lunedì 7 luglio 2014

Cent'anni di solitudine - Dove il tempo passa, "ma non tanto"



Se qualcuno dovesse chiedermi della magia di un libro, e dell'arte di afferrarne l'odore come il fiuto di un segugio, probabilmente parlerei di una voce sottesa di partecipazione, tipica delle grandi storie narranti le imprese più straordinarie o più umili. Quelle delle quali difficilmente ci si dimentica, seppur tra i mille ostacoli da saltare, gettati a terra dalla pigrizia e da una concezione di Letteratura ormai in disuso.

Superare l'apparenza di un libro che pare più un piccolo manuale insormontabile, cominciare a capire fin dalle prime pagine che, il buon motivo per cui possa valere la pena continuare, è identico alla nostra possibilità di viaggiare presso mondi lontani e inverosimili. Avere a portata di mano un biglietto valido per andare in un modo, e tornare completamente rinnovati, mai uguali a prima.
Non credo possa servire, per amor dei libri e della Letteratura, ribadire ancora una volta quanto influente sia stato il romanzo più noto di Gabriel García Márquez. Dire che in fondo, si sta parlando di una lettura obbligatoria, della quale ogni buon lettore non dovrebbe fare a meno. Sì, mai si sbaglia nel raccomandare un libro, e a motivarne la scelta; ma vuoi mettere quando provi a spiegare i tuoi perché, e le parole si affastellano e le ragioni si confondono fino a perdersi?
Scrivere sperando di fare della buona critica, è per me quasi sempre un'impresa che sfiora le sponde dell'utopia. In fondo, la critica dei miei sogni, è tutt'altro che perfetta e spocchiosa. Quando mi imbatto in simili avventure poi me ne rendo conto. Ad esempio ora, mi viene da chiedermi: "come racconteresti Cent'anni di solitudine ad un amico che vorrebbe leggerlo?".
Eh...

Innanzitutto direi che Cent'anni di solitudine è un viaggio assurdo che ti porta avanti e indietro nel tempo. Perché tra predizioni guardando le carte e annusando il vento, e flashback guidati dai ricordi che fanno più male, anche la tua pelle e tuoi occhi, sono passati per Macondo, e lì, per un tempo più o meno sospeso, vi sono rimasti. Un viaggio dalle dimensioni bibliche, dall'eco lungimirante e sognante, che a volte perdona altre condanna. Il centro del mondo è un luogo fuori dallo spazio e dal tempo, per capirlo devi seguire la voce fuori campo di un uomo che ti guida e insieme a te vive e muore, un po' alla volta. 
Se dovessi spiegarlo in termini tecnici, accennerei alla cosiddetta "narrazione orale", una delle doti di cui abbonda la scrittura di Gabriel García Márquez. 

Leggere e avere la sensazione di udire una voce appena accennata ma così penetrante da farti sentire sotto i piedi come si scivola nella palude. Da farti provare lo stupore legato alla visione dei giochi e degli effetti del ghiaccio. Da farti impazzire gli occhi al di là di un milione di finestre aperte, con quella curiosità di chi riesce addirittura a tagliare la nebbia, pur di "vedere". Dietro un cartello a un passo dalla palude vive Macondo e con lei, la sua storia lunga più di cent'anni.
La storia dei Buendía e dei loro figli e nipoti, contraddistinti dall'identico suono di un nome e di un destino pronto a ripetersi. La paura di una condanna per via di un amore illecito, un figlio mezzo animale e mezzo uomo. La morte che vincola la scoperta, il progresso che annienta l'uomo e lo addomestica nella sua stessa solitudine. A Macondo vivono uomini e donne incapaci di abbattere le distanze con il mondo intero, la paura di non sconfiggere la nostalgia di un passato lasciato sotto a un castagno e infiniti pesciolini d'oro con i quali sperare di sopravvivere. Forse è questa la solitudine?

Quando Melquìades mostrò agli abitanti di Macondo il cannocchiale e la lente d'ingrandimento, disse che la scienza aveva eliminato le distanze. L'uomo poteva vedere ciò che accadeva dall'altra parte del mondo, incredibile. Ma José Arcadio Buendía, pensò subito a come poter fare di quella lente così grande, un'arma da guerra, e tra la costernazione di Ursula e i tentativi di dissuaderlo, da parte di Melquìades, l'uomo iniziava a disegnare le proprie colpe. 

Storie di amori bollenti e condannati sul nascere. Donne padrone e schiave di un corpo seducente e di una storia già scritta sotto il loro nome. Uomini bramosi di quei corpi e di quelle passioni indicibili. Nel lento scorrere del tempo, verranno tanti José Arcadio e altrettanti Aureliano. Ci saranno donne belle e donne ormai vecchie decrepite, decise a morire insieme alla muffa dei ricordi, e donne la cui casa sarà sempre aperta, altre in cui vedere la luce è addirittura impossibile. Corpi corrotti e disfatti, uomini con le spalle al muro, donne divoratrici di terra e calcinacci, donne belle come gli angeli. 

Cent'anni di solitudine è la storia dell'umanità che vive e muore delle sue stesse guerre, vinte o perse poco importa. Piccole o grandi battaglie, con o senza una giusta causa per la quale combattere e morire. Il mondo è un luogo strano e, seppur tu non te ne renda conto, è qui che la solitudine seleziona i ricordi, è qui che è più facile cominciare una guerra piuttosto che finirla. È qui che si vince e si perde per lo stesso motivo, è qui che il passato continua a vivere, "senza terminare di terminarsi mai". 
È qui che il tempo gira in tondo, che passa ma non tanto.
È qui che le storie di farfalle gialle e uomini pazzi fin dalla nascita, prendono vita.
È qui che il vento soffia.

7 commenti:

  1. Uno dei più grandi Capolavori della Letteratura di tutti i tempi.
    Stupendo.

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  2. Un grande grande romanzo Ford. Ti apre un milione di porte, ti aiuta a vedere oltre le apparenze. =)

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  3. Non uno dei miei preferiti tra quelli di Marquez, ma sicuramente un grande capolavoro :)
    Un bacione

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  4. Ora ne leggerò degli altri, per il momento però mi sono concessa una pausa e un cambiamento d'autore. Giusto perché mi piace "spezzare". Questa sera inizio a leggere Fenoglio, Una questione privata. Un bacione! ^_^

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  5. Assolutamente stupendo...mi piace tantissimo Marquez! :)

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  6. ma vogliamo parlare dei pesciolini di vetro..?

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  7. Mai letto niente di simile. Una cagata pazzesca.
    Primo ed ultimo tentativo di leggere i sudamericani: se questo è il meglio, chissà il resto.
    Me ne torno ai miei amati russi, a Tomas Mann, a Gunter Grass ...
    Ma si era fatto di LSD, mentre scriveva? Non è un libro, è il resoconto di un bad trip. Ma molto, molto, molto bad.
    All larga

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