensabile scrivere “non è dotato di oralità”, espressione così solenne e “scientifica”, invece del brutale “parla”) e sempre sull’ottica della semplificazione, di evitare le ripetizioni. Che vengono spontanee per ribadire un concetto o per riprendere il filo del discorso ma che finiscono per dilatare e appesantire il testo”.

“Ripulisci e semplifica ancora. Ma non per arrivare al giornalismo (che è un’altra cosa, genere diverso) ma alla saggistica “comunicativa”: scientifica e rigorosa d’impianto, leggibile (di lingua comune, non di metalinguaggio) di struttura. Non alla divulgazione. Nemmeno. Alla pura, ricca comunicazione”.


1 commenti:

  1. Eh, se solo i critici di nuova generazione che hanno la fortuna (e il privilegio) di essere critici di professione avessero solo seguito un suo consiglio, beh, avremmo una critica cinematografica migliore!

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