“Aggiustare il taglio”. Per il golden boy dell’alta finanza Eric
Packer, non sembrano esistere controindicazioni. Avrebbe raggiunto il suo
barbiere di fiducia dall’altra parte della città e attraversato Manhattan anche
a costo di sfidare il caos nelle strade e sottovalutare un crollo improvviso
del suo impero. Fare i conti con un presunto assassino pronto ad ucciderlo. Ma
nulla è chiaro. Né dove, né come. Le 24 ore più importanti della sua vita. Una
limousine bianca che fa da palcoscenico. Tra incontri erotici e filosofici in
bilico tra la mente visionaria di Eric e un mondo in preda al caos.
L’elemento fisico che si
intreccia con quello psicologico. Importanti tematiche sociali sollevate da
intime e a volte inquietanti autoanalisi. L’uomo come punto cardine dell’universo.
Con i suoi morbi, i suoi tic.
La poetica sconvolgente di uno
dei geni del “body horror”, c’è. Si
percepisce fin dai titoli di testa che di lì a poco avremmo assistito ad uno
spettacolo travolgente e surreale. Forte, l’impatto visivo è quello che la
nostra memoria rimanda a capolavori in linea con lo stile del regista canadese.
Come l’horror fantascientifico del 1986, La
Mosca (The fly). Le patologie che portano l’essere umano all’autodistruzione
e a una visione distorta della realtà. Oppure Crash (1996), in cui un incidente d’auto è visto come “evento
fertilizzante più che distruttivo”.
Eppure qualcosa in questo
grottesco e visionario quadro “croneberghiano”, e mi duole ammetterlo, non va.
Sarà che stavolta c’era in ballo una trasposizione letteraria davvero complessa.
Il romanzo di Don DeLillo è quasi una visione profetica sulle sorti del mondo.
Una visione tragica e infernale che vede l’umanità scivolare, senza via di
scampo, nella catastrofe. Un romanzo che sembra tutt’oggi sorprendentemente al
passo con i nostri tempi, nonostante sia passato un decennio dalla sua
pubblicazione. Quel che stupisce e a maggior ragione ci porta a riconoscere
merito al regista, è un adattamento dalle premesse impossibili. Tra le pagine
del libro spiccano ricchi dialoghi impregnati di spunti filosofici ed esistenziali,
che rimandano, ed era inevitabile, alla dialettica “marxista”. Le prime parole
del manifesto comunista recitavano “Uno spettro si aggira per l’Europa”, nel
film di Cronenberg lo spettro invece si
aggira per “il mondo”. E spunta un argomento mai affrontato prima dal regista, ovvero
il denaro. Il potere che questo ha sugli uomini e come influenzi il mondo
intero. Il Capitalismo che si espande a livelli incontrollabili, tanto da spingere
gli individui a sentirsi alieni della società, solo perché rimasti “persone”.
Significativo il finale del film. 20’ di dialoghi tra Eric Packer e Benno
Levin. Una sequenza che sembra essere messa lì per tappare i buchi. Troppi. E
non è bastata la maestria di un Paul
Giamatti che pare un pesce fuor d’acqua. Costretto a fare da spalla a un “inspiegabile”
Pattinson.
Lo stesso Cronenberg ha ammesso
che portare sullo schermo i dialoghi di
DeLillo non sarebbe stato affatto semplice. Lo si avverte anche senza aver
letto il libro. Lo spettatore è infatti catapultato in un vortice troppo
confuso di dialoghi sparsi qua e là. Sembra che siano stati messi a casaccio
senza un reale o giustificato filo conduttore. Ma parliamo di Cronenberg. Uno che in passato
ha avuto a che fare con romanzi complessi, ricordiamo Il
pasto nudo (Nacked Lunch) nel 1991, tratto dall’omonimo romanzo di William R. Burroughs. Il già citato Crash,
di J.G.Ballard. Solo per citarne
alcuni.
Le perplessità di fronte a questo
Cosmopolis rimangono. Ci si chiede se davvero stavolta Cronenberg abbia fatto
bene o meno ad imbattersi in questa impresa. E al di là della fotografia,
affidata all’ormai inseparabile Peter Suschitzky e di una colonna
sonora mai deludente realizzata dal maestro Howard Shore; ecco, al di
là di questo, ci si chiede perché Cronenberg abbia voluto stordire il suo
pubblico non più servendosi dei suoi inconfondibili escamotage cinematografici,
bensì riservandogli senza preavviso, quell’insensato e indigesto ” vampiro”…
Ti dirò, io invece l'ho amato alla follia, tanto che aspetto l'uscita in dvd per averlo orginale insieme alle altre opere del Maestro ^^ ammetto però che non è una visione del tutto indolore, ed ha più di un passo falso... ma è stato comunque ammmmmmore :D
RispondiEliminaBisogna amare davvero Cronenberg per sentirsi soddisfatti davanti a Cosmopolis...=)Ma in fondo qui subentra quello, la pseudo infatuazione che abbiamo per determinati registi. Io non lo amo ma nemmeno nego il fatto che lo consideri (consideravo???) un autore unico nel suo genere, di quelli tosti da stravolgere sempre lo spettatore. Ma quel Cronenberg lì oggi è sparito, dov'è il regista di Spider? de La mosca? Io non lo so, non ho più ritrovato quel cinema lì, da A history of violence in poi solo il nulla, o poco più.
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