Dopo le fantastiche e visionarie avventure di Tin
Tin, ispirato ad una “ striscia a fumetti “ belga creata nel 1929 da Hergé, Spielberg torna a
raccontare “ la guerra “ al suo pubblico. Dalla sua “ prima volta “ , ne sono
passati di anni, da quel 1987, anno in cui il regista realizza il suo Empire
of the Sun. Il film, ricordiamo essere ambientato in quella Shangai
degli ’40 invasa dagli Giapponesi. La storia parte da qui, da quello che fu
soltanto il prologo di una terribile guerra
conclusasi poi nella nube di Hiroshima. Avevamo lasciato qui un
giovanissimo Christian Bale ( scoperto dallo stesso Spielberg ), nei panni
di Jamie, figlio di benestanti inglesi che si ritrova catapultato a Shangai
nell’ orrore dei campi di concentramento. Un primo importante approccio a quel
tema tanto caro a Spielberg, quello del mondo in tutta la sua dura completezza,
filtrato con gli occhi di un bambino.
Prima di arrivare al capolavoro dedicato all’ Olocausto, Schinder’
s list ( 1993 )il quale gli varrà il primo Oscar per la miglior regia,
il regista si afferma nel mondo del cinema come il “ Re “ della Fantascienza e dell’ avventura,
con pellicole destinate a fare la storia del genere, come Incontri ravvicinati del terzo
tipo ( 1977 ) e E.T.
l’ extra-terrestre ( 1982 ), senza dimenticare quello che fu capostipite
dell’ avventura “ tetralogica “ di Indiana
Jones, I predatori dell’ Arca perduta del 1981. Degli stessi anni,
ricordiamo il primo dei due capitoli dedicati ai giganteschi sauri nati dalla
penna di Michael Crichton, Jurassic Park ( 1993 ).
La guerra torna a fare da protagonista nel 1998 con Salvate
il soldato Ryan, di nuovo gli anni della Seconda Guerra Mondiale, con
quella memorabile sequenza dello Sbarco
in Normandia, destinata a rimanere nella storia del cinema.
In quest’ ultimo ritratto bellico ( il cui sfondo sarà
quello del Primo Conflitto Mondiale ), War Horse, Spielberg ci porta nelle
campagne del Devon, Inghilterra, dove prende vita una straordinaria amicizia, che
legherà profondamente un giovane ad un bellissimo puledro…
Questa profonda amicizia però, sarà messa subito a dura
prova, l’ Inghilterra annuncia l’ inizio della guerra contro la Germania, e il
padre di Albert sarà costretto a vendere Joey all’ esercito inglese; inizia così, quella che sarà l’ odissea
bellica del quadrupede, impiegato su entrambi i fronti, come una vera e propria
“ arma da guerra “.
L’ idea di War Horse in realtà nasce da una piece teatrale
vista dal regista a Londra, a sua volta ispirata al romanzo per ragazzi di
Micheal Morpurgo, da cui prende il
titolo lo stesso film. La guerra, che tornerà a far da sfondo anche al prossimo
film ” Lincoln “, sembra qui però prendere un ruolo secondario, quella
a cui assistiamo è in effetti la straordinaria storia di un cavallo e dei suoi,
seppur brevi, legami instaurati durante questi terribili
anni di conflitto. Una volta separato da Albert, Joey, verrà affidato ad un
gentile ufficiale inglese, il quale promette al ragazzo di averne le più
amorevoli cure, il che però non basterà, ad evitare, almeno per l’ uomo,
le “ inevitabili “ conseguenze della
guerra.
Dall’ inizio alla fine della guerra, Joey si troverà
coinvolto nelle drammatiche vicende di più personaggi, per i quali la guerra
non avrà il benché minimo riservo di misericordia. Non c’è umanità che tenga
sotto il tiro dei cannoni, ( o forse si ?
). Forse si, poiché in campo stavolta c’è il coraggio e la fedeltà di un “
animale “ che si ritrova letteralmente catapultato nelle logiche malate e senza
senso degli umani.
Dai giovani fratelli tedeschi, alla piccola Emilie e il suo
“ grand-père “, ovunque l’ animale vada, sembra portare un messaggio di
speranza tanto forte da annullare i confini che separano il mondo animale da
quello umano. E forse soltanto l’ innocenza di un cavallo sapeva tirar fuori
quel briciolo di umanità che aveva ormai completamente abbandonato gli uomini
nella cosiddetta “ terra di nessuno “.
Spielberg riesce a raccontare la guerra attraverso gli occhi e l’
anima di un animale, fortemente suggestive le riprese ravvicinate, ad
immortalare il volto di Joey, i suoi occhi, quel corpo statuario, lo spettatore
vive la storia cavalcando le emozioni dell’ animale, le quali riescono
addirittura a sovrastare quelle degli altri personaggi del film. E questo,
porta senz’ ombra di dubbio a riconoscere merito al regista, un merito che
rischia però di sbiadire quando questi, pur di salvaguardare quell’ “ happy-end “ che tanto piace al pubblico,
sfiora i limiti dell’ inverosimile.
Rischio che incombe quando ad esempio tra i fronti
contrapposti, due soldati, sfidano le logiche della trincea mettendo a rischio
la vita pur di liberare quel cavallo rimasto impigliato nel filo spinato. Nulla
da dire se pensiamo al carico di umanità racchiuso nella sequenza…si, almeno fino a quando non vediamo i due alle
prese con quel “ testa o croce “ che avrebbe
sentenziato il nuovo “ proprietario “ di
Joey… Insomma, bene gridare al mondo intero che un gesto di così tanta umanità
nei confronti di un animale valga più di mille medaglie, ma oltrepassare i
limiti della credibilità rischia poi di dare al tutto un tocco quasi “ surreale
“, e questo è male, perché l’ essere “
umani “ è un qualcosa che deve necessariamente esserci, “ al di qua “ dello schermo.
Dalle panoramiche incredibili sulla campagna inglese, a
quella che si impone quasi come “ protagonista assoluta “ del film, ( al
fianco dello splendido animale ), la colonna musica, firmata dal grande maestro
John
Williams; Così Spielberg, invita lo spettatore a seguire questa
commovente storia di un’ amicizia che supera tutti gli ostacoli … ( forse troppi
? )
…della serie “ preparate i fazzoletti che in sala si va “.
Di Valentina Orsini
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