mercoledì 11 settembre 2013

"L'onestità", l'evoluzione di un concetto perduto.



È pericoloso, data la facilità con cui si sbaglia, vivere puntando solo sull'onestà

Questo è quanto sosteneva Tito Livio, voce storica di quella Ab Urbe condita che scandì gli anni della fondazione della città eterna in libri, o annali. Certo oggi è difficile agguantare con tanta lungimiranza e lucidità ,un concetto così complesso come quello dell'onestà. Oggi probabilmente si pensa all'onestà e ci si sente onesti fino al midollo quando con attenzione correggiamo la cassiera del supermercato, magari dopo aver visto che la poveretta, aveva sbagliato a fare i conti con il nostro resto. Oppure capita di sentirsi piccoli paladini dell'onestà, quando vediamo cadere qualcosa dalla tasca di un passante, se il malcapitato poi ha una certa età la nostra autostima cresce a dismisura, sì ammettiamolo. Ci sentiamo piccoli eroi per caso in queste occasioni...

Però al di là delle nostre piccole imprese, più o meno normali, esiste davvero qualcosa che sappia rinnovare in noi il concetto di onestà? Qualche giorno fa ero per l'appunto, al supermercato. Ero davanti ai litri di latte, poco prima del chilometro di yogurt e cose simili, quando mi va l'occhio su questo tizio non molto distante da me. Ancor prima dell'occhio l'orecchio, e sento una sorta di "filosofeggiare contemporaneo" che a me personalmente manda in delirio. Avete presente quel tipo sulla cinquantina, marsupio alla vita, occhialetto che fa figo sulla testa, sigaretta elettronica al collo, tre quarti di un jeans sbiadito e polo? Bene, il tizio è esattamente così, lo guardo e lo metto a fuoco ed è assolutamente preso da un suo certo modo di esporre, alla poveretta che gli stava di fronte, il concetto di "onestità". 

Perché ancora la chiamate onestà voi? Dai...
Insomma non poteva non catturare la mia attenzione, soprattutto l'idea di riflettere ancora una volta su questa parola che, sembra fare più paura di un sorriso all'agente del Folletto che incroci per sbaglio sulla via del ritorno, per andare a casa. Nonostante l'immediata reazione al folklore grammaticale del tale, ho iniziato a guardare questa scenetta con altri occhi. Non so il fatto che i due, molto probabilmente nemmeno si capivano a vicenda, eppure sapevano ascoltarsi, annuire con pazienza l'uno all'altra. Mi intenerisco per poco ultimamente lo so, che volete che vi dica...

Mi è tornato alla mente un passo di Calvino tratto da Romanzi e Racconti, qualcosa che ho avuto la fortuna di sfogliare durante la preparazione della Tesi di Laurea. Calvino parlava di onestà e la paragonava a un tic nervoso, ad un'abitudine mentale, a quella fetta di gente che ancora continuava a farsi degli scrupoli mentre il mondo attorno, altro non faceva che favori ai quali si sarebbero susseguiti degli altri e così via. 

"Così tutte le forme d’illecito, da quelle più sornione a quelle più feroci si saldavano in un sistema che aveva una sua stabilità e compattezza e coerenza e nel quale moltissime persone potevano trovare il loro vantaggio pratico senza perdere il vantaggio morale di sentirsi con la coscienza a posto. Avrebbero potuto dunque dirsi unanimemente felici, gli abitanti di quel paese, non fosse stato per una pur sempre numerosa categoria di cittadini cui non si sapeva quale ruolo attribuire: gli onesti. 

Erano costoro onesti non per qualche speciale ragione ( non potevano richiamarsi a grandi principi, né patriottici né sociali né religiosi, che non avevano più corso), erano onesti per abitudine mentale, condizionamento caratteriale, tic nervoso. Insomma non potevano farci niente se erano così, se le cose che stavano loro a cuore non erano direttamente valutabili in denaro, se la loro testa funzionava sempre in base a quei vieti meccanismi che collegano il guadagno col lavoro, la stima al merito, la soddisfazione propria alla soddisfazione d’altre persone. In quel paese di gente che si sentiva sempre con la coscienza a posto loro erano i soli a farsi sempre degli scrupoli, a chiedersi ogni momento cosa avrebbero dovuto fare. Sapevano che fare la morale agli altri, indignarsi, predicare la virtù sono cose che trovano troppo facilmente l’approvazione di tutti, in buona o in malafede. Il potere non lo trovavano abbastanza interessante per sognarlo per sé (almeno quel potere che interessava agli altri); non si facevano illusioni che in altri paesi non ci fossero le stesse magagne, anche se tenute più nascoste; in una società migliore non speravano perché sapevano che il peggio è sempre più probabile. 

Dovevano rassegnarsi all’estinzione? No, la loro consolazione era pensare che così come in margine a tutte le società durante millenni s’era perpetuata una controsocietà di malandrini, di tagliaborse, di ladruncoli, di gabbamondo, una controsocietà che non aveva mai avuto nessuna pretesa di diventare la società , ma solo di sopravvivere nelle pieghe della società dominante e affermare il proprio modo d’esistere a dispetto dei principi consacrati, e per questo aveva dato di sé ( almeno se vista non troppo da vicino) un’immagine libera e vitale, così la controsocietà degli onesti forse sarebbe riuscita a persistere ancora per secoli, in margine al costume corrente, senza altra pretesa che di vivere la propria diversità , di sentirsi dissimile da tutto il resto, e a questo modo magari avrebbe finito per significare qualcosa d’essenziale per tutti, per essere immagine di qualcosa che le parole non sanno più dire, di qualcosa che non è stato ancora detto e ancora non sappiamo cos’è". 

Tratto da Romanzi e racconti – volume 3°, Racconti e apologhi sparsi, i Meridiani, Arnoldo 
Mondadori editore. Uscito su la Repubblica, 15 marzo 1980, col titolo “Apologo sull’onestà nel paese dei corrotti".

Dalla consapevolezza di una mente e di un paio d'occhi illuminati e illuminanti come quelli di Calvino, scivolo di colpo nei simposi da supermercato, non c'è più alcuna forma o logica letteraria, grammaticale che sia, eppure rimane qualcosa di irrimediabilmente immutato nel tempo. L'inconsapevolezza di poter essere parte di qualcosa che un attimo prima ci appartiene, un attimo dopo no. Va e viene, passa attraverso di noi, probabilmente. E nemmeno lo sappiamo...oppure lo percepiamo appena, mentre al supermercato per caso un tizio all'apparenza sconsiderato, racconta storie comuni, che parlano anche di noi. E ci fermiamo, ed ascoltiamo...



9 commenti:

  1. Non conoscevo queste pagine di Calvino, grazie di avermi dato l'occasione di leggerle! E' strano come, a volte, riflessioni di questo genere sul comportamento e i valori sociali si inneschino da aspetti molto quotidiani, da scene come quella cui hai assistito al supermercato! Ti faccio i miei complimenti per aver raccontato e riflettuto con profondità e ironia allo stesso tempo! ;)

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  2. Vorrei dire qualcosa a proposito della cassiera, quando mi capita (pochissime volte) di correggere la cassiera io non mi sento certo un eroina onesta, sto solo aiutando la cassiera a fare il suo lavoro senza farle pesare il fatto che ha sbagliato il resto, perché in realtà a me non pesa ma a loro sì perché si chiederanno nella loro testa "che mi abbia presa per una ladra da quattro soldi?". Quando invece il tutto nella maggioranza dei casi è solo un grosso malinteso.
    E nel tuo incipit non mi ritrovo, anche se aiuto la gente non mi sento per niente onesta, nè un eroina, sento più che altro che sto facendo troppo poco, rispetto a tutto quello che potrei fare.

    Essere onesti è un concetto che sì si sta perdendo. Perché ormai è meglio diffidare del prossimo che fidarsi e "rischiare".
    Se ti parlassi della situazione dell'onestà in Argentina forse non mi crederesti, infatti non te ne parlo, ti risparmio qualcosa di orribile da sentire ma posso dire confrontando i due paesi che qui c'è ancora molta gente onesta e la situazione non è così senza speranza come la maggioranza degli italiani credono, purtroppo vivere in un altra realtà (dico purtroppo perché è una realtà davvero senza speranza quella argentina) mi ha dato la possibilità di apprezzare questo paese.

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  3. @Athenae grazie infinite. Per me i tuoi complimenti valgono molto, appena posso passo dalle tue parti e trovo il tuo modo di scrivere davvero interessante. Quindi i complimenti li ricambio immediatamente, anzi spero di tornare più attiva come prima e leggerti più spesso possibile. Grazie ancora. ;-)
    P.S. Ma la cosa più importante è che tu abbia scoperto qualcosa di nuovo riguardo allo scrittore più immenso che si conosca!!! =)

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  4. @Barbara infatti nel mio incipit c'era un po' tutto il velo di ironia amara che avvolge l'articolo. Nel nostro piccolo vivere quotidiano basta poco per farci innalzare dallo schifo generale. I piccoli eroi per caso che abbiamo in Italia immagino si sentiranno alienati in un paese con realtà differenti, più dure. Io non lo so, perché non ho vissuto mai al di là dell'Italia, quindi parlo per ciò che vivo e vedo. Cerco di esorcizzare i mali dell'uomo e di ironizzare laddove possibile, purché si rifletta. L'onestà, e non so se dopo aver letto queste righe si sia compreso, è secondo me dappertutto. Ma l'onestà di cui parlavo era quella con noi stessi, la più difficile da raggiungere. L'onestà è guardare quel tipo al supermercato e non ridere di lui, nonostante l'istinto porti lì. L'onestà con noi stessi ci fa fermare un secondo e ci dà la pazienza di guardare e ascoltare gli altri. In fondo, al di là della grammatica e della nostra cultura, l'onestà ci passa accanto, a volte attraverso, ma non bada a questi dettagli. Quell'attimo in cui lo capisci, sei stato onesto.
    Se è un discorso contorto chiedo perdono...in ogni caso io, ripeto, ho un debole per i filosofi da supermercato e per i piccoli eroi contemporanei. ;-)

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  5. Un immenso scrittore che dovrò darmi da fare per leggere dalla prima all'ultima lettera (e sono ancora ad una piccola parte dell'opera)!
    Grazie a te, sono onorata dei tuoi complimenti! :)

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  6. Ma guarda anch'io tifo per i filosofi da supermercato purché siano simpatici e non si sentano superiori al mondo, e se ognuno fa la sua piccola parte chissà che un giorno il mondo non sia un posto migliore per tutti. Ma guarda secondo me chi ride di una persona solo per il suo abbigliamento sta messo male a prescindere (dipende anche se l'ha fatto apposta proprio per far ridere ;).

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  7. @Athenae io sono particolarmente legata a lui, non solo perché la mia tesi lo vide protagonista ma anche perché le prime letture realmente appassionate portano la sua impronta. Per me è il numero uno, aveva questo modo ironico e un pizzico distaccato da tutto il mondo, osservava tutto e ne faceva grande tesoro. Uno che se lo intervistavi dimostrava quasi disagio, imbarazzo, eppure la sua mente era straordinaria. Risponde a tutte le mie domande possibili sul "perché" della letteratura, della scrittura e, nonostante lui non lo abbia mai dichiarato direttamente, del cinema. Era un critico eccellente e inconsapevole di ciò, che amava il cinema e dei suoi scritti in merito conservo gelosamente tutto, sempre. Lo amo...^_^

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  8. No credimi, era convinto @Barbara!!! =D Anche io ho un debole per loro e sono convinta come te che non si debba escludere la possibilità che saranno proprio loro, a cambiare, in meglio, il mondo. ;-)

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  9. Non lo so cos'è esattamente l'onestà, ho sempre pensato che la sincerità e la verità siano cose sopravvalutate e mi sono sempre basato su quella "legge morale" da avere dentro, come direbbe Kant. Per il resto, non so, lo scopro ogni giorno.

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