Torniamo a parlare di fotografia, insieme al mio carissimo amico Pietro De Bonis.
Questa volta, a raccontarci un po' di sé, Gabriele Gaspardis.
Gabriele Gaspardis nasce a Roma il 10
novembre 1968, poi si trasferisce in Umbria, dove studia, lavora e tutt’ora vive.
Facente parte del gruppo fotografico “Not In Toulouse”, insieme a Walter
Scappini (fotografo) e Angelo Moretti (direttore artistico), ha partecipato a
diverse esposizioni collettive, tra cui “Dorotea, sguardi sulla città
invisibile” (2009), "Pietre Silenti" (2010) e “Limen” (2011) e una
personale “Confini” (2015). Nel 2010, collabora con e per Twistival,
manifestazione sponsorizzata dalla Regina Rania di Giordania, per raccogliere
fondi per le scuole del terzo mondo, con una fotografia selezionata dal
National Geographic. Attivo su diversi portali di fotografia “fine-art”, sia
nazionali che internazionali, ottiene spesso grande riscontro grazie alla
varietà interpretativa dei suoi scatti.
Gabriele Gaspardis si è reso molto disponibile a rispondere ad alcune mie domande.
Gabriele
Gaspardis: Sì, è così. Come tutti, ho iniziato a scattare
foto a qualsiasi soggetto avessi a disposizione. Ero mosso dalla curiosità e
dal desiderio di imparare e quindi ogni situazione era buona per fotografare.
Con l’andare del tempo, però, le cose sono cambiate e il trovare situazioni
adatte, soddisfacenti dal punto di vista comunicativo diventava sempre più
difficile. Alla fine, quindi, più di scattare foto singole, se vuoi fini a se
stesse, ho iniziato a seguire dei percorsi mentali, ad immaginare storie e ad
organizzare gli scatti in gruppi omogenei allo scopo di raccontare non un
episodio, ma una intera storia. Oggi, quindi, fotografo collocando le diverse
immagini nei molti percorsi che ho cercato di identificare nel tempo come
appartenenti al mio sentire. Ho tante storie aperte, tanti racconti che si compongono di nuovi capitoli
e nuovi paragrafi volta per volta. Quando faccio una mostra, le foto
appartengono ad una selezione che, normalmente, è parte di una “storia”.
Gabriele
Gaspardis: Le mie foto nascono dall'osservazione della realtà, ma non semplicemente
da questa. In ogni momento della giornata osservo ciò che mi circonda. Luoghi,
situazioni, ambienti e persone che mi “ispirano” particolarmente, sono tutti
elementi che memorizzo per poi utilizzarli nel momento del vero e proprio
scatto. Chiarisco meglio con un esempio. Può capitare che sono in viaggio per
lavoro e, dalla macchina, vedo uno
scorcio particolare lungo il percorso. Inizio quindi a “costruire” mentalmente
la foto che mi piacerebbe scattare in quel posto, identificando gli elementi
che mi hanno colpito e lavorando su quelli da aggiungere o eventualmente
rimuovere dalla scena fino ad ottenere l'immagine che desidero. Quando poi ho
definitivamente chiaro cosa mi serve, preparo mezzi e persone e vado in quel
posto a scattare la foto. E' un lavoro lungo e, se vuoi, dispendioso, ma che mi
da grande soddisfazione. Una volta scattato, all'immagine in post-produzione
difficilmente applico trasformazioni “spaziali” (come l'aggiunta o la rimozione
di elementi), correggo luci, ombre, colori, curve e, comunque, lo scopo è quello
di ottenere la foto ancora più corrispondente alla mia “visione” emotiva,
piuttosto che a quella che la realtà mi fornisce
Gabriele
Gaspardis: Certo. Una premessa: sono estremamente curioso di scoprire luoghi nuovi e
diversi. Ogni volta che ne ho la possibilità, cerco di viaggiare e, se
possibile, scattare foto. Per uno di questi viaggi, con mia moglie, avevamo
deciso di visitare San Pietroburgo. L'impatto con la città è stato incredibile.
Appena ho iniziato a visitarla, sono stato avvolto dal fascino “russo” di quel
luogo. Il freddo, la persone, i palazzi, il fiume, tutto mi riportava alla mente ciò che io avevo creduto
fosse San Pietroburgo. Sono entrato in sintonia immediatamente con la città e,
come mi succede spesso, ho inziato ad immaginare uno scatto che potesse rendere
al meglio la sensazione che provavo. Ho fatto diverse prove, posizionando una
giovane donna di passaggio nell'angolo in basso a sinistra della foto. La
composizione mi attraeva, ma non riuscivo ad ottenere un risultato
soddisfacente. Alla fine ho aggiunto l'effetto di mosso lieve che dava un
aspetto “etereo” all'immagine finale. Ho poi replicato lo scatto ogni volta che
ne avevo occasione, fino a che non ho trovato (di mattina presto, molto
presto), una elegante ragazza che fumava venendomi incontro. La combinazione è
stata fantastica e mi ha permesso di scattare una delle foto cui sono
maggiormente legato emotivamente.
Gabriele
Gaspardis: No, non credo. Semplicemente ritengo che il colore distoglie l'attenzione
dai soggetti e deve essere usato solo quando è realmente necessario. Il bianco
e nero, dal mio punto di vista, permette di esprimere meglio le forme e aiuta a
evidenziare gli elementi presenti nello scatto. Inoltre, nella maggior parte
delle immagini che realizzo, lo ritengo più elegante. Questo non vuol dire che
non mi piace il colore, anzi. Se il colore aiuta a evidenziare il messaggio lo
utilizzo molto volentieri.
Gabriele Gaspardis: No, ma ritengo che sia naturale che questo avvenga. Amo tutti i tipi di fotografia, dalla macro al ritratto, dallo street alle riprese di architettura e cerco di praticarli tutti. E certo però, che sono spinto verso un tipo specifico di fotografia più che in altri: il ritratto ambientato. In realtà, in molti casi, è più l'ambiente che il ritratto che mi interessa raccontare. Spesso utilizzo i soggetti allo scopo di unirli o contrapporli al luogo, di esaltare, alterare o negare il messaggio che il luogo stesso trasmette. Insomma, la fotografia è un modo di comunicare e, per me, in ogni forma è utilizzabile allo scopo.
Gabriele
Gaspardis: Come ho già detto, nelle mie foto la composizione tra soggetti, forme e
colori sono molto curate visto che servono a trasmettere un messaggio. La
posizione di questi elementi è fondamentale e qualsiasi soluzione possa
esaltare la comunicazione è utile. Per questo uso spesso una vignettatura
scura. Serve ad eliminare gli elementi periferici e a concentrare lo sguardo
dell'osservatore verso gli aspetti di maggior interesse.
Gabriele
Gaspardis: Fotografo per raccontare, per comunicare. Ovviamente mi piace avere il
riscontro del pubblico. Ma questo non significa che la mia fotografia è mirata
a soddisfare le aspettative dell'osservatore. Io parlo con il mio linguaggio e
cerco di renderlo universale, ma non voglio a forzare la mano pur di ottenere
la gratificazione del pubblico. Se una mia foto non “arriva” al destinatario (e
spesso accade), potrebbe essere perché ho complicato troppo il messaggio, ho
seguito i percorsi mentali che hanno “intrecciato” troppo l'immagine o non ho
sufficientemente trasformato in modo corretto il messaggio in espressione
visiva. In ogni caso, se ho valutato pubblicabile lo scatto che ho prodotto, ne
rimango comunque soddisfatto, anche se non trova riscontro presso un pubblico
diffuso.
Gabriele
Gaspardis: La mostra “Confini” è una collaborazione tra me e la poetessa tuderte Antonella Ferrovecchio. Consiste in una esposizione di 21 foto e 21 poesie che si è appena conclusa a Palazzo di Primavera (Terni)."
Confini è una raccolta fotografica
di immagini in bianco e nero in cui l’osservatore si inoltra in un percorso che
si snoda tra il reale e l’immaginario. In ogni scatto, attraverso un uso
accorto di luce e ombra, il fotografo traspone gli elementi della vita
quotidiana in una diversa dimensione, permettendo di iniziare un viaggio
introspettivo dove la concretezza si perde a favore di nuove visioni tra la
spiritualità e il sogno". Ho già in programma di spostarla anche in altri
luoghi, ma, per il momento, non ho alcuna data ufficiale stabilita. Comunque,
fotograficamente parlando, non sto affatto fermo. Proprio in questo momento, sto
lavorando ad un nuovo progetto che mi sta coinvolgendo molto e che spero di
poter presentare al più presto.
Intervista a cura di Pietro De Bonis
0 commenti:
Posta un commento