Oggi parliamo di fotografia, in realtà lascio che a farlo sia un carissimo amico, Pietro De Bonis. Di seguito, la sua intervista a Francesco Fratto.
“Sono convinto che con la fotografia ci siano due modi di raccontare la realtà: scoprendola o reinventandola. Io preferisco scoprire.”
Francesco
Fratto nasce il 28 dicembre 1970 a Portogruaro (VE).
Attratto
sin da subito dalla fotografia, riceve la sua prima reflex all'età
di dodici anni cominciando a tenere un personale diario visivo di
viaggi e ritratti.
A
diciott’anni anni comincia a frequentare il Circolo Fotografico
Fincantieri di Trieste, affinando il gusto per il linguaggio
fotografico. Dopo la laurea in farmacia, tuttavia, smette
di fotografare intimorito dalle nuove tecnologie digitali.
Nel
2006, in concomitanza con la nascita della figlia Giulia, riscopre la
passione
per la fotografia, nonché la
scoperta della fotografia digitale.
Dal
maggio 2012 è iscritto all'Associazione Nazionale Fotografi
Professionisti (Tau Visual).
Il lavoro di Fratto si concentra soprattutto sul rapporto tra l'artista e la comunicazione della propria immagine, mescolando la fotografia di scena alla ritrattistica di giovani talenti e artisti affermati.
Francesco
Fratto si è reso molto disponibile a rispondere ad alcune mie
domande.
Pietro
De Bonis: Ciao
Francesco! Una passione per la fotografia che nasce grazie a tuo
papà?
Francesco Fratto: Ciao Pietro. In effetti, è proprio così. Il mio “rapporto” con la fotografia inizia fin da piccolo grazie alle serate passate con mio padre in compagnia dei suoi amici a vedere diapositive di viaggio o a visionare stampe in Bianco e Nero discutendo di pellicole o formule per i bagni chimici. La voglia di provare questo “strumento” mi ha subito affascinato, tanto che già a 14 anni ricevetti la mia prima reflex con la quale mi divertivo a ritrarre amici e ricordi di viaggio. Era il mio modo di tenere un diario delle esperienze più belle, ma anche di cose quotidiane di cui volevo conservare una traccia.
Pietro
De Bonis: Leggevo
dalla tua biografia che in passato la paura per le nuove tecnologie
digitali ti ha fermato, perché? In cosa ci perde, o guadagna, una
fotografia passando da analogica a digitale?
Francesco Fratto: In effetti, c’è stato un lungo periodo della mia vita in cui la fotografia ha faticato a trovare spazio. Dopo la laurea in farmacia, la mia fotocamera restò chiusa in un cassetto per lungo tempo. Un po’ per necessità lavorative (a quel tempo lavoravo a ritmi serrati in un’azienda farmaceutica) un po’ perché nel frattempo mi spaventava passare dall’analogico al digitale. Ero cresciuto con il mito della “Leica” e delle foto alla Berengo Gardin e l’idea di abbandonare l’analogico mi sembrava sminuire il “gesto fotografico”.
Solo dieci anni dopo, acquistando la prima reflex digitale ho capito che avevo solo perso del tempo prezioso per rincorrere un pregiudizio stucchevole. Il mezzo tecnologico può anche cambiare. E’ il fine che resta sempre lo stesso: raccontare tracce di realtà. Una fotografia senza niente da dire resta tale sia se impressa su una pellicola sia che venga catturata da un sensore da 24 megapixel. Così come una buona fotografia resterà sempre una buona fotografia, sia che venga fatta da una Rolleiflex analogica sia che venga scattata da uno smartphone di ultima generazione.
L’importante è che quello che abbiamo da raccontare sia interessante.
E che lo si sappia raccontare con il giusto “linguaggio”.
Pietro
De Bonis: La
ritrattistica il tuo cavallo di battaglia? Quale stato d’animo
ritieni capace di catturare al meglio?
Francesco Fratto: Non so dirti se effettivamente la ritrattistica sia il mio cavallo di battaglia… So per certo che le persone mi affascinano, in generale. Da sempre. Mi piacciono le infinite sfumature del comportamento umano. Le mille storie che si nascondono dietro ognuno di noi. Provare a raccontare alcune di queste storie è una sfida che mi intriga. Credo che una delle qualità più importanti di un fotografo sia la sua empatia verso gli altri e la capacità di essere “discreto” nel momento dello scatto, lasciando che la realtà non venga eccessivamente distorta dalla sua presenza. Ecco: questa è una delle sfide che più mi piace affrontare quando fotografo. Sia quando posso lavorare in studio, sia quando incontro qualcuno durante un reportage o per strada. Quando in una mia foto mi accorgo di aver “spinto” il soggetto verso una situazione che non appartiene al suo essere rimango profondamente deluso da me stesso. Anche se quella foto è esteticamente valida o tecnicamente corretta. La tecnica fotografica prima o poi si impara, l’empatia e la sensibilità verso gli altri sono invece più difficili da apprendere. Sono sfumature non sempre facili da cogliere. Se poi ci sia uno stato d’animo che io riesca a catturare al meglio, guardandomi indietro mi accorgo che preferisco raccontare la gioia piuttosto che il dolore. Anche se non sempre è facile cercare la felicità nell’esistenza umana, mi piace provare a cogliere il lato “positivo” della vita.
Pietro
De Bonis: Negli
ultimi tempi, ti sei avvicinato alla fotografia di reportage, cosa
desideri raccontare al pubblico?
Francesco Fratto: Un paio di anni fa ho visto un filmato in cui James Nachtwey, uno dei più grandi fotoreporter di guerra della nostra epoca, raccontava attraverso le sue immagini l’importanza della fotografia nel rendersi testimone delle esperienze umane, nell’informare l’opinione pubblica su cosa accade nel mondo. In quell’occasione ho capito quanto sia potente la capacità delle immagini nello smuovere le persone verso sentimenti di generosità, giustizia e solidarietà. In questo senso, mi affascina la valenza sociale della fotografia, la possibilità di “fare del bene” attraverso un racconto fatto di immagini.
Pietro
De Bonis: C’è
uno scatto che rappresenta al meglio la tua arte, il tuo mondo, la
tua voglia di far sentire che te e la tua macchinetta ci siete?
Francesco Fratto: Sicuramente l’immagine degli alunni della scuola primaria di Mugunda in posa davanti allo loro classe è una fotografia che sono contento di aver fatto. E’ un po’ la foto “simbolo” del mio progetto sullo stato del percorso educativo nella scuola primaria in Kenya. E’ stata notata e premiata anche a livello internazionale, esposta a Parigi e a New York, ha avuto una buona visibilità. Questo mi fa sperare che qualcuno avvicinandosi a quella immagine abbia voluto saperne di più di quei bambini, si sia incuriosito e magari sia stato spinto ad approfondire il problema. Se un’immagine è “buona” ha più possibilità di essere vista. Più un’immagine è vista più possibilità ha di raccontare la sua storia a molti. In questo caso, è un “racconto” a cui tengo molto.
Pietro
De Bonis: Vuoi
parlarci dell’incontro con il musicista e compositore jazz Armando
Battiston? Ma un’immagine, di per sé, Francesco, non è
silenziosa? Può la musica vestire il suo istante, secondo te?
Francesco Fratto: La possibilità di ritrarre Armando Battiston mi ha avvicinato alla fotografia musicale, dando modo di unire le mie due più grandi passioni: fotografia e musica. Non avevo mai considerato prima questa possibilità. Quegli scatti furono apprezzati. Riuscii a farmi conoscere anche da altri musicisti. Poi cominciarono ad arrivare le prime richieste di lavori su commissione. Non molte (in Italia la fotografia “musicale” è un settore meno sviluppato rispetto ad altri paesi europei o mondiali), ma sufficienti a farmi prendere la decisione di cominciare questa attività. Poter fotografare accompagnato dalla musica di eccellenti interpreti è fonte di ispirazione e un gran privilegio per me. Gino Castaldo scrive che la “musica ha sempre preteso un’immagine, come indispensabile complemento della sua fuggevole, immateriale natura fisica”. Nel mio piccolo, mi piace pensare di poter dare il mio personale contributo a questo connubio.
Pietro
De Bonis: Ti
piace essere chiamato fotografo professionista?
Francesco Fratto: Le strade della vita a volte sono un po’ contorte. Dopo la laurea in farmacia non avrei più immaginato che la fotografia potesse diventare un’attività lavorativa, seppur secondaria. Al momento non è la mia occupazione primaria, ma anno dopo anno diventa sempre più una parte consistente della mia vita. Anche per questo ho voluto regolarizzare la mia situazione iscrivendomi alla Associazione Fotografi Professionisti Italiani (Tau Visual). Un po’ per coronare un sogno che avevo fin da bambino, ma soprattutto per rispettare e “giocare” con le stesse regole di chi vive di questo lavoro.
Non è certo una tessera che può farti diventare un bravo fotografo, ma la serietà, l’etica e la correttezza professionale sono valori che ho sempre perseguito in ogni ambito della mia vita e che ho voluto considerare anche in questo frangente.
Pietro
De Bonis: Grazie
Francesco di questa intervista. Vuoi darci appuntamenti di mostre od
occasioni dove incontrarti?
Francesco Fratto: Il 2015 spero diventi per me un anno importante. Negli ultimi mesi, sta iniziando una collaborazione con un’importante agenzia specializzata nella fotografia di eventi e spettacoli, la Phocus Agency e vorrei poter sviluppare al meglio questa possibilità dedicandomi maggiormente alla fotografia di concerti “live”. E poi c’è l’intenzione di continuare il progetto sulle scuole della comunità di Mugunda in Kenya, con la speranza di riuscire a far conoscere maggiormente quella realtà e possibilmente a raccogliere fondi per dare un futuro migliore a quei bambini. Per chi fosse interessato ai miei progetti, posso lasciare il link al mio sito www.francescofratto.com sul quale trovare aggiornamenti e immagini relative alle mie attività. Infine ringrazio te, Pietro, per avermi dato la possibilità di raccontare un po’ del mio mondo. A presto!
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