Un progetto editoriale davvero
interessante, quello della casa editrice Ponte
33: “Portare in Italia la letteratura contemporanea iraniana”. L’idea nasce
a Tehran, nel 2008, grazie a Felicetta Ferraro e Bianca Maria Filippini. Il nome Ponte33 richiama il persiano Si-o-se
pol, bellissimo ponte di Isfahan fatto di 33 arcate, dove da sempre giovani
e meno giovani si incontrano, parlano, discutono, recitano versi e leggono
libri.
Credo sia doveroso partire dal
principio, perché quando si scopre un mondo nuovo e fitto di storie, ci si deve
se non altro interrogare. L’Iran è una realtà complessa, che arriva da noi
attraverso leggende stereotipate, storie filtrate dal mezzo cinematografico e
mediatico.
Ma la letteratura riesce sempre a
compiere quel miracolo sottile, che incontra i luoghi più intimi e li riporta,
così come sono. I racconti di Mehdi Rabbi
svelano i rapporti giovani e disillusi della società iraniana. “Nel Khuzestan
disseccato dal sole”, lontano dalla capitale Tehran, i personaggi descritti da
Rabbi confessano i legami di genitori e figli, uomini e donne, come se questi
si muovessero con passi leggeri da una sponda all’altra del fiume, passando
sotto i ponti, incrociando alberi esotici e mercatini delineati dalle sagome di
donne accovacciate. Gli uomini corrono e si contendono le donne, le più belle,
quelle che non possono “appartenere” ad uno soltanto. Le donne bambine devono
imparare a superare gli sguardi accesi e penetranti di tutti, e le mani
raggrinzite delle vecchie invidiose.
Eppure anche qui molte donne
preferiscono il silenzio (Lasciami
dormire), temono l’invidia e il giudizio. Anche qui, si va al cinema e si
cerca l’angolino più tranquillo, due poltrone magari a sinistra. E nel mezzo tutto
ciò che non serve. Quell’angolino
tranquillo a sinistra porta il
lettore in un “posto davvero strano”, come suggerisce l’incipit di uno dei
racconti che ho amato di più, Malihe.
Malihe era grazioso come nome. Le brutte vecchie vestite di nero del
villaggio, quando vennero per vederla, presero a deglutire e a sospirare
dicendo: “A Dio piacendo! A Dio piacendo! Ah, quant’è bella; ah, quant’è
bella!” Per quanto fossi poco più di un
bambino, già da quei primi sguardi avvertivo l’invidia e la gelosia di quelle
donne. Invidia millenaria. Quando la presero in braccio con quelle mani
rinsecchite, nere e rugose, piene di braccialetti d’oro, sembrava che volessero
spremerle per berne il succo e farsi gonfiare le ossa e diventare giovani di
nuovo.
C’è l’amore inconsapevole in
queste pagine, come se fosse sbagliato pensarlo, averne un’idea ben precisa.
Tanta è la tristezza, “come il pensiero
del ritorno all’inizio di un viaggio affascinante”.
L’autore si esprime attraverso
una prosa semplice, i racconti appaiono slegati dal punto di vista narrativo,
ma pregni della stessa materia emotiva. I sentimenti muovono la mano e l’anima
di Rabbi, e lasciano il lettore in sospeso, senza un finale che sappia mettere
davvero un punto a questo viaggio intimo.
Questa scelta stilistica conferisce al libro il dubbio e il fascino
dell’indefinito e, seppur confuso e ingenuo, talvolta,
Quell’angolino tranquillo a sinistra ha
in sé il pregio di essere tanto incerto quanto autentico.
Belli questi tentativi di avvicinare le culture *__* Segno sia il titolo che la CE!
RispondiEliminaPreziosa segnalazione, ciao Valentina ^^
Vero Glò! Ammiro questi progetti editoriali, davvero. E ti consiglio di leggere il libro, questa casa editrice oltre a vantare di un'iniziativa unica nel panorama italiano, ha delle copertine davvero straordinarie. Fammi sapere... un abbraccio e a presto! :-*
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