I grandi scrittori avevano ognuno la propria musa ispiratrice, e di essa scrivevano, su di essa ogni pensiero o sentimento rifletteva. Ognuno di quei grandi scrittori, traeva un'ispirazione tale, che fosse triste o felice poi poco importa, da portare tutto ciò che sulla carta prendeva una forma e un chiaro respiro, a brillare di una luce unica. Era quella la magia delle muse ispiratrici.
Nella letteratura contemporanea, nella poesia e in ogni qualsivoglia forma letteraria che appartenga ai nostri tempi, nessuno sa se ancora si nasconda dietro le più brillanti pubblicazioni, una presenza così forte e riconoscibile, come allora, in una figura quasi celestiale eppure tangibile, vera.
Sarebbe interessante ricercare le origini dell'ispirazione che muove gli scrittori e le scrittrici di oggi, con tutti i rischi che ne potrebbero seguire. Sia chiaro...
Be' io non mi definirei mai una scrittrice, semplicemente, ogni tanto, faccio qualcosa che in fondo, a quella schiera di mestieranti alla disperata ricerca dell'ispirazione, mi lega. Non so nemmeno come, né tantomeno posso confermare che sia effettivamente così. Eppure mi piace concedermi, di tanto in tanto, questa storia che parli di me, come di una ricercatrice a tempo pieno di idee e storie su cui investire.
Investire tutto, e non c'è un budget da cui partire. Solo una pagina bianca.
Non so bene cosa accadesse nelle menti e nelle anime delle grandi scrittrici, ma so per certo cosa accade nella testa e nella pancia di una mamma aspirante scrittrice, e ancor di più so, dove si trova il centro nevralgico della tanto ambita ispirazione. So dove cercare, e non è presunzione, credetemi.
Lo so per certo, tutte le volte che i miei figli offrono a me - inconsapevolmente - un cucchiaio bello pieno di poesia già pronta.
Per questo, oggi vi racconto una storia di ordinaria bellezza, semplice e tipicamente di "mamme e figli". Come il poeta e la musa, forse di più...
Ultimamente Luca si è fissato con la storia degli astucci nello zaino (prima elementare), tanto da non vedere l'ora di uscire di casa per raggiungere la scuola (e quando mai?). In verità, è in vigore da giorni una stranissima legge indetta dai bambini stessi, secondo la quale, "se tu bambino-amichetto-compagno non hai almeno cento colori nell'astuccio, non sei nessuno".
Diretti verso scuola, lungo il solito tragitto percorso in auto, Luca ricomincia con la storia della appena citata legge - assolutamente inviolabile. Io cerco di fargli capire che sono abbastanza stanca della storia dei cento colori, e provo a spiegare che in realtà queste sono solo le prime sfide e i primi sintomi della mania di competizione che affligge i maschietti. Ma lui niente, è troppo testardo e non curante delle mie parole prosegue lungo la sua linea.
Così, mentre lui mi rammenta l'assenza del marrone e del verde chiaro, cerco di essere più dura.
"Lù. Basta - teprego!".
Non sembra affatto convinto del mio breve seppur intenso, sfogo.
Infatti, con tutta calma mi guarda e fa:" Ma', ma un astuccio vuoto che senso ha?".
Come la vita - ho pensato.
Ok, mi arrendo.
Più colori per tutti!
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