Quando sto male tendo a vedere ciò che abitualmente non vedrei neanche morta. E ne ho conferma tutte le volte che mi ritrovo allettata, costretta a non uscire di casa, ferma, immobile.
Eppure, inaspettatamente, qualcosa a volte cambia. Deve cambiare, è la vita.
Dopo Un detective in corsia e La signora in giallo, il caso ha deciso: "La casa degli spiriti".
Se escludo Il piccolo principe, il primo ricordo assoluto di un libro letto e amato - amato davvero e senza capire perché (avevo tredici o quattordici anni), è proprio quello del primo romanzo di Isabel Allende, nonché unico libro che io abbia letto, dei suoi.
Ricordo l'edizione Feltrinelli/Loescher, per la scuola, la copertina bianca con i bordi rossi e la foto di una casa in bianco e nero. Come terminava un capitolo, seguiva un piccolo riassunto, e alla fine del romanzo le cosiddette "schede". Ricordate? Quelle che ti permettevano di capire se avessi effettivamente compreso il senso di quelle pagine appena passate. Io amavo le schede, anche se c'erano quelle domande che non capivo mai, e mi facevano passare brutti quarti d'ora, quelli con la penna vicino alla bocca e gli occhi sparati al soffitto. E dal romanzo ricordo passai al film, ma a distanza di anni, non ricordo quanti.
Bille August porta sullo schermo La casa degli spiriti nel 1993, e lo fa investendo prima su un cast impeccabile e poi, ricordandosi con intelligenza di quel "realismo magico". Ed è naturale pensare a Gabriel García Márquez, del resto, la Allende è entrata di diritto nell'olimpo delle icone della letteratura sudamericana, nonostante io mi sia fermata a quel libro con i bordi rossi e le schede...
Il romanzo, così come il film, ripercorre quasi senza lasciare dubbi, una buona fetta di quella che è stata la storia del Cile (anche se nel libro non viene mai nominato). La storia di una famiglia dei primi anni del Novecento si intreccia agli eventi di quelli che furono i fatti avvenuti in Cile fino agli anni settanta. Lo sfruttamento dei contadini, la lotta per il potere, crisi economica e il terremoto del 1939, fino ad arrivare al colpo di Stato del 1973. Realismo magico perché anche qui, storie vere di cronaca politica e sociale, si mescolano alle forze soprannaturali, ai più intimi poteri della mente, la quale riesce a prevedere, a toccare le immagini con chiarezza, a sfiorare gli spiriti quando ritornano. E la luce più abbagliante, nel film come nel libro, è quella che arriva dalle mani e dai gesti di Clara. Il suo modo di stare al mondo, di muoversi in mezzo alla vita che corre e spesso fa male, il dono di trovare una ragione agli eventi che si susseguono, senza stare a pensare se sia giusto o sbagliato.
Quello che mi colpì allora, che poi è quello che amo di più oggi, è la forza delle figure femminili. Mi ricordo che non capivo l'amicizia tra Clara e Férula, eppure mi affascinava, mi toccava. Ma capivo bene la libertà in tutto il suo splendore attraverso la figura di Blanca. Il suo amore per Pedro e il rapporto con un padre difficile, la voglia di lottare e perché no, cambiare.
E il cambiamento è ciò che di più rimane nel ricordo di questo libro, nonché di questo film. Perché l'immagine di Clara a sfogliare i quaderni, i diari di Blanca, davanti alla casa ormai abbandonata, toccata solo dal vento e dai ricordi fatti di sangue e di quel male all'anima che porta al silenzio, è probabilmente la risposta a tutte le domande difficili, lasciate vuote su quelle schede che da ragazzina amavi, e a volte non capivi.
Cosí come quando si viene al mondo, morendo abbiamo paura dell'ignoto. Ma la paura è qualcosa d'interiore che non ha nulla a che vedere con la realtà.
Morire è come nascere: solo un cambiamento.
Con la Allende, così come con Marquez, ho sempre avuto diversi problemi... e il film l'ho sempre bypassato ogni volta che lo davano in tv.
RispondiEliminaMi ricordo di questo tuo "problema" con gli autori sudamericani. Be' amico mio, devi almeno provarci. Dai. Su. ^_^
RispondiEliminaPer provarci c'ho provato, eh :-P ho tentato di avvicinarmi anche a Coelho ma nulla...
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