Sarà che prima di addormentarmi guardo il soffitto, e cerco il mare...
E' stato il primo pensiero esploso in me, ancor prima di abbandonare la sala. L'immagine di quel mare visto con gli occhi, l'immaginazione, di Jep Gambardella e quel rumore inconfondibile, netto. La sola certezza nei momenti più vaghi del protagonista così come dello spettatore. Quasi a voler dire che nel caos più devastante e disorientante, quel rumore lì, sia l'unico appiglio. L'unico modo possibile per tornare in superficie. Ed è così anche per Jep, uno scrittore, giornalista, critico e acuto osservatore disilluso, uno dei padroni della mondanità romana, delle feste in terrazza e dei salotti esclusivi della Roma più grottesca. Jep/Toni Servillo, autore di un unico romanzo, L'apparato umano, si dichiara uomo deludente e ambizioso. Ormai sessantacinquenne capisce che non può più perdere tempo con cose che non vuole fare. La sequenza che lo vede abbandonare la camera da letto di Orietta/Isabella Ferrari è significativa in questo senso. Fuma la sua sigaretta scrutando chi gli passa accanto, osservando tutto ciò che lo circonda. Dalla lingua affilata e un certo debole per smascherare le menzogne degli esseri umani, quelli che, per intenderci, si proclamano portatori dei valori civili e morali di una società "sfasciata", esattamente come loro. Quando Jep rimane in silenzio a guardare, si crea un'insolita atmosfera, come la quiete che anticipa silenziosamente la tempesta, l'esplosione ultima che manda all'aria tutto e tutti. Ed è in questi momenti dilatati dalle inquadrature magistrali del regista che La Grande Bellezza pervade lo schermo.
Perché guardare questo film è un po' come ammirare qualcosa di immacolato, di eterno e dalla bellezza indecifrabile mentre scivola nel degrado, nel disfacimento totale. C'è chi sostiene che il film di Paolo Sorrentino sia un ritratto tragico non riuscito fino in fondo, che rimane miseramente grottesco, non di più. Beh, io non sono d'accordo con queste affermazioni. E mi basta accennare ai personaggi scelti da Sorrentino, uomini/marionette mossi dal "nulla". Personaggi senza riferimenti se non simili all'inutile, all'apparenza e alla volgare realtà che più si vuole nascondere più affiora, senza filtro. Ecco perché Sorrentino parte proprio da una strana alternanza, una dicotomia continua che non lascia scampo. Il tutto e il nulla, il sacro e il profano, la normalità che si scontra con il grottesco, il bene servito in minuziose dosi e il male più disgraziato.
Stefania la donna/madre che si autocompiace pur di non ammettere che la sua vita è un totale fallimento; c'è Viola, madre di un figlio problematico che si toglierà la vita; c'è Romano, un Carlo verdone disegnato con la giusta drammaticità, quella che gli calza a pennello. Così, finalmente, il suo contributo, torna ad essere indispensabile ai fini della comprensione di un film visto nella sua totalità. Un uomo deluso dalla sua Roma, con il sogno di recitare su un palcoscenico ma senza più la forza per restare. Ma vorrei sottolineare, almeno per come ho letto io questo personaggio, quanto Roma sia soltanto un pretesto per rappresentare poi il dolore più grande di Romano, ovvero l'amore per una donna vuota, che non gli darà mai nulla e che non smetterà mai di farsi di cocaina. C'è Dadina, la disadattata per sua stessa natura. Una donna piccola che guarda in alto, seppur continuando a osservare il mondo come fanno i bambini e forse proprio per questo, una delle poche ad aver agguantato le proprie ambizioni. Dadina è infatti affetta da nanismo ed è il direttore del giornale per cui lavora Jep. C'è poi Ramona, e voi non immaginate quanto io mi sorprenda a dire quanto sto per dire, perché vedere Sabrina Ferilli per la prima volta, avvolta da un' aura tragica e commovente, bella e condannata, credetemi lascia una leggera brezza negli occhi. La sola che all'apparenza è donna meschina mentre nell'animo è pura. Vederla in quella piscina con quella ciambellona colorata è stato come afferrare fin dentro le viscere la bellezza incontaminata. Cosa che abbiamo intravisto appena ,con la ragazzina in preda a uno sfogo artistico, soffocata dal suo stesso talento imposto dai genitori.
Potremmo continuare ad elencare le figure di Sorrentino e non sarebbe male, io ne parlerei per ore. Per questioni di tempo e anche perché questo film va visto almeno due volte per essere davvero compreso, torniamo a parlare di ciò che Sorrentino è riuscito a fare. Il suo stile non lascia dubbi e non può nemmeno lasciare insoddisfatti i più fedeli estimatori del suo cinema. (Mi meraviglio di come possa lasciare insoddisfatto chiunque in realtà, ma questa è un'altra storia...). La grande bellezza dilata il tempo e lo spazio, procedendo secondo un filo narrativo sconnesso, ma solo all'apparenza. La macchina da presa immortala lo sfondo di una Roma marmorea, immobile nella sua grande bellezza ma caotica se guardata con gli occhi dei suoi stessi abitanti. Dai canti sacri del Dies Irae si passa all'inutile orecchiabilità di una nota canzone della Carrà. E Roma si presta ad essere specchio schietto e satirico dell'esistenza umana, del malessere dell'individuo che non trova più la vera bellezza e si abbandona allo sfacelo. Su quei terrazzi grotteschi e miseri, dove passano solamente treni che non portano da nessuna parte, potrebbe compiersi, tuttavia, un piccolo miracolo.
Sorrentino non lascia mai allo spettatore la possibilità di intravedere un futuro roseo per i suoi personaggi, però sa bene quali siano le possibilità che il cinema mette a sua e, a nostra disposizione. Allora è possibile che gli occhi dimentichino il corpo in rovina di una ex soubrette (Serena Grandi metafora più terrificante di una Roma "sgangherata"), di una donna che tira la sua roba e di un padre eroinomane. E' possibile che una giraffa appaia e scompaia davanti ai nostri occhi, che uno stormo di fenicotteri si fermi sul nostro terrazzo prima di ripartire verso una nuova terra. E' possibile che una "santa" basti a "sputtanare" quel marasma umano fatto di fedeli corrotti e mezzi cuochi, mentre ricorda ai commensali che la povertà non si racconta, si vive. E' possibile che su quel soffitto si veda il mare, giusto il tempo necessario per tornare alle nostre radici, alle sensazioni più pure che abbiamo lasciato indietro, insieme al nostro primo amore e alle prime scoperte. Perché ciò che conta per Jep, per Sorrentino e per ognuno di noi, è trovare l'incipit per una nuova storia, un punto da cui poter ripartire. Dove un faro e il rumore del mare rinnovano la nostra speranza, azzerando il marcio. Laddove l'eco di un film felliniano rimbomba nella nostra memoria e ci appaga, immensamente...
Straordinariamente pieno e incredibilemente vuoto: questa è la nostra società. Il frutto che abbiamo colto dal neopositivismo della società odierna. Un film enorme nel suo raccontare il vuoto, un vero e proprio viaggio trascinante nel dorato marciume di una Roma che è una città simbolo di tutto il malessere contemporaneo: nessuno è al sicuro, nè giovani, nè vecchi nè bambini. Sopratutto l'intelletuale, o presunto tale, si aggiudica tutti i capi d'accusa. Il resto sono feste opulenti e grottesche, che riempono le terrazze e svuotano le anime. Non so se è un commento sensato, la mia l'ho spiegata su Messa in Quadro. Sicuramente in settimana tornerò in sala, per cogliere nuovi dettagli e nuove sensazioni. Viva il cinema italiano, questo cinema italiano.
RispondiEliminaMatteo anch'io vorrei concedermi una seconda visione...*_* Spero di riuscirci, ed è vero alcuni passaggi per essere compresi vanno rivisti. Io, come già ti ho detto, non volevo abbandonare la sala ieri. Ero incollata su quella poltrona e mi credi se ti dico che per la primissima volta in vita mia, dentro quella sala la gente ancora era lì con me fino alla fine della fine della fine dei titoli di coda? Incredibile non era mai successo...erano tutti ancora storditi!!! Evviva Sorrentino evviva il cinema italiano hai proprio ragione. ;-)
RispondiEliminaPost pieno di spunti e molto interessante, per un film che potrebbe passare dalle bottigliate all'esaltazione.
RispondiEliminaNon vedo l'ora di averci a che fare. :)
@Ford e io non vedo l'ora di leggere la tua bella recensione, secondo me si passa all'esaltazione pura. Poi ne riparliamo...;-)
RispondiEliminaHo visto ieri il film. Mi è piaciuto immensamente. Vanta una retorica rara e una composizione sintattica di immagini e parole che rendono "La grande bellezza" degno di una vera opera cinematografica espressione del miglior cinema italiano contemporaneo. Se il neo-realismo di Rossellini dava immagine all'Italia degli anni quaranta qui Sorrentino sublima questa che sembra senza speranza. Gli attori perfetti per i loro ruoli. Non ulteriori elogi per Servillo ma mi ha incantato Ferilli mai come ora intensa e bellissima
RispondiEliminaBellissimo post, Valentina.
RispondiEliminaIl film andrò a vederlo domani sera.
Sono d'accordo, Servillo è superlativo e diventerebbe banale pure sottolinearlo sempre. E' anche giusto dare i meriti a chi, di solito, tende ad allontanare gli entusiasmi generali. La Ferilli, insieme a Romano/Verdone, rende al meglio la nota più drammatica del film.
RispondiElimina@Poison Grazie mille!!! Attendo curiosa la tua recensione allora...;-)
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