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Dino Buzzati, Il segreto del Bosco Vecchio



È il 1935 quando Dino Buzzati pubblica il suo secondo romanzo, dopo un esordio poco apprezzato dalla critica del tempo con Bàrnabo delle montagne, 1933.
Un momento difficile per l'Italia, in guerra con l'Etiopia e isolata dal contesto mondiale, Hitler inaugura le Leggi Razziali, Mussolini accresce il suo consenso, la censura è ovunque.

Il Bosco Vecchio appare dunque un luogo necessario, rifugio dalle barbarie, uno slancio salvifico nel mondo immaginifico disegnato dall'infanzia.
Dino Buzzati muove la penna fino a rinvenire le viscere più profonde della letteratura fantastica, di una poesia ancora fanciulla, di una prosa semplice ma appassionante, perché viva.

Una trama per niente articolata, quella di un uomo ormai rimasto solo, tale Sebastiano Procolo, stretto nella morsa della vecchiaia, la cui unica fortuna sembra essere un'immensa tenuta boschiva, lasciata in eredità dallo zio. Il Procolo, a sua volta, avrebbe lasciato il Bosco Vecchio al giovane Benvenuto, un ragazzino distratto e gracilino, pieno di incubi e paure, ancora tanto ingenuo, ancora tanto autentico e puro come tutti i bambini.
L'avidità e la brama di potere, il voler possedere l'intera tenuta senza doverla spartire con alcuno, travolgono Sebastiano, lo obbligano a guardarsi davvero, a fare i conti con la propria coscienza, con quel male di uomo che lo stava divorando da dentro e lo condannava lentamente a un vita da eremita.
(Memorabile il volto di Paolo Villaggio nel film omonimo di Ermanno Olmi).

Il segreto del Bosco Vecchio è il luogo incontaminato per eccellenza, il mito dell'infanzia, le pagine più belle della nostra vita che avremmo voluto leggere ancora, e scrivere, ancora.
Dino Buzzati si dimostra subito maestro indiscusso nell'arte di fondere due mondi per loro natura diametralmente opposti, realtà e fantasia.
Il Bosco è animato e custodito da creature fantastiche, geni e gazze guardiane, scoiattoli e gufi, i venti soffiano e parlano agli uomini (solo a pochi, sia chiaro) diventano loro complici, talvolta nemici.
Ed è sorprendente come l'autore sia riuscito a inventare una struttura narrativa che vive di elementi surreali, i cui protagonisti più veri sono non-uomini.
Commoventi i momenti in cui Sebastiano parla con il vento Matteo, suo confidente, nonché alter ego in un mondo parallelo che probabilmente non c'è, perché non è reale, non è vero, ma che un tempo è esistito.
Tutti lo sanno.

Non si può spiegare la magia del Bosco Vecchio, di come il tempo si arresti dinanzi alla bellezza, alla felicità che non ha ragioni. Nel Bosco Vecchio i topi disturbano il sonno, il vento ci salva e poi ci condanna, si prende gioco di noi.
Nel Bosco gli uomini abbandonano per sempre la loro innocenza, la lasciano lì, come un'ombra ormai stanca e disillusa, come un vecchio burbero disabituato all'amore, al bene, alla possibilità di un'anima buona.
Nel Bosco Vecchio un carrettiere arriva e si trascina dentro una bara le anime ormai perse, farfalle bianche invadono gli alberi, cinque incubi terrificanti bussano alla porta.

Nel Bosco Vecchio si susseguono le stagioni, i venti cambiano, gli uomini pure.

"E' inutile", disse il vento, "devo andare sul serio. Del resto, questa forse è la notte famosa in cui tu finirai di essere bambino. Non so se qualcuno te l'ha detto. Di questa notte i più non si accorgono, non sospettano nemmeno che esista, eppure è una netta barriera che si chiude d'improvviso. 
Capita di solito nel sonno. Sì, può darsi che sia la tua volta.
Tu domani sarai molto più forte, domani comincerà per te una nuova vita, ma non capirai più molte cose: non li capirai più, quando parlano, gli alberi, né gli uccelli, né i fiumi, né i venti. Anche se io rimanessi, non potresti, in quello che dico, intendere più una parola. Udresti sì la mia voce, ma ti sembrerebbe un insignificante fruscìo, rideresti anzi di queste cose. 
No, forse è meglio così, che ci separiamo al punto giusto".

Esiste un momento, nella vita di ogni lettore, in cui si avverte qualcosa.
Uno strappo nel cuore, nella carta.
Credo voglia dire semplicemente una cosa.

Che quel libro, resterà aperto dentro di te, per un tempo infinito. 


Commenti

  1. Dino Buzzati si definì "un pittore il quale, per hobby, durante un periodo purtroppo alquanto prolungato, ha fatto anche lo scrittore e il giornalista".
    Per me è bravo e anche modesto.
    Ciao Valentina.

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  2. Ciao Gus. Questo libro rimane uno dei più importanti della mia vita.
    Dino Buzzati un maestro.
    Un abbraccio.

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  3. Ho adorato Il Deserto Dei Tartari di Buzzati.
    Darò certamente un'occhiata anche a quest'opera.

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