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Come marziani che guardano il mare (Non essere cattivo)



Ostia, 1995.
Il non luogo per antonomasia, dove non è ancora estate, eppure si intravede il mare.
Mare tossico, inquinato, messo lì per inghiottire tutti. Buoni e cattivi senza eccezioni di sorta.
Sembra un film straniero, ma quella è Ostia, me la ricordo bene.
Gli anni '90 e le passeggiate fino alla rotonda e quel vestito da principessa che tanto voleva mia madre, io per niente.

Mi hanno detto che questo è un film che parla di droga e del dramma che ne consegue. Mi hanno detto che Claudio Caligari ci ha messo dentro qualcosa come a voler chiudere un cerchio, la sua vita di regista lasciato sempre un po' ai margini, mai al centro dell'olimpo. 
Mi hanno detto...
E i miei occhi sono arrivati un po' tardi, rispetto al vociferare di premi mancati e critiche entusiastiche. 
Adesso che tutti hanno già detto tutto, che la critica ha fatto, scritto, sottolineato, me ne vengo fuori io dal nulla mandando all'aria ogni logica proverbiale.
"Batti il ferro finché è caldo", dicono.

Scrivere oggi di Non essere cattivo implica una serie di fortune e sfortune, il che non mi frena, anzi, mi spinge a sfruttare quest'onda emotiva che è mia soltanto. 
Nemmeno a voler fare la critica a tutti i costi poi, ciò che realmente mi importa è meravigliarmi della bellezza che ancora riguarda il nostro cinema. Bellezza che annienta, che si fa poesia e poi allucinazione, che ti prende a pugni in faccia e che ti fa morire come un cane randagio.
Non essere cattivo indaga i luoghi oscuri dell'anima, che qui ha il sapore dell'asfalto e suona come le strade di borgata.
Roma è una diapositiva nemmeno troppo lontana, Vittorio e Cesare raccontano un legame, amore tossico destinato a tornare, che si consuma negli abbracci e nelle botte. 
E se pure il mondo è il peggior pianeta che potesse capitarci, dove i bambini muoiono e le mamme invecchiano troppo presto, noi continuiamo a parlare con lui, ad amarlo nonostante tutto. Ce lo insegna Vittorio, davanti allo specchio, davanti a un corteo circense che ricorda Fellini.
Ce lo insegna Cesare, a partire dalla sua corsa lungo la rotonda a cercare Vittorio. Quella battuta che poi ci dice già tutto.

"Aoh, io sto incazzato fracico e te, te stai a magnà er gelato?"


Mi viene in mente Alberto Sordi nei panni di Silvio Magnozzi durante le sommosse dei giorni in cui avvenne l'attentato a Togliatti. Non ricordo benissimo, ma ho l'immagine davanti agli occhi di Sordi e Franco Fabrizi, il primo preso dalle vicende politiche, il secondo da un cornetto e cappuccino. E una battuta più o meno simile: "Ma io sto a fa la rivoluzione e tu mangi il cornetto?"
Una vita difficile
E poi il naturale richiamo al primo lungometraggio dello stesso, Amore tossico.


Caligari sfrutta la macchina da presa per ciò che è, alimentando la finzione narrativa con la realtà tanto cara al nostro compianto cinema. E ci riesce con quel modo di fare che è tipico di chi sa raccontare una storia da vicino. Perché i personaggi diventino credibili, perché un film funzioni, bisogna aver assaggiato la stessa vita, la stessa merda, la stessa poesia.
E il cinema autentico, l'arte più pura, credo parta da qui.
Da una casa sfasciata che non ce la fa a sostenere il futuro. 
Da noi stessi e tutti quei pensieri.
Noi, come marziani che guardano il mare.


Commenti

  1. Gran bel film, e gran ritratto di quegli angoli che di solito facciamo finta di non notare.

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  2. Vero Ford. E la grande dote del regista era appunto saperli raccontare, e ancor prima "guardare".

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