Questa è la storia di un critico che arriva a Parigi e, ancor prima di capire sulla mappa dove si trovi l'albergo prenotato, cerca disperatamente la prima e irrinunciabile tappa. Che ve lo dico a fare...
La Cinémathèque française.
Una volta messa a fuoco la meta, tutti i problemi legati alla lingua e alle terrificanti improvvisate linguistiche, sempre a metà tra l'inglese scolastico e un francese mai parlato, passano in secondo piano. "In fondo il linguaggio del corpo è universale". Ho pensato. Così mi sono fatta forza e ho rassicurato il mio compagno di viaggio, mio marito, che in un modo o nell'altro ce l'avremmo fatta. Be' lui non avrebbe mai pianificato un itinerario come il mio, ma vi posso garantire che dopo le occhiate disperate e i passi rassegnati di un turista italiano, trovatosi lì per caso, anzi, per "colpa" della moglie malata di cinema e di una città da sempre sognata, la bellezza ha avuto la meglio e ha conquistato anche lui. Incerto e per niente fiducioso, del tutto immune (dice lui, ma io non ci credo...) alla storia e agli aneddoti nascosti dietro ogni dipinto o statua, o cattedrale che ci abbracciava con tutto il suo splendore, ogni giorno.
E continuo a non credere alla storia di uno che, uscendo da Roma, nemmeno si preoccupa di capire cosa avrà mai da raccontare una città come Parigi. La stessa che, appariva insignificante al viaggio di andata e la più bella mai vista, mentre si tornava a casa. Ma Parigi fa questo effetto, io credo di averlo messo in preventivo ancor prima di partire, e oggi posso confermare tutto di quei sogni ad occhi aperti.
Questo è il secondo capitolo del primo diario di viaggio della mia vita. E si svolge qui, al 51 di Rue de Bercy.
Tutto ha inizio con Henri Langlois e Georges Franju, i quali nel 1935, decisero di recuperare vecchi film e realizzare un sorta di "circolo del cinema", anzi, era proprio così che lo chiamarono. Il fine comune era quello di proiettare al pubblico i vecchi film, condividendo e preservando, con l'intento di garantirla ai posteri, la bellezza del cinema a partire dalle sue origini. La Cinémathèque vera e propria nasce l'anno seguente, il 2 settembre 1936.
*Questa foto non è di mia proprietà, l'ho presa sul web.
La prima cosa a cui ho pensato, vedendo la Cinémathèque, è che questa struttura ricorda molto la nostra Casa del Cinema a Villa Borghese. Dunque è molto probabile l'ispirazione francese. Come a Villa Borghese infatti, anche qui, in quello che è il vecchio centro culturale americano, è possibile respirare il verde dei grandi prati, davanti alla maison du cinéma. Entrare in un museo, qualunque esso sia e qualsiasi bellezza custodisca, è un po' come viaggiare nel tempo e mettere in sospeso la nostra vita, insieme a tutto ciò che fino a un istante prima di "entrare" ci riguardava più di vicino. Così tu ti abbandoni e ti lasci travolgere dal passato, dalle meraviglie che, in un luogo come quello della Cinémathèque française, gridano con stupore alla storia del Cinema.
A partire dalle scenografie rese uniche e dotate di una bellezza in grado di prenderti e portarti indietro nel tempo, di più di un secolo. Disposto su tre livelli e realizzato dallo sguardo impeccabile dell'architetto Massimo Quendolo, il Museo della Cinémathèque offre allo spettatore una serie di immagini suggestive, attraverso un percorso che va dall'oggettistica più antica ai costumi di scena. Avere davanti agli occhi lanterne che ancora girano come ieri e, ancora è magia. Quando il cinema era una scatola e quando le immagini venivano proiettate e si sentiva come un fruscìo prodotto da una pellicola stampata. Il Cinematografo dei fratelli Lumière, la cinepresa (kinetograph) di Thomas Edison, e il kinetoscopio. Riproduzioni in scala di quegli studi che facevano da location ai vecchi film di Méliès, piccoli automi che come d'incanto ti riportano ad oggi. E non è da sciocchi credere che Martin Scorsese nel suo Hugo Cabret, abbia impartito con delicatezza e maestria, una delle più belle lezioni di cinema a cui si possa prender parte. Il robot/automa lasciato dal padre ad Hugo e poi gli orologi imponenti a rapire il cielo e chi lo guarda, del Museo d'Orsay (mi allontano un attimo per il solo, mio, riferimento a Cabret), non fanno che rimandare al capolavoro di Scorsese, ribadendo ancora una volta, la bellezza della storia del cinema.
Dalla suggestiva evocazione del tempo, passiamo ad alcuni oggetti capaci di mandare in tilt qualsiasi appassionato di cinema, critico e non. Ebbene, io alla Cinémathèque française ho visto il cranio della mamma di Norman Bates utilizzato da Hitchcock nel suo Psycho. E poi ho visto il costume di Ivan il Terribile e poi e poi, udite udite: il robot del Metropolis di Fritz Lang. Da rimanerci stecchiti insomma...
Anche se poi, nella mia ignoranza ho dedotto che (guardando le didascalie affisse ai vetri espositivi del museo), non fosse quello originale ma una riproduzione fatta da, non mi ricordo chi e nemmeno quando. Pardon.
Ho visto una parte degli ingranaggi utilizzati da Charlie Chaplin nel suo Tempi Moderni e tante lettere scritte da Jean Cocteu e tanti spezzoni dei suoi film e ancora, tanti bei manifesti e locandine storiche. Ma storiche davvero!
Ah, a proposito di spezzoni, ho fatto vedere a mio marito la mitica sequenza dell'occhio di Un chien andalou di Buñuel . "Tu non stai bene amore mio". Il suo commento.
-Potrebbe essere vero.
*Questa foto non è di mia proprietà, l'ho presa sul web.
Ma io ero felice, ero felice come non mai e toccavo il cielo con un dito. Era come sognare e non svegliarsi mai, nemmeno sul più bello. Cosa che invece è successa nel momento in cui ho lasciato Parigi. Come quelle lanterne magiche che nonostante il tempo, rimangono lì, e girano all'infinito lasciando sul muro la magia delle immagini che si susseguono. Così è Parigi. Una lanterna magica.
Insomma, questo secondo capitolo è giunto a termine. Tornando alla follia della bellezza e al cane andaluso...prossima tappa, Salvador Dalì.
Ogni capitolo del tuo diario, è un'emozione *_*
RispondiEliminaGrazie Peppe!!! <3
RispondiEliminaSai che sono andata spesso a Parigi ma mai alla Cinematheque.???Una scusa ottima per tornarci....
RispondiEliminaSì Beatrix, credo davvero che tu debba tornare...eheh. ^_^
RispondiEliminaHai fatto bene ad andarvi: è una tappa d'obbligo!
RispondiEliminaVero Marco. Infatti sono fiera di me e del mio bell'itinerario. ^_^
RispondiEliminastupendo omaggio, lo sto leggendo, beata te Valentina, quanto ti invidio (bonariamente però) :)
RispondiEliminaGrazie Arwen!!! Sì sì, la conosco bene l'invidia in questo senso, è quella che ho provato fino a ieri, prima che questo sogno si potesse realizzare. Un abbraccio. =)
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