"Che poi, in un giorno come questo, che è un giorno di maggio e fa davvero caldo, sarebbe perfino piacevole fare due passi nel centro storico del mio paese, che è un piccolo paese di Romagna, un bel paese se lo guardi con gli occhi del turista, quegli occhi che passano sulle cose una volta sola cercando di scrostare dai muri più meraviglia possibile anche se meraviglia non c'è, così da giustificare almeno l'incomoda trasferta e regalarsi un poco di gratificazione dopata".
Certo quando ti sei fatto tre giri completi del Pavaglione, e magari pensi di fare anche il quarto, be' è probabile che il tuo continuo e condannato all'identico giro a vuoto, sia giunto davvero a termine. Quantomeno devi iniziare a chiederti dove realmente tu stia andando, e se davvero abbia un senso questo tuo vagare lungo il tracciato di un quadriportico sempre uguale a se stesso. Da solo poi, senza nessuno con il quale "spartire" questa sfiancante tendenza alla monotonia, alla ripetizione dell'esistenza.
Stefano Guerra, che sul giornale per il quale scrive è Ste.Gue., sta per entrare nel quarto giro di Pavaglione. Un giornalista sulla soglia dei primi anta, con la fissa per le file e per i gratta e vinci, e condannato alla giostra dell'identico, comincia a valutare la propria vita, e a considerare buona la possibilità che in fondo, tutte queste ripetizioni avrebbero pure un senso, se ripetute nel modo giusto.
Davide Bacchilega racconta una Romagna che è un po' metafora universale dell'esistenza contemporanea. I suoi personaggi si muovono senza più ragioni, solo per tamponare le ore e ritardare di un po', un epilogo inevitabile e di certo poco felice. Un pugile che si gioca l'ultimo round, quello definitivo, quello che chiude tutti i conti in sospeso. Un playboy della truffa con il vizio di adescare donne attempate e sole, non considerando bellezza o virtù alcuna, solo portafogli e portagioie bene in vista. Il proprietario di una bisca clandestina, mosso dalla brama dei quattrini, dalle regole del poker e dall'onore del mafioso. La poetessa dai toni saffici, convinta che la sua silloge, Epifanie lesbomistiche, siano per la poesia, l'inizio di una nuova era.
I romagnoli ammazzano al mercoledì è un romanzo pieno zeppo di umorismo nero, ironia spesso tirata allo stremo che pare essere fine a se stessa finché non si capisce il contrario. Bacchilega sfrutta una scrittura mai identica, in netta opposizione alla routine esistenziale di quello che io considero il personaggio meglio riuscito, ovvero Stefano Guerra. Sì, perché l'autore fa parlare i suoi personaggi ognuno con il proprio stile e personalità, e questo viene apprezzato dal lettore, anche perché lo aiuta nel carpire ogni piccolo tic o inaspettata moralità che a un primo sguardo, sembrerebbe lontana anni luce.
Non si amano i personaggi di questo romanzo, ma si ama di loro quella inevitabile tendenza ad essere "veri", così genuinamente sbagliati, senza ammortizzare l'illecito e i giri di soldi sporchi, così come le scommesse su partite acchittate con largo anticipo. Come accade nel mondo reale poi, l'uomo comune è quello che vorrebbe cambiare il mondo ma non riesce nemmeno a cambiare se stesso. Continuando imperterrito a finire al tappeto o a giocare una mano completamente sbagliata. Incastrato nell'attesa di una fila inutile pur di lasciare che le lancette girino, e girino ancora.
In questo aggregato fallimentare disegnato da Bacchilega, c'è solo una possibilità di cambiare realmente le cose, solamente che le possibilità a volte le perdiamo di vista o ci sembrano l'ennesima fregatura vestita da occasione. Valeria è l'unico personaggio positivo di questa "storia di storie" che si intrecciano.
Così, una statistica che parla di uccisioni in Romagna ci sembra solo l'ennesima cosa idiota che va, solamente perché fa "audience" e si sa, alla gente piace. Oppure un cane che ci si attacca come una ventosa alla caviglia non sarà che un fastidiosissimo cane, finché non si capisce che è lì, perché ti sta dicendo qualcosa. Guardare le cose mai una volta soltanto, anche se si è in procinto di fare il quarto giro, magari è tutto diverso dalla prima volta in cui gli occhi hanno visto.
Come un sedere grosso, che poi magari tanto grosso non è...
Il titolo mi ricorda tanto "I Milanesi ammazzano il sabato" di Scerbanenco...
RispondiEliminaE' la versione "romagnola" ;-) Anche se in realtà il libro di Bacchilega non è un giallo vero e proprio, è più una commedia nera direi io. Molto piacevole tra l'altro. =)
RispondiElimina"Un vecchio milanese, lavora sempre, ogni giorno, durante la settimana, anche se corta. Se commette qualcosa che non va la commette al sabato."
RispondiEliminaPurtroppo la situazione è cambiata da 40 anni a questa parte. Il milanese, quello vero, non esiste più. I Milanesi di oggi, di milanese, hanno solo il luogo di nascita... :-) E te lo dice un "milanese" con padre marchigiano e mamma napoletana...
RispondiEliminaInfatti adesso i milanesi ammazzano un po' quando gli pare.
RispondiEliminaChe abbia ragione il buon Ste.Gue. - Le statistiche sono proprio idiote! =)
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