Nel 1932 Mario Camerini dirige Gli uomini che mascalzoni, un
lungometraggio dal sapore garbato e dallo spirito rivoluzionario. Sarà infatti
la prima volta di un film non più realizzato negli interni allestiti dei Teatri
di posa bensì in esterni. Sullo sfondo una Milano come non l’avevamo mai vista,
ad animarla una commedia elegante, semplice, che vede un giovanissimo Vittorio
De Sica emergere nel mondo dei divi cinematografici, fino ad allora
impegnato nel Teatro leggero. Con questo film, presentato alla Prima
Edizione della Mostra del Cinema di
Venezia, Camerini dà il via alla cosiddetta “pentalogia borghese”, seguiranno poi i successivi quattro titoli: Darò un milione, Ma non è una cosa seria, Il signor Max e I grandi magazzini.
Camerini si allontana dai “tipici” personaggi di quegli anni e dalle loro storie dai toni “eroici”
per addentrarsi invece nella vita reale, quella di una Milano fatta di gente
comune, di tutti i giorni. Immortalata tra le strade, profumerie e Fiere.
Protagonisti sono
Bruno (De Sica) e Mariuccia (Lya Franca), umile autista lui, timida
e diffidente commessa di profumeria lei, figlia di un tassista. Per tener testa
alle chiacchiere poco benevole delle amiche/colleghe di Mariuccia che ridono di
lui perché visto per le strade in bicicletta, Bruno decide di organizzare un
appuntamento galante con la giovane presentandosi con la macchina presa
segretamente “in prestito” al padrone. A causa di una serie di circostanze e
imprevisti non messi in preventivo dal giovane autista la povera Mariuccia si
ritroverà a passare la notte da sola in un’osteria fuori città. Ci saranno
ripicche e reazioni a catena tra gelosie e risentimenti, ma alla fine i due si
riconcilieranno, sigillando il loro amore con il benestare del padre di lei.
Quello che mi porta personalmente a parlare di una pellicola
risalente ai “lontanissimi” anni ’30 e di un modo di fare cinema (aihmè) così
diverso da quello dei nostri registi odierni, è lo stupore e la meraviglia che
questa, nonostante il tempo, le mode e le rivoluzioni culturali, è in grado di
suscitare in noi che inesorabilmente, ancora oggi, sentiamo il bisogno di
vedere e ammirare.
Un motivo musicale semplice (indimenticabile quel Parlami d’amore Mariù, di Cesare Andrea Bixio, intonato dal
grande De Sica) e l’immagine deliziosa e a tratti malinconica di due giovani
innamorati avvolti dalle sfumature di grigi e dalla loro stessa disinvoltura e
naturalezza attoriale. Un giovane magro e ingenuo che corre in bicicletta
dietro a un tram per seguire la donna che gli ha rapito il cuore…
Riusciremo ancora ad assaporare tutto “questo” in un film
fino ad innamorarcene perdutamente e inspiegabimente?
Pezzi di storia su carta. Trovati in rete |
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