Quando non c'era WhatsApp e Facebook avevamo solo un modo per custodire i nostri segreti. Infallibile, tra l'altro.
Noi stessi.
La nostra scatola nera era la nostra testa, e lì davvero era impossibile accedere.
Non serviva password o parola d'ordine.
Una volta o ci si capiva, oppure nada.
Parlare faceva la differenza, le amicizie storiche si fondavano su questo e nemmeno il tempo le scalfiva.
Lo sappiamo bene tutti, ma trascuriamo questo aspetto, anche solo per andare avanti e dire che in fondo, "va tutto bene".
Ma se dimentichi di guardarti allo specchio troppo a lungo, a un certo punto sei costretto a farlo. Lo capisci quando intorno è buio, e la poltrona che ti fa stare comodo ti prende allo stomaco e un po' ti divora.
Il cinema, sì.
Sono le controindicazioni dette a bassa voce, quelle scritte a caratteri minuscoli.
Però qualcuno le ha dette, qualcuno le ha scritte...
Da qualche parte.
Paolo Genovese parte da qui, e ricrea un palcoscenico tra i più familiari dell'era moderna.
Una cena a casa di amici, tra amici, che per gioco si trasforma in un vero e proprio dramma. L'epilogo è tragico, ma anche no. Tutto dipende dalle scelte che facciamo, se decidiamo di stare al gioco e accettare il rischio, oppure no.
Perfetti sconosciuti riprende le atmosfere già testate dal "Dio del massacro" per eccellenza alias Roman Polanski (si pensi a Carnage) e propone una sceneggiatura concisa e impeccabile, dal ritmo serrato e violento, proprio come il francese Le Prénom di Alexandre de La Patellière e Matthieu Delaporte.
Ciò che contraddistingue il film di Genovese, è tuttavia quel sapore nostrano. Le battute tipiche dell'italiano medio, che qui indossa le vesti drammatiche e comiche della romanità, maschera sempre impeccabile. Brutta, talvolta. Sporca, fannullona, meschina. Ma sempre autentica.
E il film ha il grande pregio di assecondare con grazia e sfrontatezza le vite dei suoi protagonisti.
La veridicità di ognuno di loro li rende amabili e detestabili, uomini e donne che vivono oltre quel ruolo e rompono gli schemi. Come marionette senza fili, i personaggi voluti da Genovese - e dagli altri quattro sceneggiatori del film Filippo Bologna, Paolo Costella, Paola Mammini e Rolando Ravello - si presentano per ciò che sono. I loro dialoghi suonano come battute di un copione ma tagliano come lame.
Cosimo (Edoardo Leo) ce l'ha scritto in faccia che è uno stronzo bugiardo, e lo spettatore capisce subito che la prima vittima del gioco è proprio lui. Caro Leo, non lo avrei mai detto ma ti ho odiato davvero!
E poi ci sono Carlotta e Lele, straordinari Anna Foglietta e Valerio Mastandrea nei panni di una coppia stanca e divorata dal senso di colpa, sfasciata dalla noia e da piccole trasgressioni. I proprietari di casa, Rocco (Marco Giallini) e Eva (Kasia Smutniak), due che tentano disperatamente di restare ancorati l'uno all'altra, senza tuttavia riuscirci.
E poi ci sono Carlotta e Lele, straordinari Anna Foglietta e Valerio Mastandrea nei panni di una coppia stanca e divorata dal senso di colpa, sfasciata dalla noia e da piccole trasgressioni. I proprietari di casa, Rocco (Marco Giallini) e Eva (Kasia Smutniak), due che tentano disperatamente di restare ancorati l'uno all'altra, senza tuttavia riuscirci.
Bianca e Peppe, rispettivamente Alba Rohrwacher e Giuseppe Battiston, chiudono il cerchio della solitudine segnando il paradosso dei nostri giorni. Volersi omologare a tutti i costi per non sentirsi "diversi da" e poi ringraziare il cielo per non essere come loro.
Gli amici seduti al tavolo dell'ipocrisia, quelli a cui la verità non conviene mai, nemmeno per finta o per gioco. E la bellezza è una dea spietata che spesso trascura chi ha di fronte.
Mi viene in mente Rocco, il personaggio che ho amato di più, un uomo che sta per cadere a terra ma non lo dà a vedere.
Che non ha grandi segreti, eccetto uno.
Quel suo non essere infrangibile.
Devo dire che proprio la sceneggiatura ho avuto la sensazione che si vada a perdere un po' alla volta, ingarbugliando il film nella seconda parte e non trovando il senso della misura, nonostante la bella intuizione finale. Ad ogni modo, anche grazie alla regia e agli interpreti, "Perfetti sconosciuti" è di sicuro uno dei film italiani di maggior rilievo degli ultimi tempi.
RispondiEliminaIo invece vedo una bella spinta anche e soprattutto in fase di sceneggiatura. Mi piace la dinamica dei dialoghi, quando passa un'ora e mezza e davanti hai solo un tavolo apparecchiato e non ti annoi, vuol dire che gli attori sono davvero in gamba, e che il copione funziona. Però ci può stare che ci si perda nel finale. Io ho apprezzato molto anche quello, vabbè si è capito che mi è piaciuto, no? ^_^
RispondiEliminaUn abbraccio Peppe!
Sai, questo "Dio del Massacro" all'italiana mi ha sorpreso. E non gli avrei dato nemmeno un euro...
RispondiEliminaIo sono partita con molte aspettative. Senza uscirne affatto delusa, per fortuna. ;-)
Eliminavedere così tanta "normalità" messa (così bene) in "piazza", spesso, è persino "fastidioso".
RispondiEliminaEd è così davanti allo schermo, davanti a un buon libro. La normalità ci somiglia troppo, e ci spaventa.
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