lunedì 6 agosto 2012

Andy Warhol: l'immagine che si dilata davanti a una Bolex


"Se dico Pop Art dico Andy Warhol", è un po' come una regola matematica credo io.
La prima immagine è quella di un paio di barattoli Campbell's, non so perché il mio pensiero, d'istinto, sia la zuppa in scatola più famosa al mondo...però se la mia memoria non mi inganna potrei giurare che parte della colpa vada anche a un episodio de I Simpson, in cui lo stesso Homer ne rimane talmente affascinato da sognarseli la notte, con tanto di un Warhol in veste di "lanciatore di barattoli". Spero vivamente che qualcuno di voi mi confermi la cosa, altrimenti ho appena fatto una "gaffe" imbarazzante.

Un uomo che rende celebri due pezzi di latta può essere soltanto un  genio...
Non dimentico però il volto della bella Marilyn in primo piano, splendida serigrafia realizzata da Warhol negli anni '60, partendo da una fotografia di Gene Korman usata per pubblicizzare il film Niagara del 1953.
Di questo incredibile artista io non smetto mai di stupirmi, più leggo la sua storia, più me ne innamoro. Sappiamo che è stato un pittore, scultore, regista, produttore cinematografico, direttore della fotografia e montatore, nonché attore. Nasce il 6 agosto, a Pittsburgh, nel 1928. La sua figura viene per la maggiore associata alla cosiddetta Pop Art, una delle più importanti e innovative correnti artistiche del Dopoguerra. Il termine, per la sua derivazione inglese, può far inciampare in una interpretazione fuorviante,sbagliatissima, per evitare ciò, ricordiamo appunto che questa corrente ha davvero nulla a che fare con il termine "popolare", cioè del/per il popolo. Se affermassimo il contrario, chi conosce Warhol potrebbe "giustamente" risentirsi, dal momento che la Pop Art è un'Arte "anonima", che si perde e si confonde nella "massa". Il mondo rappresentato è un mondo dominato dal "consumo" e bombardato dai media e dalla pubblicità. Non ha volto se non quello degli oggetti e delle cose che riempiono il quotidiano. Compito della Pop Art diventa quindi prendere comuni oggetti ed elevarli a potenti mezzi di comunicazione e espressione artistica, che ricorda, anche se in maniera diversa, il movimento Dada. La Pop Art non è stravagante e volutamente irrispettosa, non c'è il disgusto e il rifiuto nei confronti delle usanze del passato. I Dadaisti dovevano ribellarsi alle barbarie della Prima Guerra Mondiale, la loro Arte voleva essere una "anti-arte" (Un concetto affascinante, che meriterebbe d'esser approfondito, e prima o poi lo farò...).

Detto questo, torniamo a Wharol...
Avete mai sentito parlare della "Silver Factory"?
Tra gli anni 1962 e 1968 Warhol diede vita a dei veri e propri "studi d'Arte", dove poter dare libero sfogo a tutte le sue ispirazioni. In origine lo studio, il primo dei successivi che saranno poi realizzati, si trovava al quinto piano del 231 East 47th Street, a Midtown Manhattan. Colorata d'argento e ricoperta di carta stagnola, La Factory divenne col tempo emblema di un vero e proprio stile di vita, quello fatto di arte di ogni genere, di anfetamine, sesso, feste e tanti, tanti soldi. Al servizio di Warhol nacque un team di artisti, musicisti, scultori, attori e pittori divenuti poi  "Le Superstar di Warhol". Gli operai dell'arte di W. contribuirono in maniera determinante nel rendere famosa e unica la Factory. Le atmosfere caratteristiche devono molto anche a Billy Name, fotografo della Factory e  amico di W. Si realizzava qualsiasi cosa che potesse portare il marchio Warhol, scarpe, film, riproduzioni e sculture di ogni genere. Anche molti artisti e musicisti frequentarono la Factory, tra questi i nomi di  Lou Reed, Bob Dylan, Truman Capote e Mick Jagger. 

Nel 1965 W. collabora con la Rockband newyorkese, Velvet Underground, realizzando la copertina del loro album di debutto "The Velvet Underground & Nico". (Realizza anche la copertina dell'album Sticky Fingers dei Rolling Stones).

Questo artista guardava l'America tradizionale e la commentava attraverso la propria Arte, questa però scivolava spesso in cose inaccettabili, se pensiamo al senso del pudore e a tutto ciò che viene generalmente considerato come socialmente e umanamente "corretto". I suoi studi erano diventati ormai luoghi in cui "l'amore" o meglio il "sesso" più primordiale erano all'ordine del giorno. Non mancavano arresti durante le proiezioni dei suoi film, che io personalmente non ho mai visto, ma a quanto pare abbastanza "volgarotti", politicamente e umanamente trasgressivi, diciamo così. Della serie "Evviva l'Amour"...

Ma al di là delle controversie e dell'aspetto più grottesco e transgender che ricorda Warhol, a me ha colpito il suo modo di intendere il Cinema. Nel 1963, W. si prende una bella Bolex 16 mm, e comincia a girare i suoi primi film. Alla base di questi primi lavori, Eat, Empire, Sleep, Kiss, c'è una forte dilatazione del tempo. L'immagine viene ripresa in maniera statica, immobile, da un unico punto di vista. Il lavoro era poi facilitato dalle caratteristiche della Bolex, una macchina tutt'altro che maneggevole. I film risultano essere come quadri sospesi, dilatati nel tempo...su di una parete bianca, girati in 16 mm alla velocità di 24 fotogrammi per secondo e proiettati alla velocità di 16 fotogrammi al secondo; questa caratteristica rallenta e amplifica l'immagine del film, che viene così percepita in un tempo lunghissimo.

Prendiamo Empire, ben 8 ore di film. Cosa vediamo? Un'inquadratura fissa che ritrae l'Empire State Building, dalla sera alla mattina del giorno dopo. Solo un "pazzo" poteva fare un esperimento simile, otto ore con una macchina fissa, tutto senza intervento di montaggio o tagli. Solo il tempo dilatato, così com'è, a scontrarsi con il tempo filmico...
Warhol riporta il cinema alla primordialità, una sola sequenza continua, ininterrotta a mostrare i corpi nel senso più "fisiologico" possibile. E a questa rivisitazione di cinema come emblema della pittura, statica e tangibile che esclude l'eloquenza del linguaggio per dare assoluto spazio alla fisicità dei corpi si aggiunge l'idea di una Hollywood "domestica". W. si divertiva infatti a ritrarre i divi persi nelle loro abitudini e azioni quotidiane.
Ecco la prova...ora capite perché questi "barattoloni" di zuppa hanno sempre ossessionato la mia memoria!

L'America vista da Warhol sembra non avere via di scampo, e lui non ha esitato a "sbatterglielo" in faccia. Con la sua Arte, il suo trasgressivo e irrompente modo di vedere gli uomini persi e confusi nella massa, soffocata dalla pubblicità, la stessa di cui poi egli si è servito, pur di vincere la guerra contro l'anonimato...





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