Difficile rapportarsi a lei, come donna e scrittrice, ex aspirante giornalista - nel mio caso specifico.
Perché di lei l'immagine resta, al di là del sentimento che poi ne scaturiva, ferma in quel volto di donna ostinato, pronto a tutto e sfrontato.
Questa difficoltà non fatica a palesarsi, ed è quel che accade persino nella prefazione di Giovanna Botteri, la quale introduce con sincerità e parole piene di ammirazione e sogno, questo incredibile viaggio attorno alla donna, Il sesso inutile.
1960 - Il direttore dell'Europeo chiede alla Fallaci un'inchiesta sulla condizione della donna, ma a lei, d'impatto, sembra una cosa ridicola.
"Per quanto mi è possibile, evito sempre di scrivere sulle donne o sui problemi che riguardano le donne. Non so perché, la cosa mi mette a disagio, mi appare ridicola. Le donne non sono una fauna speciale e non capisco per quale ragione esse debbano costituire, specialmente sui giornali, un argomento a parte: come lo sport, la politica e il bollettino meteorologico".
Quelle stesse incertezze a proposito dell'inchiesta, diventano poi uno splendido reportage realizzato insieme al fotografo Duilio Pallottelli. Dal Pakistan all'India, passando per l'Indonesia e la giungla della Malesia. Fino ad Hong Kong e in Giappone, per concludersi come un avvincente romanzo d'avventura in stile francese, nella più moderna New York.
Lei con la sua Olivetti che bastava a riempire qualunque bagaglio, e lui, il fotografo romano, con la sua Laika e la sua euforia tutta italiana dinanzi all'idea di incontrare tutte quelle donne.
Da Karachi a Manhattan, le pagine scritte dalla Fallaci, fanno del giornalismo un'opera letteraria di rara bellezza. Tutti gli interrogativi e le curiosità circa la donna e la sua condizione, sociale e umana, vengono arricchiti ed appagati, e fanno del lettore un bambino che non la smette più di dire basta davanti a un pacchetto di caramelle gommose.
Quello che ci lascia la Fallaci infatti, deve essere letto a partire dall'inestimabile valore antropologico e culturale, non solo legato al "sesso inutile", che esso racchiude in sé.
Nonostante alla Fallaci venga accostata di frequente anche la più bizzarra delle accuse e delle etichette - che tanto vanno di moda oggigiorno e di cui tutti abusiamo, perché siamo social, siamo moderni al punto giusto - vi è una sottile umiltà nelle parole che introducono il libro, dote sempre più rara, guardatuilcasoavolte, nei testi contemporanei.
"Ciò che segue è il racconto di quello che accadde dal momento in cui scendemmo a Karachi al momento in cui lasciammo New York: di quello che vidi, di quello che udii, e di quello che credo di aver capito".
Con quella stessa umiltà, Oriana Fallaci realizza un reportage ricco di testimonianze e colori. Dove la determinazione non viene meno, dove non manca la malinconia e il terrore, talvolta. Perché le storie delle donne che incontra la Fallaci sono incredibilmente vere e, molte, incredibilmente drammatiche. Assurde.
Mi torna in mente il pianto della sposa bambina in Pakistan, le spose infelici, si usa dire da quelle parti. Come se fosse la più banale delle normalità.
"Perché non piangono, le spose, in Occidente?"
Piangono, eccome. Di gioia, di dolore, di sentimenti feriti e storie orribili. Ma non stanno al mondo come "pacchi".
"Cos'è?"
"Niente" rispose. "Una donna".
"Cosa Fa?"
"Niente" rispose. "Si sposa".
"Dove va?"
"A casa" rispose.
"Mi faccia venire, la prego".
"Perché? Il matrimonio mussulmano è una faccenda privata".
Gli dissi perché. Sorrise e promise di fare qualcosa ma ad un patto: che non dicessimo agli altri la verità su quella intrusione e che non chiedessi il nome dello sposo, né tantomeno lo pubblicassi.
"Nemmeno quello della sposa" promisi.
"Oh, quello non conta. La sposa non conta".
Dietro la storia di ognuna di queste donne, si celano anni di rivoluzioni e sangue, di lotte all'insegna di un riscatto, culturale, sociale. E che sia dietro un volto coperto da un Burqa, o di un corpo avvolto in un Sari, o nascosto dietro sette chimoni, che sia dietro il dolore di un paio di piedi piccolissimi e deformati da un'assurda imposizione, la verità più credibile risulta essere la cosa più sconcertante del mondo.
Che le donne sono uguali dappertutto, che in fondo vogliono tutte le stesse cose. Lo dice la donna più importante dell'India, lo dice la storia di questo paese, profondamente nuovo, dopo la rivoluzione di Gandhi.
Lo dicono le storie che seguono, delle Gheisce e delle matriarche, e lo dicono pure le storie delle donne più libere ed emancipate del mondo. Quelle inghiottite tutti i giorni dalla subway, spolpate dallo smog e dal caos di New York. Quelle che convivono tutti i santi giorni con la propria libertà, che ha il sapore e lo sguardo di un uomo debole, spaventato dal suo stesso ruolo nel mondo, tanto incerto, messo in pericolo da cotanta "parità di diritti".
Forse alle donne spetta lo stesso destino. Tutte girano attorno alla medesima luna, tutte si soffiano stupidamente il naso e piangono gli uomini per ciò che sono o non saranno mai. E perché nonostante tutto, farfalle di ferro o farfalle morte che non sanno di stare al mondo, noi donne, d'Oriente e d'Occidente, vestiamo con abiti diversi, la stessa identica infelicità.
Grazie, Oriana.