Con Il senso del dolore, Maurizio de Giovanni realizza la prima delle quattro stagioni dedicate al Commissario Ricciardi. Un uomo di statura media, magro, con gli occhi verdi che spiccano sul viso. Capelli neri sistemati con la brillantina, e un ciuffo quasi sempre fuori posto. Il naso sottile e le mani piccole.
Trentuno anni, quanti erano gli anni di quel secolo.
Napoli, 1931.
Da non amante dei gialli, ho preso in mano questo libro con tutti i dubbi del caso. Non sapevo nemmeno immaginare la mia reazione, ma tanta era la curiosità a quel punto, che di corsa, appena tornata a casa dalla libreria, apro il libro e inizio a farmi una vaga idea. Di me con un giallo in mano, e di un uomo baciato dall'eterna solitudine e sofferenza.
Ed è questo l'unico modo per farsi un'idea del commissario Ricciardi. Pensarlo come un uomo seduto a un tavolino del Caffè Grambinus, in piazza Trieste e Trento. Due occhi verdi impenetrabili, che al di là della vetrata scrutano la sofferenza, le vite degli altri esalanti l'ultimo respiro. Ricciardi aveva un dono, o meglio, una maledizione. Afferrava l'ultimo pezzo della vita delle vittime, ne percepiva il dolore ed era una frustrazione che non gli apparteneva, ma al tempo stesso, un dovere da non trascurare.
A far da sfondo è una Napoli quasi crepuscolare, resa sfuggevole e misteriosa dal gioco continuo delle luci e delle ombre dei lampioni sulle strade. Ombre che si fondono, e confondono. La verità infatti, come dirà lo stesso Ricciardi, è un po' come la parte di strada illuminata da quei lampioni. Solo che si vede e non si vede, c'è e non c'è. Spetta a te trovarla, non è mai come sembra la verità. Bisogna immaginare quello che non si vede.
A volte è una parola non detta, un dettaglio tralasciato.
Quelle di Ricciardi non sono le indagini tradizionali di un commissario che fa da protagonista. Tutt'altro. Ricciardi si fonde con le pagine e le storie degli altri personaggi. La sua maledizione carica di pathos ogni risvolto narrativo. Rimangono impresse le ultime parole di Arnaldo Vezzi, la stella indiscussa della lirica italiana. Un tenore scelto da Dio, e dal Duce, per cantare e fingere gioie e dolori appartenenti ad altri.
"Io sangue voglio, all'ira m'abbandono, in odio tutto l'amor mio finì".
Queste le parole dettate da una voce sommessa, nel momento che inaugura l'inizio delle indagini. Avviate a partire dall'immagine di un corpo ormai privo di vita. Parole riservate a Ricciardi. Solo a lui.
Pur non avendo letto molti gialli, sono convinta che Maurizio de Giovanni abbia trovato il modo di interrompere questa mia avversità. Perché dei gialli ho sempre rivendicato una certa intimità del dolore. Mi piace per natura scorgere anche le minime sensazioni che animano i protagonisti di una qualsivoglia opera. Che sia un romanzo o un racconto.
Ecco, Il senso del dolore è un noir fuori dal comune. Di ogni personaggio si arriva a toccare l'anima.
Chiudo il libro. I dubbi dissolti e il desiderio di avere a che fare ancora una volta, con quell'uomo misterioso pieno di dolore e solitudine, mi confermano che qualcosa è cambiato.
Rimane una finestra aperta, una bambina e i suoi stracci, un sorriso scavato dal pianto. Una riga, una frustrazione che non ti appartiene...
Dai convertiti anche tu ai gialli :D di De Giovanni ho letto la serie di Lojacono in cui si avverte questo dolore per le vittime e un senso di vuoto che attanaglia i protagonisti. La serie di Ricciardi non l'ho ancora cominciata...
RispondiEliminaAhahah sì dai, sono sulla buona strada. =)
RispondiEliminaOra proseguo con Ricciardi, poi passo sicuramente a Lojacono...
Il dolore alla mano: non sempre è l'artrosi: http://goo.gl/WeaWqq
RispondiEliminati consiglio di dare un'occhiata a questo articolo!
ciao